“Padre vescovo, se viene da me qualcuno a confessarsi e mi dice che appoggia la politica dei respingimenti di Salvini posso dargli l’assoluzione?”. Questa domanda è stata posta da un sacerdote a monsignor Raffaele Nogaro, il vescovo emerito di Caserta, un pastore molto vicino ai poveri e sempre in lotta contro l’ingiustizia. “Devi dirgli soltanto - è stata la disarmante (e disarmata) risposta del presule - ‘Cristo dice alcune cose e Salvini il contrario. Decidi tu se puoi accedere a questo sacramento. Che comunione facciamo con il corpo di Gesù se poi calpestiamo la sua carne viva nei deboli?”.
A riferire il colloquio è stato lo stesso sacerdote che aveva posto la domanda a monsignor Nogaro, prendendo la parola al termine della liturgia presieduta da padre Alex Zanotelli nella cripta della Basilica di San Pietro, a conclusione del “digiuno a staffetta” che ha impegnato numerosi religiosi e laici per dieci giorni davanti a Montecitorio.
Le parole profetiche del vescovo, riportate dal religioso, sono risuonate dunque nel luogo simbolo del cattolicesimo, accanto cioè alla Tomba di San Pietro. “C’è qualche cristiano che pende dalla bocca di Salvini. Siamo davanti all'anticristo”, ha continuato il sacerdote. La forza di “padre vescovo”, come lo chiamano i fedeli della di Caserta, è il coraggio che ha quest’uomo ormai fisicamente molto fragile, di sfidare il potere e le convenzioni che talvolta impongono anche alla gerarchia cattolica una linea di prudenza antievangelica: Gesù non ha cercato di salvarsi dalla Croce venendo a patti con i sacerdoti del tempio, nè con Erode, e Ponzio Pilato. “Se non sapete dove andare scegliete la strada della profezia e non quella della diplomazia”, ha suggerito Nogaro ai giovani dell'Agesci di Caserta.
"Moralmente e da uomo di fede - ha dichiarato recentemente il vescovo emerito, suscitando un vespaio di polemiche - sarei pronto a trasformare tutte le chiese in moschee se fosse utile alla causa e se consentisse di salvare la vita di uomini e donne, poveri e infelici, perché Cristo non è venuto sulla terra per costruire chiese ma per aiutare gli uomini indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla nazionalità. E invece ci sono politici che nei loro comizi continuano a predicare le espulsioni e la cosa peggiore è che lo fanno con la corona e il rosario in mano e nominando il nome di Dio invano, un peccato molto grave". Una denuncia, quella di Nogaro, che si estende ai “chierici plaudenti”. A fornire Vangelo e rosario a Salvini perché ne facesse strumenti di propaganda elettorale davanti al Duomo di Milano, è stato infatti un sacerdote molto spesso consultato dai media.
Una propaganda antiumana e diseducativa
Nella cappella detta degli ungheresi nelle Grotte Vaticane, anche padre Alex ha citato monsignor Nogaro per dire con lui “basta con questa propaganda antiumana e diseducativa che sta facendo scivolare l’intero Paese verso la disumanizzazione”.
“Dobbiamo contrastare - ha denunciato il missionario comboniano - quello che viene propagato ad arte. Invitiamo i funzionari della polizia alla disobbedienza civile per impedire che si possano deportare persone verso Paesi dove rischiano la vita”. All’offertorio i fedeli presenti (in maggioranza ragazzi dell’Agesci) hanno portato sull’altare anche dei fogli con i nomi di una parte dei migranti morti nel Mediterraneo negli ultimi mesi. “33 mila sono i morti accertati nei naufragi. Raddoppiateli per comprendere quelli morti nel deserto e vedete che razza di catastrofe abbiamo davanti”, ha commentato padre Alex. “Il digiuno – ha concluso – è stata la nostra maniera di reagire davanti alle ingiustizie fatte ai poveri”. “Padre – ha poi invocato nella messa – ascolta questa preghiera: il grido dei deboli, dei migranti e dei poveri. Vieni presto a liberarli, te lo chiediamo per Cristo Nostro Signore. Accogli anche il nostro sforzo, affinché rafforzi la concordia tra tutti i suoi figli. E’ veramente bello lodarti e ringraziarti, per il dono della vita, per il dono di questo splendido Pianeta e soprattutto per il dono di Gesù che ha annunciato al mondo che tu sei Papà, il padre di tutti”.
Importante e significativo è stato il fatto che la celebrazione conclusiva del “digiuno a staffetta” si sia tenuta nelle Grotte Vaticane perché autorizzata dalle autorità del piccolo Stato, anche se ci sono state difficoltà per i giornalisti che volevano accedere al rito, superate grazie ad un intervento della Sala Stampa della Santa Sede.
