“Affido ciascuno di voi e le vostre comunità, i progetti e le speranze alla Vergine Santa, che voi invocate con un titolo molto bello: ‘Madonna del popolo’, non populista! E’ madre del popolo, è brava”. Sono parole di Papa Francesco a Cesena, domenica scorsa, nel corso di una visita pastorale molto intensa, che ha toccato anche Bologna. Nelle due tappe il Pontefice ha pronunciato sette discorsi che meriterebbero ciascuno una riflessione specifica (in particolare quello sullo ‘Ius pacis’ rivolto a studenti e professori dell’Alma mater’). Ma questa battuta aggiunta a braccio rivela qualcosa di Francesco che vale la pena di raccontare. Si tratta della venerazione che ha questo Papa per il concetto di “popolo”, che rappresenta la categoria principale della sua teologia, che è appunto la “Teologia del popolo”. Una concezione che è stata oggetto di due interventi molto articolati in settembre. Il primo è stato il dialogo spontaneo e a porte chiuse con i gesuiti della Colombia, lo scorso 10 settembre a Cartagena, riferito nei giorni scorsi da Civiltà Cattolica. E il secondo, il 29 settembre, l’allocuzione al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
Con i suoi confratelli della Compagnia di Gesù il Papa ha condannato “la tentazione di fare evangelizzazione per il popolo, verso il popolo, ma senza il popolo di Dio”. “Tutto per il popolo, ma – ha osservato Bergoglio – niente con il popolo. Questo atteggiamento, in ultima istanza, risale a una concezione liberale e illuminista dell’evangelizzazione. E certo, il primo schiaffo a questa visione lo dà la Lumen gentium (il documento sulla Chiesa del Concilio Vaticano II,ndr): la Chiesa è il santo popolo di Dio. Per questo, se vogliamo sentire la Chiesa, dobbiamo sentire il popolo di Dio. Popolo… Oggi bisogna fare attenzione quando si parla di popolo! Perché qualcuno dirà: ‘Finirete per diventare populisti’, e si cominceranno a fare elucubrazioni. Ma bisogna capire che quella di ‘popolo’ non è una categoria logica. Se si vuole parlare di popolo con schemi logici si finisce per cadere in un’ideologia di carattere illuminista e liberale oppure ‘populista’, appunto…, comunque si finisce per chiudere il popolo in uno schema ideologico. Popolo invece è una categoria mitica. E per comprendere il popolo bisogna starci immersi, bisogna accompagnarlo dall’interno”.
Un’idea rivoluzionaria che capovolge i luoghi comuni sulla gerarchia tra le culture
Quella del Papa è un’idea davvero rivoluzionaria: “supera infatti - spiega Mario Castellano, studioso della storia latinoamericana - la gerarchia delle diverse culture, di un ordine cioè verticale tra quelle presunte superiori e quelle presunte inferiori, ma anche di un ordine per così dire orizzontale che le discerne in base ad un criterio cronologico: distinguendo tra chi aveva ricevuto prima e chi aveva ricevuto solo in seguito l’Evangelizzazione”. Nella visione di Bergoglio, invece, l’unità di “tutto il genere umano”, basandosi su di un criterio di eguaglianza, esclude anche questa discriminazione. “La ricchezza che proviene alla Chiesa – dice il Papa – dalla molteplicità di buone tradizioni che i singoli popoli possiedono è preziosa per vivificare l’azione della grazia che apre il cuore ad accogliere l’annuncio del Vangelo”.
Aggiunge Jorge Mario Bergoglio che le tradizioni proprie dei singoli popoli “sono autentici doni che esprimono la varietà infinita dell’azione creatrice del Padre”. Ciò significa che Dio, con la creazione, ha già iniziato a rivelarsi, e dunque il cammino compiuto dalle diverse culture fino a conoscere pienamente la Rivelazione non si è svolto nell’oscurità completa, in quanto la loro rispettiva elaborazione già ne comprendeva “in nuce” una parte.
Per il Papa, infatti, il Vangelo riesce a rafforzare i vincoli di solidarietà esistenti nell’ambito del popolo, non isola gli uomini nel loro rapporto con Dio, ma al contrario li unisce reciprocamente. La Rivelazione cioè è un atto rivoluzionario, in quanto consacra la solidarietà, conforta ed anima tutto quanto si compie in funzione di essa. E la solidarietà non opera in ceti o in consorzi particolari, bensì nell’ambito generale del popolo che costituisce una comunità partecipe della missione anche se non ne è inizialmente consapevole.
