Papa Francesco, che sta per varare la Riforma della Curia Romana (il testo è pronto, ma non è nota la data di pubblicazione) ha deciso nei giorni scorsi due nomine che sembrano destinate a cambiare non poco l’immagine (e non solo) della Chiesa Cattolica. La prima è quella del sostituto della Segreteria di Stato Angelo Giovanni Becciu, che è stato promosso cardinale e da settembre guiderà la Congregazione della Cause dei Santi. Lascia un ruolo chiave: al numero due della Segreteria di Stato in buona sostanza è affidata la gestione pratica di tutta l’attività pontificia, dai viaggi ai discorsi, alle nomine per assumere un ruolo molto importante sotto il profilo liturgico e teologico ma all’apparenza scarsamente rilevante sotto il profilo politico e pastorale. Ma che c’entra un diplomatico che ha alle spalle lo scongelamento dei rapporti tra la Santa Sede e i fratelli Castro (era nunzio a Cuba) con la proclamazione di beati e santi si sono chiesti in molti. E invece c’è una spiegazione molto semplice: Papa Francesco vuole che le cause dei santi procedano secondo tutti i crismi stabiliti (e dunque in modo teologicamente sicuro) ma la loro priorità sia stabilita seguendo l’urgenza pastorale, ovvero si consideri l’impatto che la figure indicate dalla Chiesa come esempi da seguire possono avere nelle situazioni concrete di oggi.
La 'fama di santità' scolora con il tempo
Chi meglio di un uomo che fino ad oggi è stato immerso nelle questioni politiche e diplomatiche che riguardano la Chiesa può comprendere quanto sarebbe importante beatificare in tempi rapidi non più religiose fondatrici di istituti in via di estinzione (che poco hanno da dire oggi) ma un uomo come il professor Enrico Medi, grande fisico e politico cattolico (ma anche conduttore televisivo di storici programmi Rai di approfondimento scientifico) scomparso nel 1974 del quale è in corso (molto lentamente) l’iter per il riconoscimento delle virtù eroiche. Nell’agosto 1955 Pio XII volle Enrico Medi capo delegazione della Santa Sede alla conferenza di Ginevra su-gli usi pacifici dell’energia atomica, problema che gli stava molto a cuore, essendo sempre più convinto che il progresso nel settore nucleare avrebbe avuto una positiva ricaduta sulla vita di tutti i popoli.
Le testimonianze raccolte hanno accertato quanto Medi fosse sensibile ai poveri, ai disagiati, agli indigenti. Con una generosità senza misura: durante la guerra di liberazione dall’occupazione nazista – ad esempio – si era offerto in ostaggio per salvare due persone che stavano per essere fucilate. Un personaggio credibile che se fosse beatificato rappresenterebbe un esempio virtuoso del dialogo tra scienza e fede. Ed è proverbiale il suo amore per l’Eucaristia, tanto che fu autorizzato dalle autorità ecclesiastiche a tenere cappella e tabernacolo in casa.
Ma le procedure vaticane sono davvero troppo lente e le beatificazioni arrivano quando il testimone di fede appartiene ormai a un lontano passato e beatificarlo non serve nemmeno più. E inspiegabilmente costose: secondo il Catholic News Service (Cns) avveduta agenzia stampa della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, una causa di canonizzazione può costare fino a 250mila dollari. Le spese possono includere il viaggio dei testimoni, l’esumazione del candidato, la pubblicazione della “positio”, le spese per i consulti teologici, storici, medici, le cerimonie. Duecentocinquantamila dollari, mica bruscolini. Non tutti possono permetterseli. E non tutti vogliono. Ha raccontato infatti al Cns monsignor Greg Mustaciuolo, postulatore per la canonizzazione di Dorothy Day, fondatrice del movimento dei lavoratori cattolici, che chi vuole Dorothy Day santa, infatti, i soldi che ha preferisce darli ai poveri. Per questo quasi mai i laici arrivano agli altari e le beatificazioni per la stragrande maggioranza riguardano fondatori e fondatrici di Istituti religiosi che questa spesa possono permettersela.
