Teocon. Come dire, un conservatore che pensa lo sia anche Dio. Questa definizione torna di moda ogni volta che negli Stati Uniti viene eletto un presidente repubblicano. E se ne dovrebbe parlare con rispetto perché tra loro ci sono stati intellettuali americani come Irving Kristol, neocon d’ispirazione cristiana che negli anni settanta assunse posizioni critiche verso la sinistra (da cui proveniva, specularmente alla parabola di Trump, ex democratico).
Ma proprio per il loro radicamento nella fede cristiana garantiva che non fossero isolazionisti in politica estera, né rigidamente liberisti in politica economica: favorevoli, dunque, a politiche di deficit spending, cioè a usare il deficit del bilancio statale come mezzo per stimolare l'economia. Anche se George W. Bush dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 si richiamò alle loro teorie per giustificare i suoi interventi militari in funzione antiterroristica in Afghanistan e anti Saddam in Iraq, come anche per riempire Guantanamo e istituirvi un tribunale speciale (cose che con il Vangelo oggettivamente c’entrano pochissimo).
La scomparsa del più prestigioso teocon: Novak
E in questi giorni si parla degli intellettuali teocon per la scomparsa di quello che attualmente era forse il più prestigioso tra loro: Michael Novak. “Ha amato la Chiesa e ha amato l’America. Era convinto che questi due amori fossero perfettamente compatibili l’uno con l’altro e anzi che la Chiesa avesse bisogno dell’America e che l’America avesse bisogno della Chiesa”, ha scritto l’Osservatore Romano ricordandolo in un articolo a firma di Rocco Buttiglione, l’ex leader del Ppi, che descrive l’America sognata da Novak come “il paese del libero mercato” dove ogni persona potrebbe avere l’opportunità di realizzare i suoi sogni. Era un uomo, giura Buttiglione, che guardava con rispetto a Papa Francesco e credeva “nelle grandi potenzialità di questo pontificato per gli Stati Uniti”.
Poi, il razzista Bannon
A differenza di quanto avvenne con le presidenze di Reagan e dei due Bush, che li hanno valorizzati, però, l’elezione di Trump ha assestato ai teocon un colpo mortale, perché li costringe a spartire questa definizione con Stephen Bannon, chief strategist e consigliere anziano della Casa Bianca, già consigliere di Sarah Palin e direttore di Breitbart News, il sito di ultradestra che ha raccolto l’eredità di Drudge Report. Un razzista che appoggia il movimento alt-right nato su internet e ossessionato dalla virilità e dai “privilegi dei bianchi”. Sul suo sito Bannon è riuscito a far convergere la rabbia dell’estrema destra, finora completamente disorganizzata, verso l’islam, gli omosessuali, gli ebrei e la società liberale. Su Breitbart il femminismo è paragonato al cancro e Obama è accusato di aver “importato” negli Stati Uniti sempre più musulmani “colmi d’odio”.
Un personaggio inquietante, che fa apparire il nostro Salvini come un boy scout. E che condivide con quest’ultimo un filo diretto con il cardinale Leo Raymond Burke, capofila degli oppositori a Papa Francesco, momentaneamente fuori gioco perché impegnato nel Pacifico (notare la maiuscola) come giudice in un processo ecclesiastico. Una risposta molto chiara alle argomentazioni di Bannon è contenuta nella lettera di Papa Francesco ai Movimenti Popolari inviata al recente incontro in California, nella quale si legge:
"Nessun popolo - afferma il Papa - è criminale o narcotrafficante o violento". Secondo Francesco, infatti, "ci sono persone fondamentaliste e violente in tutti i popoli e in tutte religioni, che si rafforzano anche con le generalizzazioni intolleranti, e si nutrono dall'odio e dalla xenofobia". Proprio come Bannon.