Le anime dei corrotti, ovvero dei peccatori che scelgono consapevolmente di non pentirsi nemmeno al momento della morte, “non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici”.
Queste parole attribuite da Eugenio Scalfari a Papa Francesco hanno scatenato un putiferio, nonostante non siano affatto eterodosse e tanto meno eretiche (il che in effetti sarebbe impossibile in quanto proprio il Papa rappresenta la misura dell'ortodossia).
Quello sull’Inferno è un dibattito teologico aperto nel quale probabilmente Papa Francesco ritiene sia saggio non schierarsi, e questa volontà di evitare polemiche dannose all'unità della Chiesa spiega la decisione di precisare, come ha fatto la Sala Stampa della Santa Sede, che anche se la conversazione tra Papa Francesco e Eugenio Scalfari c’è stata, in realtà si trattava di “un incontro privato in occasione della Pasqua”. Il Pontefice cioè non intendeva “rilasciargli alcuna intervista”. “Quanto riferito dall’autore nell’articolo – dunque – è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. E nessun virgolettato dell’articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre”.
Ma nonostante non siano virgolettati, le parole riportate da Scalfari non dovrebbero destare scalpore: sono infatti del tutto compatibili con la tradizionale dottrina cattolica, come enunciata nel Catechismo promulgato da Giovanni Paolo II e redatto sotto la direzione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger.
Il Catechismo della Chiesa non parla di un luogo fisico ma di una condizione
"La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira", spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1035. E il capitolo successivo chiarisce: "Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: 'Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!'. Secondo il Catechismo, che parla solo in senso figurato di "discesa agli inferi", resta chiaro che "Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole 'che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi'.
E proprio a queste parole della Seconda Lettera di San Pietro si riferiva il grande teologo tedesco Hans Urs von Balthasar, designato cardinale da Papa Wojtyla e purtroppo deceduto prima di ricevere porpora e berretta, che immaginava l'inferno fosse vuoto.
La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell'autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da non pochi teologi contemporanei, tra i quali Guardini e Daniélou, de Lubac, Ratzinger e Kasper, e da scrittori cattolici come Claudel, Marcel e Bloy. Ai suoi critici von Balthasar replicava: "La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l'uomo, che si rifiuta in maniera definitiva all'amore, a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Avevo anche rilevato che la Sacra Scrittura, accanto a tante minacce, contiene pure molte parole di speranza per tutti e che, se noi trasformiamo le prime in fatti oggettivi, le seconde perdono ogni senso e ogni forza: ma neppure di questo si è tenuto conto nella polemica. Invece sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, 'spera l'inferno vuoto' (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza, insegna la 'redenzione di tutti' condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto: noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice. Com'è possibile identificare speranza e conoscenza? Spero che il mio amico guarirà dalla sua grave malattia - ma per questo forse lo so?".
L'inferno vuoto del dopo Concilio e quello di Dante Alighieri
In realtà tanto le parole di Balthasar che quelle attribuite da Scalfari al Papa felicemente regnante sono perfettamente compatibili con la Dottrina della Chiesa. Benedetto XVI andò ben oltre, quando nel suo Pontoficato abolì - si fa per dire - il Limbo affermando giustamente che i neonati morti prima del Battesimo hanno accesso al Paradiso grazie alla Redenzione di Gesù che mai avrebbe voluto escluderli. La diatriba su come tradurre la parola "multos" con la quale il Vangelo indica i destinatari della Salvezza gudagnataci dal Sacrificio di Cristo non inficia infatti la possibilità che tutti possano essere perdonati, evocata tra l'altro da Papa Francesco proprio nella messa in. Coena Domini celebrata al carcere di Regina Coeli: "questo è Gesù: non ci abbandona mai; non si stanca mai di perdonarci. Ci ama tanto".
Oltre che una grande opera letteraria, la Commedia di Dante Alighieri ha rappresentato per secoli anche una (impropria) fonte della Rivelazione, come fosse una semi-Bibbia, per questo venne chiamata "Divina Commedia". Da qui l'equivoco dell'Inferno come luogo fisico, legato a una visione molto materialistica della vita oltre la morte. "Ma - come ha scritto padre Giandomenico Mucci sulla Civiltà Cattolica - la Commedia è Dante". E tra l'altro "un'altra cosa ancora sono i commenti dei dantisti". Su questi si appoggiano i difensori dell'Inferno insorti oggi contro Francesco e la lettura che del Papa ha offerto Scalfari. Essi mostrano un interesse morboso per l'Inferno, forse anche a causa di paure inconsce e sensi di colpa non del tutto sopiti. E difendono l'Inferno (peraltro banalizzato dal linguaggio corrente) come se "il retro della medaglia", sia necessario a tenere in piedi la fede nella Rivelazione, ovvero, ragionano, "che gusto ci sarebbe a salvarsi se poi si salvano tutti?". Meglio - dicono loro - che ci sia qualcuno che in terra manca il fine ultimo. Una speranza nel potere del Male che davvero si oppone alla visione cristiana.
"Il Magistero della Chiesa sull'inferno - riassume invece lo stesso padre Mucci - insegna tre cose. La prima: esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. E la cosiddetta retribuzione dell'empio. La seconda: questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio (pena dal danno). La terza: in questo stato c'è un elemento che, con espressione neo testamentaria, è descritto come 'fuoco' (pena del senso). Le due pene, e quindi anche l'inferno, sono eterne". Nulla di tutto questo ha negato o messo in discussione il Papa nemmeno nella lettura che di lui ha offerto Eugenio Scalfari. Semplicemente: perchè sia possibile dannarsi non serve che ci sia un "luogo" per i dannati.