Le cause che non avanzano
Ma il problema non è solo economico. E’ teologico: il vero criterio sicuro e cioè la “fama di santità” viene di fatto lasciato cadere perché il tempo inevitabilmente scolora i ricordi, mentre andrebbe ascoltato subito il popolo che - come spiega la teologia del popolo di cui Francesco è seguace - è detentore della verità in quanto il Vangelo è incarnato nel suo cuore. Dunque serve un ripensamento profondo di queste prassi che rallentano il grande beneficio per le anime offerto dal riconoscimento di santi esemplari le cui “pratiche” restano nei cassetti: martiri come don Diana e il commissario Calabresi (la cui causa stenta ancora ad avviarsi a Milano), testimoni come don Picchi e don Di Liegro (per i quali il Vicariato di Roma non ha nemmeno chiesto l’avvio ufficiale delle cause). E dopo 9 anni la causa di Chiara Lubich, vero gigante della spiritualità e del dialogo, è ancora alla fase diocesana che viene celebrata a Frascati. In Italia, in particolare, sono in attesa di essere riconosciuti beati personalità come Giorgio La Pira, Benigno Zaccagnini e Alcide De Gasperi. Tre politici cattolici che hanno testimoniato con molto coraggio la propria fede. Ma per ciascuno di loro il traguardo sembra ancora abbastanza lontano.
Infine non è ancora stata avviata dall’Arcidiocesi di Milano la causa per Luigi Calabresi il commissario ucciso 45 anni fa a Milano, anche se già 10 anni fa l’allora vicario di Roma, il cardinale Camillo Ruini, ha concesso il suo nulla osta per l'avvio della fase preliminare della causa di beatificazione autorizzando la raccolta di documenti e testimonianze tra le quali c’è anche quella di Enzo Tortora, il presentatore e giornalista che fu a sua volta vittima di un linciaggio morale e che come cronista aveva conosciuto bene Calabresi quando frequentava la Questura di Milano. "Non odio i miei nemici, provo angoscia per loro, non odio", gli aveva confidato il commissario nel momento per lui più difficile, quando la stampa di sinistra lo aveva dichiarato colpevole senza processo e senza appello.
"Calabresi - ha scritto Tortora nel documento pubblicato nel 2007 dal quotidiano cattolico Avvenire - credeva in Dio fermamente". Don Innocenti ha rivelato a sua volta anche un altro episodio molto significativo: per metterlo al riparo da possibili attentati, padre Rotondi (sacerdote molto conosciuto per il suo apostolato radio televisivo e unanimemente stimato) aveva cercato di far trasferire Calabresi all'Ispettorato di polizia del Quirinale, ma il giovane funzionario aveva voluto rimanere al suo posto. Lì dove lo raggiunsero i colpi di pistola.
La “svolta” che porterà Galantino all'APSA
Ma c’è stata in questi giorni anche un’altra nomina che ha destato meraviglia in molti, ed in alcuni (come chi scrive) speranza. Quella di monsignor Nunzio Galantino alla guida dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. In effetti nei giorni scorsi i commenti su questa decisione assolutamente inedita del Papa si erano concentrati sull’ufficio di segretario della Cei che il vescovo pugliese si appresta a lasciare, dopo averlo esercitato in modo molto personale, fuori dagli schemi e alle dirette dipendenze del Papa che voleva un cambiamento di passo della Chiesa Italiana e lo aveva chiamato per questo dalla difficile realtà di Cassano allo Ionio, dove era pastore molto amato dalla sua gente. Un consenso generalizzato che nel nuovo incarico difficilmente poteva essergli confermato: i cambiamenti anche nella Chiesa lasciano sempre qualcuno deluso, cioè chi perde potere e prebende. Ma il ruvido prelato non ci ha fatto molto caso nei circa 4 anni alla guida della struttura centrale della Chiesa Italiana, ed proprio per questo che probabilmente è la persona giusta per rivoluzionare l’Apsa, un organismo che Benedetto XVI e Papa Francesco hanno provato più volte a sottoporre a revisioni e controlli, ma che alla fine è sempre riuscito a recuperare la sua autonomia gestionale, all’insegna del detto “pecunia non olet”.
