Se n’è andato Fred Bongusto, era notte, le 3:30, non poteva essere altrimenti per il principale crooner della storia della musica italiana. La morte di Bongusto è uno di quei casi in cui possiamo tranquillamente pensare che con lui se ne va un universo musicale del quale troppo in fretta ci siamo dimenticati, con troppa superficialità abbiamo messo da parte.
Un universo musicale che non solo ha fatto storia, letteratura, epica, ma che ha anche posto le basi per il connubio tra musica e intrattenimento, che poi si è rivelato nel tempo anima e croce del mercato.
Musica di qualità, è chiaro, che poi è la parte della quale più sentiamo la mancanza oggi; “Spaghetti, pollo e una tazzina di caffè”, giusto per fare un esempio, non è soltanto una canzone, ma un articolato cortometraggio, una storia raccontata con una maestria che è appartenuta a pochi, anzi pochissimi.
In America, del Nord e del Sud, gli autori della caratura di Bongusto sono tenuti, vivi o morti che siano, in teche preziose, vengono protetti, esposti in un museo, salvaguardati come parte integrante della cultura di un paese. Non è un caso che Bongusto possa vantare collaborazioni con artisti tipo Vinicius De Moraes, e Joao Gilberto, che definì “Malaga” una “canzone perfetta”; o con un altro mito assoluto come Chet Baker, uno dei padri del jazz moderno.
Noi invece tendiamo a dimenticare, tendiamo a farci guidare dall’istinto della moda, che per sua natura deve rinnovarsi, che non è sempre sinonimo di miglioramento, ultimamente, anzi, quasi mai.
Anche per questo forse in Italia non abbiamo mai sviluppato una tradizione di musica da crooner, da club, da night, e forse anche per questo oggi il primo brano di Bongusto che viene in mente è “Una rotonda sul mare”.
Giusto, è il suo più importante successo, il più commerciale, un brano che va ad inserirsi nella ampissima collezione di brani di matrice amorosa del repertorio nazionale. La classica canzone attorno alla quale sono sbocciati innumerevoli amori estivi, colonna sonora costante, anche oggi a distanza di 55 anni, delle estati italiane.
Un romanticismo antico, italico ed intramontabile. Bongusto però era molto di più, era “Spaghetti a Detroit”, “Che bella idea”, “Malizia”, “Nessuno può comprare la città”, brani che ha scritto lui e che solo lui poteva scrivere, una celebrazione assoluta, sentita, di un’era che ci manca dannatamente, di uno stile che, chissà poi perché, non è più tornato.
Eleganza da mito del cinema, che riprendeva (ma era prassi ai tempi) il mood del mito americano, di Frank Sinatra, di chi insomma le storie non solo le canta, ma se le porta appresso, addosso, nella voce, nell’intonazione, nello sguardo, nella musica. Il tempo poi è passato e, come già detto, Bongusto è stato messo da parte, chissà se ne ha mai sofferto, chissà se anche la sordità che lo ha colpito negli ultimi anni della sua vita, non possa essere considerata dolorosa metafora di qualcosa, di un rifiuto di accettare un mondo che ha quasi del tutto perso la poesia che una volta lo contraddistingueva