La piazza, il luogo dove si esprime l’ethos del popolo
Proprio a Cesena, dove è stato accolto in piazza del Popolo, luogo che i cesenati chiamano semplicemente “la piazza”, Francesco ha parlato di un altro elemento della sua visione, che però ha radici profonde nella cultura classica: la piazza intesa come espressione della coscienza di un popolo. “Da questa piazza – ha scandito rivolto alla folla di Cesena – vi invito a considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo, che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato”.
In un recente passato, ha denunciato il Papa nel suo discorso, “la politica è sembrata ritrarsi di fronte all’aggressività e alla pervasività di altre forme di potere, come quella finanziaria e quella mediatica”. “Occorre rilanciare – ha detto – i diritti della buona politica, la sua idoneità specifica a servire il bene pubblico, ad agire in modo da diminuire le disuguaglianze, a promuovere con misure concrete il bene delle famiglie, a fornire una solida cornice di diritti-doveri e a renderli effettivi per tutti”. “Il popolo, che si riconosce in un ethos e in una cultura propria, si attende dalla buona politica – ha scandito – la difesa e lo sviluppo armonico di questo patrimonio e delle sue migliori potenzialità”. Da Cesena il Papa ha esortato dunque i giovani all’impegno politico che va assunto – ha chiarito – “respingendo ogni anche minima forma di corruzione”, che “è il tarlo della vocazione politica, non lascia crescere la civiltà”. Francesco ha invitato invece a riscoprire “una politica che non sia nè serva nè padrona, ma amica e collaboratrice; non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e prudente nello stesso tempo; che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione; che non lasci ai margini alcune categorie”.
“Questa città, come tutta la Romagna, è stata tradizionalmente terra di accese passioni politiche”, ha ricordato Francesco. “Vorrei dire a voi e a tutti: riscoprite anche per l’oggi il valore di questa dimensione essenziale della convivenza civile e date il vostro contributo, pronti a far prevalere il bene del tutto su quello di una parte; pronti a riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni più che puntare all’occupazione dei posti.
Il modello dell’Emilia Romagna
Anche a Bologna il Papa ha esaltato il modello dell’Emilia Romagna e in particolare “il recente Patto per il lavoro’, che ha visto tutte le parti sociali, e anche la Chiesa, firmare un comune impegno per aiutarsi nella ricerca di risposte stabili, non di elemosine, è un metodo importante che auspico possa dare i frutti sperati”. “Solo il dialogo, nelle reciproche competenze, può permettere – ha spiegato – di trovare risposte efficaci e innovative per tutti, anche sulla qualità del lavoro, in particolare l’indispensabile welfare. È quello che alcuni chiamano il ‘sistema Emilia’. Cercate di portarlo avanti”. Secondo Francesco, “c’è bisogno di soluzioni stabili e capaci di aiutare a guardare al futuro per rispondere alle necessità delle persone e delle famiglie. Nel vostro territorio da lungo tempo si è sviluppata l’esperienza cooperativa, che nasce dal valore fondamentale della solidarietà. Oggi essa ha ancora molto da offrire, anche per aiutare tanti che sono in difficoltà e hanno bisogno di quell’’ascensore sociale’ che secondo alcuni sarebbe del tutto fuori uso”.
“Voi rappresentate parti sociali diverse, spesso in discussione anche aspra, ha poi aggiunto rivolto ai presenti che erano anche imprenditori e sindacalisti. “Non pieghiamo mai – ha chiesto il Papa – la solidarietà alla logica del profitto finanziario, anche perchè così la togliamo, potrei dire la rubiamo, ai più deboli che ne hanno tanto bisogno. Cercare una società più giusta non è un sogno del passato ma un impegno, un lavoro, che ha bisogno oggi di tutti”. Secondo Francesco, del resto, la crisi economica ha una dimensione europea e globale; e, come sappiamo, essa è anche crisi etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, da parte sia di singoli sia di gruppi di potere”. “È necessario quindi – ha spiegato – togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune”. “Ma perché tale centralità sia reale, effettiva e non solo proclamata a parole, bisogna – ha rilevato il Papa – aumentare le opportunità di lavoro dignitoso. Questo è un compito che appartiene alla società intera: in questa fase in modo particolare, tutto il corpo sociale, nelle sue varie componenti, è chiamato a fare ogni sforzo perché il lavoro, che è fattore primario di dignità, sia una preoccupazione centrale”.
