Sono i giornalisti, “guardiani” che combattono la “guerra per la verità”, le “persone dell’anno” 2018 celebrate dal settimanale americano Time. I simboli di questa battaglia sono raffigurati su quattro copertine: Jamal Khashoggi, editorialista saudita del Washington Post, ucciso al consolato di Riad a Istanbul il 2 ottobre scorso; i cinque reporter di Capital Gazette, quotidiano del Maryland, uccisi in un assalto alla redazione; Wa Lone e Kyaw Soe Oo, i due giornalisti dell’agenzia Retuers arrestati e condannati in Myanmar con accuse fabbricate dal regime; la direttrice del sito di informazione filippino Rappler, Maria Ressa, minacciata dal regime del governo Duterte.
Tutti questi giornalisti hanno in comune di essere stati presi di mira per aver svolto il proprio lavoro: la ricerca della verità in un mondo dove sempre più spesso a prevalere è la menzogna, alimentata dalla propaganda politica, da interessi economici o da regimi autoritari. Ma la scelta di Time è anche più ampia perché, attraverso questi simboli, vuole premiare tutti i “guardiani” che “rischiano tutto per raccontare le storie del nostro tempo”: nel 2018 sono stati 52 i giornalisti che hanno perso la vita per il proprio lavoro.
“Come tutti i doni umani, il coraggio arriva a noi a vari livelli e in momenti diversi”, ha scritto il direttore di Time, Edward Felsenthal, spiegando perché la scelta è caduta su persone che “corrono grandi rischi nella ricerca della verità”. “Mentre analizzavamo le scelte – ha spiegato – è diventato per noi chiaro che la manipolazione della verità è davvero il filo conduttore di molte delle principali storie di quest’anno: dalla Russia a Riad alla Silicon Valley”. Un omaggio al giornalismo che non ha mai smesso di cercare e raccontare i fatti, ai reporter di tutto il mondo impegnati quotidianamente nella ricostruzione della verità che, per quanto imperfetta, è essenziale per la formazione dell’opinione pubblica: nei regimi autoritari, come nelle democrazie.