La democrazia è in crisi. Almeno questo è quanto emerge da una mappa pubblicata dalla Freedom House, l’organizzazione non governativa finanziata dalla Casa Bianca. Alcuni valori democratici fondamentali, in particolare, sono sempre più minacciati o cancellati. Come il diritto di poter scegliere i propri leader attraverso giuste e libere elezioni. O la possibilità di avere una stampa libera e indipendente. O, infine, di poter contare su una giustizia al di sopra di tutte le parti. Secondo il rapporto della Freedom House il 45% dei paesi possono essere considerati liberi, il 30% parzialmente liberi e il 25% non liberi. Numeri che variano sensibilmente se si prende in considerazione la popolazione globale nella sua complessità.
Un peggioramento che non si ferma
Per il dodicesimo anno consecutivo i paesi che hanno visto peggiorare la loro condizione democratica sono più numerosi rispetto a quelli che hanno guadagnato diritti. Settantuno paesi, nel 2017, hanno ridotto le libertà concesse ai propri cittadini. Solo trentacinque hanno registrato dei miglioramenti.
Le criticità maggiori
Tra le nazioni che l’analisi della Freedom House definisce “not free”, non libere, alcune stanno peggio di altre. A dominare questa classifica c’è la Siria. Seguono due paesi africani, il Sud Sudan e l’Eritrea, e appena fuori dal podio il regime della Corea Del Nord. I motivi che hanno portato questi paesi a entrare in questo elenco sono facili da immaginare: guerre civili, dittature, governi corrotti o regimi militare.
Il pericolo di una memoria sempre più corta
Secondo Freedom House, anche a causa dell’ascesa dei partiti populisti, si sta correndo il rischio che i più giovani, che hanno meno memoria delle lotte contro i totalitarismi, perdano fiducia e interesse nei progetti democratici. L’idea stessa di democrazia è offuscata da un mondo che sembra impotente davanti a un fenomeno che spesso non si mostra in maniera evidente. Cina e Russia, ad esempio, hanno intensificato negli ultimi dodici mesi il controllo interno, alimentando repressioni sempre più forti e meno plateali. Dai tribunali politicizzati a un costante rifiuto del dissenso, dall’eliminazione degli oppositori all’oscuramento di giornali e portali online. Forme di autocrazie che vengono imitate da molti Paesi.
Gli Stati Uniti di Trump
Il primo anno della presidenza Trump ha portato gli Stati Uniti a ritirarsi dal ruolo di promotori della democrazia nel mondo. Trump ha dichiarato più volte di voler rivedere molti tratti internazionali e di pensare, prima di ogni cosa, al benessere dei suoi concittadini. American First, sempre e comunque. Se con Obama, almeno a parole, era ancora vivo il desiderio di alimentare un mondo più libero e solidale, con Trump questa visione è stata esplicitamente accantonata. II suo disprezzo per la stampa e, in alcuni casi, per giudici e altri rappresentanti della libertà ha contribuito ad alimentare un clima di intolleranza e rabbia. Senza considerare le misure contro l’immigrazione come il Muslim Ban o la volontà di erigere muri e divisioni. In un periodo in cui milioni di persone, in tutto il mondo, sono state costrette a fuggire dalla guerra, dal terrorismo e da repressioni etniche, gli Stati Uniti hanno limitato la loro capacità di accoglienza. Azioni che hanno fatto precipitare una situazione in lento declino dal 2008
Chi sale e chi scende
Ecuador e Nepal sono le realtà che hanno registrato i miglioramenti più evidenti. Il paese sudamericano, governato dal presidente Moreno, ha limitato fenomeni come la corruzione e le pressioni sui media. Le elezioni in Nepal, invece, hanno registrato pochissimi casi di violenze e una maggiore affluenza alle urne. Turchia e Zimbabwe, ma anche paesi come Ungheria, Hong Kong, Bolivia e Cambogia sono state teatro di cambiamenti che hanno limitato le libertà democratiche in mano ai loro cittadini.
E in Europa?
Freedom House ha manifestato una certa preoccupazione riassumendo quello che è successo e sta succedendo a livello politico in molti Paesi europei. L’ascesa di Marine Le Pen, la vittoria in Austria del partito anti-migranti, le prese di posizione di paesi come Ungheria, Serbia e Polonia. E poi, come accennato in precedenza, il problema rappresentato dalla Turchia, nazione che è stata etichettata come “not free”. Una caduta libera iniziata nel 2014 e che riflette il tentativo di controllo, tra arresti e repressioni, da parte di Erdogan. E sono i numeri a impressionare: dopo il tentativo fallito di colpo di stato 60mila persone sono state arrestate, più di 100 sindaci sono stati sostituiti, 160 mezzi d’informazione sono stati chiusi e 150 giornalisti sono stati arrestati e imprigionati. Nonostante ciò, in Europa l’85% della popolazione vive sotto governi che preservano e rispettano i valori democratici. Una percentuale destinata a diminuire ancora?