Sarebbe errato non prestare la dovuta attenzione all’arresto della signora Meng Wanzhou, numero due del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei e figlia del suo fondatore. L’episodio costituisce un pericoloso e azzardato salto di qualità del conflitto che da un anno a questa parte contrappone gli Stati Uniti alla Cina, ma nello stesso tempo aiuta a mettere a fuoco i grandi movimenti in corso nei rapporti internazionali.
Secondo le poche informazioni sin qui filtrate, l’arresto sarebbe stato operato dalla magistratura canadese su richiesta di quella statunitense che ha chiesto l’estradizione. L’accusa che viene rivolta alla dirigente cinese riguarderebbe presunte violazioni delle sanzioni americane nei confronti dell’Iran.
Cosa c'entra l'Iran
Cominciamo da queste ultime. Nel 2015 fu raggiunto un accordo fra l’Iran da una parte e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania e l’Unione Europea dall’altra con il quale la repubblica persiana rinunciava a portare avanti il suo programma nucleare – che peraltro asseriva avere solo fini civili – in cambio della graduale cessazione delle preesistenti sanzioni.
Nonostante l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), incaricata di verificare il rispetto di quanto concordato, avesse assicurato che l’Iran aveva puntualmente assolto tutti gli impegni previsti, nel maggio di quest’anno gli Stati Uniti decidono di ritirarsi unilateralmente dall’accordo e impongono nuove sanzioni più pesanti delle precedenti. Questa decisione viene giustificata con la necessità di punire l’Iran per le sue attività “destabilizzanti” nel Medio Oriente e per l’appoggio a movimenti terroristi.
La fine della vecchia geopolitica
E’ vero che, come diceva Hitler, gli accordi internazionali sono pezzi di carta, ma ciò che appare sconcertante è che la decisione degli Stati Uniti sia avvenuta in completo disaccordo con tutti i suoi principali alleati, quasi a delineare, assieme ad altre iniziative simili (ritiro dall’accordo sul clima, dal Nafta, dall’accordo transpacifico, sino all’imposizione di dazi) la fine dell’assetto geopolitico nato nel dopoguerra e l’ingresso in un periodo di grave incertezze verso la definizione di un nuovo equilibrio. Valga per tutte la reazione di Draghi: “Se questi sono i nostri amici, cosa dobbiamo pensare dei nemici?”.
Anche le motivazioni poste a base del ritiro unilaterale dall’accordo suscitano perplessità. E’ ben noto che il terrorismo islamico e i movimenti che lo supportano (Al qaeda, Isis, Talebani) sono tutti di matrice sunnita e come tali nemici giurati dell’Iran sciita. Tali movimenti inoltre sono in larga parte finanziati dai paesi del Golfo e in particolare dall’Arabia Saudita, cosa ben nota all’amministrazione americana, come risulta, fra l’altro, da alcune mail della Clinton pubblicate due anni fa sul sito Wikileaks. Tuttavia, ancora recentemente e nonostante il caso Khashoggi, Trump ha ribadito che l’Arabia Saudita resta un alleato insostituibile. Lascio ai lettori il compito, facile, di individuare gli interessi che sono dietro queste scelte solo apparentemente incomprensibili.
Il trucco degli americani per incastrare chi viola l'embargo
Ma torniamo alla signora Wanzhou, la quale, come si è detto, sarebbe accusata non aver rispettato il regime di sanzioni americani verso l’Iran. Già questo può apparire curioso; le sanzioni sono state decise unilateralmente dagli Stati Uniti, i quali, fino a prova contraria, hanno giurisdizione solo sulle proprie imprese e la Huawei è un’azienda cinese.
Ma gli Stati Uniti sono ricorsi a un escamotage, introducendo le cosiddette “sanzioni secondarie”; in sintesi, è stato stabilito che le imprese di altri Paesi che continueranno a fare affari con l’Iran non potranno più lavorare negli Stati Uniti e, in taluni casi, sono state previste anche della sanzioni penali a carico dei relativi dirigenti. Gli Usa hanno così sfruttato la propria posizione di principale centro finanziario ed economico del mondo per estendere la propria giurisdizione oltre i propri confini.