L’incontro con Papa Francesco
In realtà quelli che si occupano di ordine pubblico in Vaticano (e nei viaggi papali) seguono logiche abbastanza lontane dalla forza profetica di uomini come monsignor Nogaro e padre Zanotelli: basti pensare alla decisione (fatta trapelare) di dotarsi di pistole elettriche, alle esercitazioni fatte dalla Gendarmeria insieme agli incursori di Marina e al piantone con mitra e giubbotto antiproiettile che staziona a Porta Sant’Anna, l’ingresso più trafficato della Città del Vaticano.
Ben altro è lo spirito di Papa Francesco che le persone tende ad abbracciarle e si lascia abbracciare e circondare dalla gente, proprio come faceva Gesù. Se San Pietro non aveva una banca, come ama ricordare Bergoglio, Gesù non aveva la scorta e al primo Papa chiese di rinfilare la spada nel fodero. “Ti conosco, Nogaro”, ha detto con gioia lo stesso Francesco quando il vescovo emerito di Caserta si era confuso fra i preti venuti ad accogliere il Papa nella città campana, il 26 luglio 2014. “Non credevo che mi conoscesse e ho provato una profonda commozione”, ha raccontato l’anziano presule, rievocando il momento quando Francesco gli si è avvicinato nella Cappella Palatina della Reggia di Caserta e Nogaro ha fatto il gesto di donargli la propria croce. “Lui l’ha presa, l’ha guardata, ha esitato e poi - sono le parole di Nogaro - me l’ha restituita e messa al collo, dicendomi, con un sorriso, che la benediceva, così, ogni giorno, portandola con me, avrei dovuto pregare per lui. Ora questa croce mi è estremamente più cara”. “Il Santo Padre ha il dono di entrare in sintonia con chiunque gli si avvicini. Mi hanno colpito la sua semplicità, schiettezza, il sorriso aperto e sincero. Riesce a mettere a proprio agio chiunque gli si avvicini”.
Lo stesso accade a chi incontra “padre vescovo”. “Un prete povero fra i poveri”, lo ha definito don Luigi Ciotti, durante una veglia con i familiari delle vittime della mafia e con Papa Francesco, nella parrocchia romana di San Gregorio VII, dove era parroco padre Paolo Maiello, un frate che sa stare con la gente, nemico di un eccessivo formalismo liturgico che sembra tornato di moda. Monsignor Nogaro vive infatti con sobrietà il suo tramonto: la malattia lo ha reso fragile, ma non gli ha mai impedito di tenere la porta di casa sempre aperta per accogliere chi bussa.
Difendere l'uomo con la stessa sacralità con la quale preghiamo
“Vorrei - ha confidato Nogaro a Mariapia Bonanate di Famiglia Cristiana - che la mia Chiesa fosse di frontiera, non di vertice, protesa verso i bisogni dell’uomo. Una Chiesa che sta in mezzo alla gente comune, non è chiusa tra quattro mura, in una curia dorata, inaccessibile ai più, perché la frontiera è fuori dal tempio. E’ il luogo dell’imprevisto, dell’inedito. E’ il luogo dell’originale. E’ la meta agognata, il luogo dell’uomo sempre nuovo e sempre in attesa di una patria. E’ questa la Chiesa che ogni giorno sogno di vedere”. E quando gli è stato chiesto se ritrovasse queste sue idee nel magistero di Francesco, ha risposto: “si, l’ho ritrovata con tanta commozione. Francesco è l’uomo del Vangelo. Un uomo fra gli altri uomini. Non è un uomo di chiesa–istituzione. Per lui il Vangelo è al di sopra del papa, dei concili, della teologia e del diritto canonico. In questo modo lo ha reso attuale nella vita di tutti i giorni. Ogni suo gesto, ogni sua parola testimonia una Chiesa vera e genuina. Un “ospedale da campo” che provvede all’emergenza. Non giudica, non si ferma a dire la verità, non condanna. Dona a tutti, senza distinzioni e continuamente, l’amore del Padre per tutte le genti. Dobbiamo aiutare Francesco a riscattare il Dio di Gesù che è ricolmo di tenerezza, prende su di sé tutto il dolore umano, si commuove e piange di fronte all’ammalato e alla vittima. S’indigna di fronte all’ipocrisia e all’ingiustizia. Dobbiamo convertirci, non solo cambiando condotta morale o mentalità, ma assumendo Cristo come espressione del nostro vivere e del nostro agire. Dobbiamo difendere l’uomo con la stessa sacralità con la quale ci inginocchiamo per pregare”.