Dopo la pausa per le vacanze la discografia italiana ricomincia a sbuffare fumo dalle ciminiere, a macinare uscite nelle ultime settimane buone prima di febbraio, prima che il pubblico, volente o nolente, rivolga la propria attenzione verso il Festival di Baglioni e tutte le uscite che ne seguiranno inesorabilmente.
Sbarca quindi su tutte le piattaforme disponibili “Paranoia Airlines” smentendo le speranze di tutti quelli che speravano che i primi due singoli fossero soltanto spari di avvertimento, una sorta di minaccia: “Pagatemi o giuro che faccio uscire tutto un disco!”.
Evidentemente non l’abbiamo cliccato abbastanza sui social, non gli abbiamo dato retta, tant’è che alla fine il disco è uscito e forse era meglio pagarlo, magari fargli un contratto a vita per piazzarlo dietro la cattedra di X-Factor, come si fa con i bambini troppo vivaci, che si tengono impegnati con qualcosa di innocuo sperando non tornino a fare danni. Ecco, non ha funzionato.
Presupposti anche buoni, quasi romantici, ma...
Federico Leonardo Lucia non solo ha fatto uscire un disco inequivocabilmente brutto, questo poco importa, in pochi addetti ai lavori effettivamente si aspettavano qualcosa di diverso, compresi forse anche i suoi millemilamilioni di followers, più interessati alle sue stories da Vip Milanese Very Cool insieme a madama Ferragni che alla sua musica; ma dimostra per l’ennesima volta, cosa assai più grave, come la musica possa essere subdolamente e, diciamolo, tristemente, utilizzata come mezzo per fare altro, per manifestare la propria presenza nello star system, più che per dire qualcosa.
Eppure i presupposti in questo senso erano quasi romantici, il primo singolo estratto infatti, “Prima di ogni cosa”, è dedicato al figlio Leone e potrebbe quasi risultare commovente se non fosse per gli estremi ed evidentissimi limiti di intonazione di Fedez, proprio incapace di azzeccare due note di seguito, ma forse ancor peggio è la barbara svendita del suddetto pezzo (comunque discretamente imbarazzante) alla tv per uno spot televisivo.
Roba da far impallidire perfino il Fedez che sponsorizzava le cotolette surgelate. Il secondo singolo esplora anche velatamente l’universo dance, coinvolgendo la cantante svedese Zara Larsson, ma ricorda uno di quegli esperimenti chimici da sit-com americana, dove l’ampolla trabocca e l’aula di chimica esplode lasciando le facce dei protagonisti annerite e il finto pubblico che se la ride di gusto. Incommentabile.
La prova da trapper del rapper Fedez
Allora nel disco lo troviamo che prova a fare il trapper, d’altra parte il mondo va in quella direzione lì; ci prova da solo e con quegli altri tre geni della Dark Polo Gang, ma non sa fare neanche quello: l’autotune, dietro il quale solitamente si va a nascondere qualche lacuna di aspetto strettamente tecnico, in questo caso serve solo a rendere la sua voce tremendamente irritante; la trap si basa su un modo di fare e apparire più che di agire in musica e lui, nonostante sia ancora giovane, non ci sta dentro per niente, è il rapper meno figo della storia, il più venduto al mainstream (nonostante i numeri restino bassi come le posizioni in classifica), il più seguito dalle casalinghe italiane, che mentre gli altri trapper li vorrebbero tutti morti a lui lo accetterebbero di buon grado come genero.
Gli manca, perché non ce l’ha mai avuta, quella “cazzimma”, quella “svaccataggine” da effetto droga leggera, e questo tutto sommato potrebbe anche essere un bene dato che trattasi di un giovane padre di famiglia, ma di certo non lo rende credibile come trapper.
Ci prova pure con quella sorta di pop rappato, una roba facile facile da portare a casa, ma il pezzo con Annalisa fa arrossire per l’inadeguatezza. Poi forse qualcuno gli ricorda che una volta uno per strada l’ha scambiato per un rapper, così ci prova pure con quello, ma proprio non è roba per lui, tant’è che viene sotterrato negli ascolti anche da Anastasio, il vincitore del talent dove lo stesso Fedez dovrebbe fare la parte del mentore, ma dove difficilmente supererebbe anche le prime selezioni se si presentasse oggi da anonimo.
Meglio Fedez di X-Factor. O Instagram
Sostiene di aver scritto l’album per esorcizzare queste famose paranoie, ma le cose sono due: o manca proprio la forma artistica e la profondità necessaria per manifestare le proprie sensazioni, quindi tornasse in fretta e furia alle sue storie su Instagram che lì non lo batte nessuno, oppure mancano proprio le sensazioni, queste paranoie da star consumata dal successo.
Tutta fuffa. Non c’è niente, non si vede, resta tutto semplicemente detto e detto anche male. Ripetiamo, nessuno si aspetta nulla e capiamo la necessità di autoaffermarsi, di regalare una risposta al figlio quando qualche compagnetto di classe tra qualche anno gli chiederà che mestiere fa suo papà, ma questo “Paranoia Airlines” tradisce anche un po' la scaltrezza indiscussa di Fedez, di un ragazzo che è riuscito a costruire, nonostante la giovine età, un piccolo impero basato semplicemente su un’immagine, una roba ancora più virtuale della stessa Chiara Ferragni, che almeno cosa fa lo abbiamo capito, non lo pagheremmo mezzo euro, lo troviamo assurdo fino ai limiti della moralità, ma perlomeno lo abbiamo capito.
Di Fedez invece sappiamo che è diventato famoso per una qualche ragione non del tutto comprensibile, musicalmente parlando quasi inspiegabile, che era amico e ha lavorato con Rovazzi ma hanno litigato, che era amico e ha lavorato con J-Ax ma hanno litigato, che interrogato al microfono di X-Factor riesce ad intrattenere il suo pubblico televisivo con lacrima facile e destrezza dialettica…ma poi?
Poi manca la ciccia, la statura artistica, qualcosa che vada oltre Instagram, oltre la fashion blogger che si è sposato, oltre il tatuaggio sul collo, oltre la posa televisiva. Oltre. Così com’è giusto che faccia un artista, che una roba come “Paranoia Airlines” non avrebbe nemmeno osato proporla a se stesso per scherzo.