No, non è un Paese per news. Perché Facebook è un grande paese. Anzi: è il più grande paese del mondo con i suoi due miliardi di “cittadini” registrati all’anagrafe della piattaforma. Cittadini che si incontrano, si parlano, si informano accettando le regole imposte dal social network guidato da un principe, Mark Zuckerberg, quanto “illuminato” non è ancora del tutto chiaro.
Secondo dati recenti forniti dal Pew Research Center negli stati Uniti il 45 per cento degli adulti legge le notizie su Facebook. Io stesso ho resistito a lungo alle sirene della piattaforma - “cosa stai facendo” e “guarda cosa fanno i tuoi amici” - finché nel decennio scorso, grazie all’intuizione del neonato Huffington Post, non è progressivamente diventata rilevante per le news. Una rilevanza che ha spinto via via tutti gli editori a sbarcare con forza sul social network: “Dobbiamo portare le news dove stanno le persone, i nostri potenziali lettori”. Bene, così è stato fatto negli ultimi dieci anni. E pazienza se a pagare l’informazione erano gli editori e a guadagnarci soprattutto Facebook che, grazie alla profilazione degli utenti, drena il grosso della pubblicità digitale.
Poi sono venute le nuove iniziative di Zuckerberg, come Instant articles e Facebook live, che hanno dato agli editori l’illusione di poter finalmente capitalizzare qualche ricavo dalla presenza delle loro notizie sulla piattaforma.
Infine, grazie anche all’elezione di Donald Trump nel 2016, abbiamo riscoperto le fake news e, dopo le ammissioni di responsabilità dello stesso Zuckerberg, abbiamo sperato che finalmente la più grande testata al mondo in termini di formazione dell’opinione pubblica rimettesse mano all’algoritmo per privilegiare il giornalismo di qualità a scapito della quantità. Macché, anche questa è stata una mera illusione: la quantità, per quanto scarsa o forse proprio per questo, fa fare molti più soldi della verità. E che, allo stato, Facebook non stia vincendo la battaglia contro le fake news è sotto gli occhi di tutti. Il sospetto che questa decisione sia anche una resa ci sta tutto.
Insomma, mentre giornalisti, studiosi, editori in tutto il mondo si interrogano su come trovare forme di sostenibilità per l’informazione, indispensabile alla formazione dell’opinione pubblica, e quindi alla democrazia, Zuckerberg fa un’inversione a 180 gradi e promette cambiamenti radicali all’algoritmo che ci fa visualizzare i contenuti sulla piattaforma: da oggi saranno privilegiati i contenuti pubblicati dagli amici e dai parenti che inevitabilmente toglieranno spazio alle news e ai contenuti pubblicati dai siti di informazione.
Ecco, il “principe” ha deciso cosa si debba vedere o non vedere nel suo regno dove non tramonta mai il sole. Sarà un bene? Sarà un male? Lo vedremo presto. Personalmente ho già preso la mia decisione. Amici e parenti, no grazie: preferisco vederli di persona o chattare su WhatsApp quando ne ho voglia o necessità. Di selfie e di sbirciare la “vita degli altri” posso fare a meno. Per le news, invece, mi rivolgerò altrove: Twitter, finché resisterà, o, come si faceva un tempo, navigando da un sito di news all’altro fuori dalle recinzioni di “casa Zuckerberg”.