Gli sguardi intensi dei ragazzi e delle ragazze del Bangladesh assiepati nelle baraccopoli alla periferia di Dacca, occhi neri che ti guardano smarriti. Papa Francesco non dimenticherà facilmente quei volti già segnati dalla miseria. Come porterà con se a Roma le parole cariche di sofferenza che gli hanno confidato i 16 profughi Rohingya giovedì primo dicembre. Il Papa, quando essi sono saliti in fila sul palco, dopo il discorso ai leader delle altre religioni, si è inchinato davanti alla prima coppia, ricambiando il loro inchino. Ed è tornato poi a inchinarsi più volte mentre essi raccontavano le loro storie.
“Il Papa dei gesti”, si intitola un fortunato libro del vaticanista di Avvenire Mimmo Muolo. Ma si potrebbe dire il Papa degli inchini, se ci ricordiamo il primo segno forte dopo l’elezione, il 13 marzo 2013, quel presentarsi al popolo a capo chino, e poi l’altro inchino, quello a Bartolomeo, esattamente il 30 novembre di tre anni fa, quando si mise umilmente a capo chino per riceverne l’abbraccio ad al Fanar in Turchia. Ognuno dei Rohingya ha confidato a Francesco le sue sofferenze: una ragazza che per parlare col Papa si è tolta il velo nero che le celava il volto, ha detto che le sono stati uccisi la mamma, il padre e tutti i fratelli. “I Rohingya sono l’immagine del Dio vivente”, ha commentato Francesco alla fine, spazzando via le polemiche mediatiche sul nome di questo popolo negato.
Il viaggio in Bangladesh è stato un’esperienza forte per Francesco e per chi lo ha seguito. La povertà è così: ti coinvolge, diventa una stretta allo stomaco che ti manda di traverso il favoloso buffet che lo chef italiano dell’Hotel Meridién, Valter Belli, ha preparato per la comitiva papale: è troppo forte il contrasto tra la miseria che si vede addirittura dalle finestre del più lussuoso albergo del Bangladesh e quei cibi arrivati da tutto il mondo: pasta italiana, formaggi francesi, sushi giapponese, ravioli cinesi, fino alle ciambelle con lo sciroppo d’acero importato dagli Stati Uniti (ma perché per il seguito papale non si prevede una più normale ospitalità in qualche casa religiosa?). in effetti però non per tutti è così. Un industriale del tessile, che fa realizzare i suoi prodotti in Bangladesh per pochi spiccioli, ospite fisso del Meridién, ci dice: “sono due mondi diversi, fuori dall’hotel non è il caso nemmeno di avventurarsi”.
Un mondo a parte
Esistono persone di serie B? Questa domanda sembra retorica, ma qui a Dacca ha davvero senso (ma anche da noi, se pensiamo a quelle ragazze rapite e ingannate, poi gettate sulla Salaria e le altre consolari, perché milioni di italiani se ne servano). Il 24 aprile di quattro anni fa, ben mille e 129 uomini e donne, la maggior parte dei quali lavoravano nel tessile (il mondo a parte al quale accennava l’industriale) sono morti nel crollo del Ran Plaza, il centro commerciale di 8 piani venuto giù a Dacca a causa del dissesto idrogeologico delle enormi periferie della Capitale di questo peraltro incantevole paese. Ci sono volute due settimane per tirarne fuori i corpi dalle macerie. Una tragedia evitabile: il fabbricato aveva dato segni chiari di star collassando. Ma non li si vollero vedere. E nessuna azienda (italiane comprese) è stata condannata a pagare indennizzi alle famiglie crudelmente colpite da quelle morti. Francesco ne ha parlato all’incontro con i leader religiosi, nel quale ha affrontato anche il tema della difesa del Creato che deve accomunare le religioni, così come il rifiuto della violenza e del terrorismo.
“Le diverse comunità religiose del Bangladesh - ha detto - hanno abbracciato questa strada in modo particolare nell’impegno per la cura della terra, nostra casa comune, e nella risposta ai disastri naturali che hanno afflitto la nazione negli ultimi anni. Penso anche alla comune manifestazione di dolore, preghiera e solidarietà che ha accompagnato il tragico crollo del Rana Plaza, che rimane impresso nella mente di tutti". "In queste diverse espressioni - ha sottolineato Francesco - vediamo quanto il cammino della bontà conduce alla cooperazione al servizio degli altri. Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante".
Serve un cuore che batta con forza
"Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili!”, ha esclamato Francesco.
“Quanta apertura - ha osservato - è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita!".