In entrambe le tappe della sua visita Papa Francesco ha quindi auspicato “una politica che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza”. In proposito, il Papa ha osservato che “il buon politico ha la propria croce, quando vuole essere buono perché deve lasciare tante volte le sue idee personali per accogliere quelle degli altri”. “Il buon politico – ha ripetuto – finisce per essere un martire a servizio del bene comune quando lascia le proprie idee, ma non le abbandona le mette in discussione con gli altri per cercare il bene comune”. “Questo – ha affermato – è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene all’intera collettività”. Ed è questo, ha aggiunto, “il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità”. “Invito perciò giovani e meno giovani – ha detto – a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente in questo campo, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune”.
Dobbiamo imparare dall’America Latina
Nel suo diciottesimo viaggio in Italia, il Papa “chiamato quasi dalla fine del mondo”, ha parlato anche delle tentazioni della Chiesa, condannando in particolare affarismo e clericalismo. E nella sua visione gli antidoti a questi veleni sono quelli che si vivono in modo speciale in America Latina. “Essere Chiesa, santo popolo fedele di Dio in cammino, richiede pastori - ha detto ai gesuiti della Colombia - che si lascino portare da quella realtà del popolo che non è ideologica: è vitale, è viva. La grazia di Dio che si manifesta nella vita del popolo non è una ideologia. Di certo ci sono tanti teologi che potrebbero spiegare molte cose importanti da conoscere sul tema. Ma io voglio dire che la grazia non è affatto una ideologia: è un abbraccio, è qualcosa di più grande. Quando passo da luoghi come questo di Cartagena in cui la gente si esprime liberamente, mi rendo conto che si esprime come popolo di Dio”.
Nella città di Garcia Marquez, come a Cesena e a Bologna, il Papa ha poi evocato un’idea che è sviluppata nella Evangelii gaudium, il documento programmatico del suo Pontificato: “il popolo di Dio ha olfatto. Magari a volte non riesce a esprimersi bene, a volte pure sbaglia… Ma c’è qualcuno di noi che può dire: ‘Ti ringrazio, Signore, perché non mi sono mai sbagliato’? No. Il popolo di Dio ha olfatto. E a volte il nostro compito di pastori consiste nel metterci dietro al popolo. Il pastore deve assumere tutti e tre gli atteggiamenti: avanti, a segnare la strada; in mezzo, per conoscerlo; e dietro, perché nessuno resti indietro e per lasciare che sia il gregge a cercare la strada… e le pecore annusano il pastore buono. Il pastore deve muoversi continuamente con questi tre atteggiamenti”.
Pastori che sanno rispettare il loro popolo, politici che ne sono l’espressione e non gli interpreti: la visone di Francesco ha le sue radici nell’esperienza dei gesuiti delle reduciones del Paraguay e poi nell’epopea di Simon Bolivar, il “libertador”. Ma sbaglia chi crede che queste idee siano datate. La centralità del popolo come depositario della verità, ha scritto il Papa nel suo documento programmatico e ha ripetuto il 29 settembre nell’incontro con il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, “vale in modo particolare in un periodo come il nostro in cui si affaccia con forza una cultura nuova, frutto della tecnologia, che, mentre affascina per le conquiste che offre, rende ugualmente evidenti la mancanza di vero rapporto interpersonale e interesse per l’altro. Poche realtà come la Chiesa possono vantare di avere una conoscenza del popolo in grado di valorizzare quel patrimonio culturale, morale e religioso che costituisce l’identità di intere generazioni. È importante, pertanto, che sappiamo penetrare nel cuore della nostra gente, per scoprire quel senso di Dio e del suo amore che offre la fiducia e la speranza di guardare avanti con serenità, nonostante le gravi difficoltà e povertà che si è costretti a vivere per l’ingordigia di pochi. Se siamo ancora capaci di guardare in profondità, potremmo ritrovare il genuino desiderio di Dio che rende inquieto il cuore di tante persone cadute, loro malgrado, nel baratro dell’indifferenza, che non consente più di gustare la vita e di costruire serenamente il proprio futuro. La gioia dell’evangelizzazione li può raggiungere e restituire loro la forza per la conversione”