A guardarlo così, aggirarsi per il backstage del MiAmi festival dove ha deciso il 25 maggio di improvvisare un breve concerto acustico, in pochi gli darebbero due lire. Perché Edoardo D’Erme, ovvero Calcutta, ovvero indiscutibilmente al momento il cantautore più quotato della discografia italiana, è evidentemente un ragazzo timido e semplice. Se non ci si occupasse di musica per lavoro e non lo si conoscesse, lo si fermerebbe giusto per farsi portare un’altra birra, e lui, gentile e disponibile com’è, probabilmente te la porterebbe con garbo.
Certamente non ci scommetteremmo un soldo bucato sul fatto che questo ragazzo e la sua chitarrina da lì a qualche giorno riempiranno lo stadio di Latina (sua terra natia) e l’Arena di Verona.
E poi basta, perché ormai il periodo di festival e sbattimenti è passato. Ora che hai dato il via al fenomeno “Indie” da vero e proprio pioniere, puoi permetterti di non esserlo più, e diventare un’altra cosa. Intendiamoci una cosa che ci piace tanto, perché che Calcutta sia così e non uno di questi ragazzini Talent(uosi) senz’anima, impacchettati a dovere nei loro addominali di plastica per essere consegnati ai loro sempre più brevi minuti di celebrità per poi finire, bene che vada, dallo psichiatra, a noi, ripeto, piace, e tanto.
A tutti piace. Così com’è, tracagnotto e trasandato, con gli occhi spauriti di uno che passa di lì per caso, buono giusto per un soundcheck, con la sua voce imperfetta e onesta. Talmente onesta da coinvolgerti in quello che più che un normale ascolto diventa un maleficio. Volergli bene diventa qualcosa che tu, nato e cresciuto a pane e De Andrè, che balli solo il rock a volumi tendenzialmente corrosivi mentre guidi in autostrada sperando di non essere notato e ti commuovi solo ascoltando Capossela o Aimee Mann, non ammetteresti mai.
Eppure è così. Un qualcosa che mette in difficoltà anche i radical chic più talebani. Si può, esatto, voler bene ad un artista che alle volte somiglia più alla divertente parodia che di lui realizzano Le Coliche su Facebook che a se stesso. “Lo sai che la Tachipirina 500 se ne prendi due diventan 1000?” sembra più una risposta di Yahoo Answer, “Ueh deficiente!” il modo pacato di svegliarti di tua madre ai tempi del liceo, “Tanto tutte le strade mi portano alle tue mutande” il bigliettino che volava dagli ultimi banchi, dove orgogliosamente sono diventato uomo, direzione la ragazza perfettina dei primi.
Ma come possono canzoni che sbandierano certe perle, restarti in testa, perseguitarti, quasi stalkerizzarti e alla fine piacerti da pazzi? Eppure è così che funziona, eppure questo è il fenomeno del quale parliamo. In questo Calcutta è diverso, in questo risiede la sua bizzarra e malcelata genialità. Evergreen è questo: 10 brani, uno dei quali strumentale, che raccontano vita e sentimenti in maniera diretta, quasi spanzata. Con poca voglia di raccontar frottole, come se si fosse troppo pigri per non essere onesti con chi ti sta ascoltando.
Detta così sembra che il suddetto maleficio faccia tutto il lavoro e non saremmo noi onesti nei confronti del nostro amico Edoardo. Ed essere disonesti come ascoltatori è mossa stupida e inutile, accoppiata letale. Calcutta confeziona un prodotto che, più che ascoltarlo, si beve. Dall’apertura con le sonorità molto anni ‘90 di Briciole, passando per l’atmosferica Pesto, uno di quei pezzi che ti fa incastrare la testa tra le braccia e ti fa guardare fuori dalla finestra, passando per Hubner che rispolvera, usandolo come metafora, il mito di Dario Hubner, attaccante che orbitò tra serie A e B in Italia a cavallo tra ‘900 e 2000 segnando una valanga di gol e mai “svendendosi” ai grandi club, preferendo sempre glorificare le squadre di provincia. Mito assoluto per una generazione di appassionati (la mia).
Se all’ascolto del disco avete dovuto usare Google per scoprire chi fosse vergognatevi, voi e le vostre macchine da guerra alla Cristiano Ronaldo. Certo, in Evergreen non troverete tematiche adulte, è pur sempre il secondo album di un ragazzo classe ’89, portate pazienza. Non ci troverete dentro la guerra, il mutuo, le lotte pornografiche dei greci e dei latini, ma tanto tanto amore e sesso slabbrati dalla poca esperienza, un modo di vedere al mondo, buon per lui, ancora ingenuotto. Il suo target non può che coinvolgere prima di tutti chi sta vivendo in questo momento in quel modo la vita. Ed è giusto così.
Sarà la sua carriera a dirci se sarà capace di scrivere qualcosa di altrettanto ipnotico anche per chi ha percorso un pezzettino di mondo in più e lo ha trovato vagamente scaduto. E se così non sarà i ragazzi continueranno a volergli bene a vita, come noi a Max Pezzali per averci fatto sfiorare imbarazzati i primi fianchi femminili alle feste delle medie ballando Come mai. Di certo, c’è da dire, che in una stagione dove per fare due ascolti in più è necessario “trappare” anche il silenzio, uno come Calcutta rappresenta quasi una speranza. Che questa sia una notizia brutta o terrificante, ai posteri l’ardua sentenza.