“Costruttore di pace, fratello degli ultimi. Don Tonino Santo”. Questa scritta campeggia davanti alla Cattedrale di Molfetta, la bella città della Murgia barese che per la prima volta ha ricevuto la visita di un Papa. Una visita attesa, giunta a 25 anni dalla morte del vescovo che all’epoca era considerato scomodo dalla Gerarchia cattolica. Per questo nonostante nel suo lungo Pontificato Giovanni Paolo II si sia recato cinque volte in Puglia e Benedetto XVI due volte (nel 2005 la partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale di Bari fu la sua prima visita in Italia), in questa località splendida (e carica di problemi) non era mai arrivato nessun Pontefice. A rompere questa esclusione, con un gesto che può essere definito di “restituzione”, è stato Francesco che lo ha fatto tornando a sua volta per la seconda volta in Puglia a poche settimane dal pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, dove ha venerato invece Padre Pio, il frate cappuccino con le stimmate che è già santo.
"Don Tonino anche", ha detto il segretario della Cei, Nunzio Galantino commentando la visita del Papa. “Dovunque si chiede che don Tonino venga fatto santo. Ma questo è il segno che lui è già santo. Il santo è colui che viene indicato come un esempio, un modello, un compagno di strada. E la gente sente tutto questo”, ha spiegato su Tv2000.
Un riconoscimento importante, dunque, il viaggio del Papa che ha voluto rendere omaggio alla memoria del grande piccolissimo vescovo, del quale è in corso (lentissimo) il processo di beatificazione. Un viaggio in due tappe che ha messo in evidenza molti tratti comuni tra don Tonino e Jorge Mario Bergoglio, che lo ha definito “un vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente".
Il sogno di don Tonino
"Sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine. Perché l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà e senza alzarsi da tavola resta un sacramento incompiuto", ha spiegato Francesco esortando la Chiesa intera a fare un'esame di coscienza alla luce della testimonianza di don Tonino. "Possiamo chiederci - ha scandito Francesco - in me, questo Sacramento si realizza? Più concretamente: mi piace solo essere servito a tavola dal Signore o mi alzo per servire come il Signore? Dono nella vita quello che ricevo a Messa? E come Chiesa potremmo domandarci: dopo tante Comunioni, siamo diventati gente di comunione?".
Nella celebrazione al Porto di Molfetta, invaso da una folla enorme per il luogo, più di 40 mila persone, Francesco ha utilizzato il pastorale di legno di monsignor Bello, custodito nella Cattedrale. La teca contiene anche l'umile croce pettorale di don Tonino, di semplice legno anch'essa. Il vescovo Bello infatti non amava i lussuosi segni esteriori, anche se ammirava il barocco dei luoghi di culto della sua diocesi, tornati ora con il vescovo Domenico Cornacchia (qui da pochi mesi) a risplendere di ori e stucchi.
Leggi anche l'articolo su Avvenire
Nella prima tappa della visita, iniziata ad Alessano, il Papa ha ricordato la "salutare allergia verso i titoli e gli onori", di don Tonino che si esprimeva "nel suo coraggio di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni". Francesco ha dunque esortato la Chiesa a non cedere "alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda". Don Tonino, ha ricordato, sognava “una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed 'estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé'; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che 'ha tanto amato il mondo'".
Un vescovo dalla parte dei poveri, impegnato per la pace
Ad essere scomodo è stato soprattutto il magistero di don Tonino come presidente di Pax Christi, quando ad esempio, pochi mesi prima della morte, riuscì a rompere l'assedio di Sarajevo sfidando tutti per portare un'autocolonna di aiuti. "Se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione", ha detto Francesco che ha poi ha citato le parole di don Tonino: “Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini”.
Leggi anche l'articolo sul Corriere del Mezzogiorno
E davvero don Tonino Bello è stato sempre dalla parte dei poveri, dei senza-casa, degli immigrati, degli ultimi. Campione del dialogo e costruttore infaticabile di pace, nel 1985 (all'epoca del cardinale Anastasio Ballestrero, cioè prima della "svolta di Loreto") è stato indicato dalla Cei come presidente nazionale di Pax Christi. In tale veste ha girato il mondo, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti di riconciliazione, come l'ingresso in Sarajevo ancora in guerra, dove ha profetizzato la nascita di un'Onu dei popoli capace di affiancare quella degli Stati nel promuovere esiti di pace. Nel 1992 gli era stata conferita la cittadinanza onoraria delle città di Molfetta e di Reggio Emilia, e nel 1993 quella di Tricase.
Una delle sue espressioni più note è la “Chiesa del grembiule”. L’immagine nasce dall’icona evangelica di Gesù che si fa servo; “vivere la Chiesa del grembiule significa vivere la Chiesa del servizio”, spiegava il vescovo di Molfetta e nelle parole di Papa Francesco sulla chiesa in uscita ci sono molte assonanze con la “Chiesa col grembiule” di don Tonino. C’è un’assonanza molto forte tra i due che viene da lontano, dal Concilio. Verso la fine del Vaticano II, un gruppo di vescovi (principalmente latinoamericani ma c’era anche Lercaro) si radunò per siglare il patto delle catacombe che invocava “una Chiesa dei poveri, una Chiesa povera in cui i vescovi erano con il popolo e oggi Bergoglio vive questo stile. Don Tonino aveva assimilato questa idea del Concilio: un episcopio aperto, uno stile sobrio, uno stare con la gente.
Leggi anche l'articolo della Stampa
E qui a Molfetta il ricordo di don Tonino è vivissimo in tutta la popolazione, tramandato anche ai giovani che per ragioni anagrafiche non l’hanno conosciuto. Chiunque l’abbia incontrato, del resto, sa benissimo che uomo era: un vero santo. Per la sua umiltà, mitezza, generosità. Per la sua pietà mariana (bisogna andarsi a rileggere le pagine che ha scritto su "Maria, la donna del Sabato Santo", se si vuol capire quanto sia rivoluzionario guardare alla Vergine come ispiratrice dell’amore per i poveri e gli ultimi).
Alcuni giornalisti vaticanisti ricordano un episodio singolare che lo ebbe protagonista quando, da presidente di Pax Christi, avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa promossa dalla Cei, ma il cardinale Ruini decise che non era opportuna e l’appuntamento in via della Conciliazione, nella saletta dell’Ave, fu annullato. Senza nemmeno avvertire il presule che, per arrivare al mattino in Vaticano, aveva viaggiato tutta la notte. Per un’intuizione fortunata (o provvidenziale) qualche collega più giovane andò lo stesso all'appuntamento, pensando che forse don Tonino sarebbe comunque arrivato. E fu premiato perché in effetti il vescovo arrivò dopo una notte di treno, senza letto, in seconda classe. E invece di lamentarsi della decisione cardinalizia con un sorriso mite disse: “bene, ho potuto pregare tutta la notte, e ora ho la possibilità di andare a messa a San Pietro”.