Sì quei ragazzi del Bangladesh con gli occhi neri che ti leggono dentro, che qualche volta arrivano in Italia e magari la sera ci salvano con le loro bottegucce se abbiamo dimenticato di comprare il latte: sono aperti anche la notte, dormono su una sdraio, ma i “concorrenti” italiani che se ne stanno nei loro bei salotti poi li criticano perché hanno agevolazioni fiscali (sic!).
Qui i loro fratelli e sorelle guardano con curiosità ma anche un po’ di rabbia il corteo dei pulmini con i giornalisti che vanno vengono dal Meridièn. A un incrocio uno dei mezzi resta indietro, mentre nel corteo si infilano gli autobus stracarichi di lavoratori e studenti. L’autista tenta di raggiungere gli altri mezzi che sono passati e qualcuno dalla strada bussa energicamente sulla carrozzeria. Risuonano sinistri quei colpi. Fino a quando Dio potrà tollerare le ingiustizie così stridenti?
L’acqua e il sale
Dopo averli ascoltati, il Papa ha detto ancora ai Rohingya: “Forse possiamo fare poco per voi, ma la vostra tragedia ha molto spazio nel nostro cuore. Per quelli che vi hanno fatto male, soprattutto nell’indifferenza del mondo, vi chiedo perdono!”, ha riferito il diacono Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio, che ha accompagnato il gruppo all’incontro con il Pontefice.
Francesco ha anche fatto riferimento al Corano, con la frase: “una tradizione della vostra religione dice che Dio ha preso dell’acqua e vi ha versato sale, l’anima degli uomini. Non chiudiamo il cuore non guardiamo da un’altra parte. Nella tradizione giudaico-cristiana Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Tutti noi siamo questa immagine. Anche questi fratelli e sorelle Noi tutti portiamo il sale di Dio dentro. Anche questi fratelli e sorelle. Facciamo vedere al mondo cosa fa l’egoismo con l’immagine di Dio. Tanti di voi mi avete detto del cuore grande del Bangladesh che vi ha accolto. Mi appello al vostro cuore grande perché sia capace di accorda Ai 16 Rohingya era stato riservato il posto d’onore nel giardino dell’arcivescovado: hanno seguito l’incontro con i leader religiosi, infatti, alla destra del palco, nella posizione riservata ai vip. Il posto che sarebbe toccato ai vescovi del Bangladesh, i quali tuttavia hanno ricevuto un grande omaggio oggi dal Papa che ha premiato con il suo discorso la scelta dell’episcopato bengalese di mettere al primo posto nella pastorale “l’opzione preferenziale per i poveri” annunciata dal Concilio Vaticano II ma non sempre poi praticata da tutti i pastori e i fedeli nella Chiesa Cattolica. rci il perdono che chiediamo”.
L’opzione per i poveri
"Un obiettivo significativo e che si è davvero dimostrato profetico - ha detto il Papa ai vescovi del Bangladesh - è l’opzione per i poveri. La Comunità cattolica di questo paese può essere fiera della sua storia di servizio ai poveri, specialmente nelle zone più remote e nelle comunità tribali; continua questo servizio quotidianamente attraverso il suo apostolato educativo, i suoi ospedali, le cliniche e i centri di salute, e la varietà delle sue opere caritative. Eppure, specie alla luce della presente crisi dei rifugiati, vediamo quanto ancora maggiori siano le necessità da raggiungere! Nel lavorare per creare una 'cultura di misericordia', le vostre Chiese locali dimostrano la loro opzione per i poveri, rafforzano la proclamazione dell’infinita misericordia del Padre e contribuiscono in non piccola misura allo sviluppo integrale della loro patria".
Il Papa ha anche insistito "sull'impegno per la promozione delle donne". Netto da parte di Francesco, come è ovvio, il rifiuto di ogni violenza. “La condanna del terrorismo - ha spiegato - deve unire tutte le religioni. Quando i capi religiosi si pronunciano pubblicamente con una sola voce contro la violenza ammantata di religiosità e cercano di sostituire la cultura del conflitto con la cultura dell’incontro essi attingono alle più profonde radici spirituali delle loro varie tradizioni. Essi provvedono anche un inestimabile servizio per il futuro dei loro Paesi e del nostro mondo insegnando ai giovani la via della giustizia: occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente ricerca del bene”.
Anche se davanti alle ingiustizie evidenti che subiscono i poveri non è incomprensibile che qualche ragazzo disperato del Bangladesh, o più ancora un Rohingya, si arruoli nel terrorismo. Perché come ha scritto Giovanni Paolo II “non può esserci pace senza giustizia”. A Dacca è ancora forte il ricordo dei 9 italiani uccisi nella strage dell’anno scorso. I parenti di alcuni di loro hanno deciso di ricordarli finanziando le opere di carità della chiesa locale.