Altro che la Beata Imelda
"L'Apsa faceva quello che non doveva, perché è diventata una seconda banca del Vaticano concorrente dello Ior. Il caso Giampietro Nattino lo segnalai prima degli altri. I correntisti laici sono nascosti dietro conti cifrati, fondazioni, rubriche, lettere dell'alfabeto", ha raccontato ad esempio monsignor Nunzio Scarano, l’ex contabile dell’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica aveva descritto in quest termini la propria attività durante il processo che lo ha visto come imputato per il reato di riciclaggio. Proprio su di lui Papa Francesco nel luglio del 2013, nella sua prima conferenza stampa in aereo, tornando dal Brasile, aveva fatto quella celebre battuta: “non è mica la beata Imelda!”. Parole che dichiaravano la consapevolezza del Papa riguardo alla necessità di una seria riforma di questo Ente. Ma fin qui i ripetuti tentativi non sono andati in porto: nel 2011 Benedetto XVI lo aveva sottoposto al controllo dell’Aif, l’authority indipendente che controlla lo Ior, ma il provvedimento fu poi annullato. E all’inizio, nel 2014, da Papa Francesco l'Amministrazione era stata inizialmente privata della gestione dei beni immobili per affidarla alla neonata Segreteria per l’Economia del cardinale australiano George Pell, che diventava controllore e controllato allo stesso momento. Ma questa decisione era durata poco, circa tre mesi: dopo un colloquio con il precedente presidente, il cardinale Domenico Calcagno, il Papa modificò il “rescritto” e restituì la gestione degli immobili all’Apsa, al termine di un braccio di ferro con la Segreteria per l'Economia, che da un anno circa (da quando il cardinale George Pell è in Australia per difendersi dalle accuse di pedofilia) è guidata di fatto dal segretario monsignor Luigi Mistò, un milanese abile nella gestione dei conti economici che ha riportato pace nei rapporti con le altre strutture curiali.
Lo stile ruvido del numero due della Cei
In una conversazione con il vaticanista della Reuter Phil Pulella, il Pontefice ha parlato pochi giorni fa in termini non positivi della situazione degli immobili, gestiti da un altro organismo, l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica). “Un problema che mi preoccupa tanto è che non c’è chiarezza negli im-mobili. Ci sono tanti immobili pervenuti per donazione, o acquisto. Si deve andare avanti con una chiarezza. Questo dipende dall’Apsa”, ha detto Papa Francesco nell’intervista. In quell’occasione il Papa ha anche annunciato la nomina dei nuovi vertici dell’Apsa “alla fine del mese”, dopo le dimissioni da presidente del cardinale Domenico Calcagno per raggiunti limiti d’età. “Sto studiando i candidati con un atteggiamento più rinnovato, (serve) una persona nuova dopo tanti anni. Calcagno conosce bene il funzionamento, ma forse la mentalità deve essere rinnovata”, ha aggiunto il Pontefice. Questa riflessione ha portato dunque Francesco a scegliere il 70enne Galantino, uomo poco incline ai compromessi etici e politici, dunque la persona giusta per moralizzare un settore che di fatto è una sorta di giungla.
In effetti, l’Apsa da sempre è uno dei dicasteri chiave nel potere vaticano, pietra miliare delle finanze, oltre che degli immobili. Secondo una valutazione del Sole 24 Ore, basata su stime convalidate da fonti interne alla Curia, l’Apsa può disporre di immobili “non funzionali”, quindi liberi da vincoli di uso strumentale (come i palazzi pontifici, sia dentro le mura che nelle aree extra territoriali) del valore di circa tre miliardi, tra Roma, Milano e alcune capitali estere. Inoltre l’Apsa ha un suo portafoglio di investimenti finanziari, che non è mai rientrato nella concentrazione in un unico “vatican asset management” come era stato pensato all’inizio della riforma delle finanze, progetto poi evaporato come altri. Per quanto riguarda questo aspetto c’è una “leggenda nera” che parla di partecipazioni azionarie in fabbriche di armi.
“Io sono appena arrivato e non conosco ancora le cifre. Di una cosa però sono certo: i beni che appartengono al patrimonio della Santa Sede hanno come fine gli obbiettivi propri della missione della Chiesa, per permettere alle sue strutture di agire in favore degli ultimi. È chiaro che il Papa ci sta invitando sempre più a vivere e agire in maniera sobria”, ha detto Galantino al Corriere della Sera subito dopo la nomina. “Una cosa dev’essere chiara: è demagogico ritenere che una grande quantità di risorse sia in sé il male. Lo stesso Papa ha detto con grande chiarezza che non è il denaro ad essere cattivo, siamo noi renderlo cattivo. Io posso avere cento euro e usarli male o dieci milioni e usarli bene. Esistono innumerevoli progetti realizzati dalla Santa Sede o dalle Chiese locali, anche se spesso non se ne parla. In ogni viaggio Francesco porta aiuti e chiede siano realizzati segni concreti di presenza caritatevole. Come i suoi predecessori: c’è una continuità nell’azione della Chiesa in favore dei più poveri del pianeta”.