Gli Stati Uniti sono inoltre in grado di monitorare le eventuali transazioni con l’Iran, avvalendosi del fatto che ancor oggi il dollaro resta di gran lunga la principale valuta per le transazioni internazionali le quali per la maggior parte transitano per l’infrastruttura della Swift, con sede a Bruxelles ma a cui le autorità americane sono riuscite ad avere pieno accesso, come rivelato dal New York Times nel 2016.
Come l'Europa ha cercato di correre ai ripari
A fronte di questa situazione, l’Unione Europea, che ritiene di proprio interesse mantenere vivo l’accordo con l’Iran, ha avviato un progetto volto ad accrescere la quota di transazioni con paesi extra Ue regolate in euro, introducendo nel contempo un sistema proprietario alternativo alla Swift. Tuttavia, questo progetto incontra non poche difficoltà di carattere tecnico e politico e occorrerà tempo perchè veda la luce. Esso riflette tuttavia la consapevolezza da parte delle autorità europee dei movimenti in corso negli assetti geopolitici e della necessità di farvi fronte autonomamente.
La vicenda della signora Wanzhou suggerisce un’ulteriore riflessione. Essa segue infatti una campagna avviata nell’ultimo mese dagli Stati Uniti con cui i governi “alleati” sono stati invitati a disdire i contratti gia stipulati con Huawei per la costruzione delle infrastrutture telefoniche, con particolare riguardo a quelli relativi alla nuova tecnologia 5G. Huawei è leader mondiale di queste infrastrutture tecnologiche e si teme che per il loro tramite le autorità possano svolgere attività di spionaggio o anche di sabotaggio. Si tratta di un rischio concreto.
La Cina è un grande Paese con una grande civiltà alle spalle che vuole riconquistare il ruolo che ritiene le competa dopo le umiliazioni subite in passato per mano degli “occidentali”. E’ probabile per non dire certo che nella competizione che si va sviluppando essa si avvalga anche delle infrastrutture delle telecomunicazioni e del web, attraverso le quali, oltre a svolgere spionaggio, si possono bloccare tutte le attività di un paese.
Ricordate cosa raccontava Snowden?
Purtroppo questi pericoli non vengono solo dalla Cina. E’ emblematico che i Paesi che hanno aderito subito all’invito a rompere i rapporti con Huawei sono il Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda. Sono gli stessi che, assieme al Canada (coinvolto nella vicenda della signora Wanzhou), condividono il sistema Echelon, utilizzato per intercettare telefonate, mail, fax e telex che viaggiano nelle reti di telecomunicazione. Sicuramente si ricorderà lo scandalo, poi sopito, quando venne alla luce che esso veniva utilizzato anche per spiare le imprese e i governanti dei paesi alleati che non facevano parte del cerchio superiore dei cinque stati sopra ricordati, tutti di origine anglosassone. Condiviso e anch’esso gestito dall’agenzia americana Nsa è anche il progetto di sorveglianza elettronica ancora più invasivo denominato Prism e portato alla luce più recentemente da Edward Snowden.
E allora i big Usa?
Se questo è lo stato dei nuovi rapporti che si vanno delinenando fra Europa e Stati Uniti, come trascurare il fatto che pressochè tutte le grandi aziende che offrono servizi sul web (Google, Facebook,Microsoft,Skype, Apple, Yahoo, ecc.) sono americane e che attraverso questi servizi esse acquisiscono informazioni di dettaglio sui soggetti che ne usufruiscono? E’ significativo che tutti questi fornitori di servizi hanno collaborato e collaborano con il progetto Prism, come svelato da Snowden.
Recentemente è sorto un dibattito sulla ineluttabilità della divisione in due parti separate del web, amministrate rispettivamente dagli americani e dai cinesi. Forse sarebbe il caso di cominciare a pensare anche a un web autonomo degli europei.
Un’ultima notazione, anche a beneficio di chi critica il progetto europeo. Di fronte alle grandi sfide che dovremo affrontare in un mondo i cui assetti geopolitici sono in rapida evoluzione, l’unica opzione che abbiamo è quella di un rafforzamento dell’Unione Europea, acquisendo quella massa critica necessaria per competere da protagonisti con le altre potenze. Come ha detto recentemente la Merkel in reazione ad alcune iniziative del presidente Trump, “è tempo che prendiamo in mano da soli il nostro destino”.