Si è appena concluso il XIII Corso su “Esorcismo e Preghiera di Liberazione” presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, dove per 6 giorni si sono confrontati oltre 250 esperti provenienti da 51 paesi. L’incontro accademico è caduto nel bel mezzo di una polemica giornalistica sull’esistenza del diavolo e dell’inferno che curiosamente hanno i loro difensori nei tradizionalisti cattolici, quando un vero credente in linea generale prega e spera che nessuno abbia mai a verificare cosa in effetti si celi dietro questi concetti biblici. In realtà quello che la teologia più avanzata ha demolito non è l’esistenza del diavolo e dell’inferno, ma la descrizione che ne ha fatto Dante Alighieri, che era un poeta e dunque trovava nella sua ricca (e complessa) personalità i contenuti espressi nella Commedia che fu chiamata Divina perché si riteneva invece che fosse una sorta di Rivelazione successiva.
L’inferno non è un luogo ma il demonio è una persona
Come è noto, ha suscitato una vera tempesta (in un bicchiere d’acqua) il fatto che Eugenio Scalfari abbia attribuito al Papa l’idea che le anime dei corrotti, ovvero dei peccatori che scelgono consapevolmente di non pentirsi nemmeno al momento della morte, “non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici”. Parole che sono state poi sconfessate dalla Sala Stampa della Santa Sede anche se non erano affatto eterodosse né tanto meno eretiche (per il Catechismo della Chiesa Cattolica l’inferno è infatti una “situazione” e non un luogo fisico). Infatti Papa Francesco ritiene sia saggio non schierarsi nel dibattito teologico aperto sui “novissimi” (mentre Benedetto XVI lo ha fatto, e nella stessa direzione progressista, arrivando ad esempio a “cancellare” il Limbo, mentre Von Balthasar, teologo a lui molto vicino, diceva che l’inferno esiste ma si può sperare che sia vuoto), e questa volontà di evitare polemiche dannose all’unità della Chiesa spiega la decisione di precisare che il Papa non si era espresso in merito.
Anche se il Papa viene costantemente accusato dai suoi critici di ridurre il messaggio cristiano alla dimensione immanentistica, in effetti non è così. Anzi: nella messa mattutina del 25 novembre 2016 il Papa ha parlato espressamente della pena eterna. “La dannazione eterna – ha spiegato Bergoglio – non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte. E quelli che non saranno ricevuti nel Regno di Dio è perché non si sono avvicinati al Signore. Sono quelli che sempre sono andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli. È la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio”.
Ripercorrendo la prima Lettura dall’Apocalisse di San Giovanni, il Papa si è chiesto come sarà il Giudizio universale e l’incontro finale con Gesù? “Il primo ad essere giudicato – ha riflettuto – è il “drago, il serpente antico, che è il diavolo”, e che l’angelo sceso dal cielo getta nell’Abisso, incatenato perché questi “non seducesse più le nazioni: perché lui è il seduttore”, ha ribadito il Papa tratteggiando il diavolo anche come un venditore di cui bisogna sempre diffidare come insegna Gesù che esorta i cristiani a non dialogare con lui.
“Col diavolo non si dialoga. Cosa ha fatto Gesù col diavolo? Lo cacciava via, gli domandava il nome ma non il dialogo”, ha detto Francesco. Mai dunque, dialogare con questo “bugiardo” e “truffatore”, ha ammonito ancora il Papa, “che cerca la nostra rovina” e che “per questo sarà gettato nell’abisso”.
Come che sia l’inferno, il punto fermo nella teologia cattolica e anche nella visione di Bergoglio (e Ratzinger) è che il diavolo esiste ed è una persona. Così uno degli aspetti più interessanti della Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate”, recentemente pubblicata dal Papa, è costituito dalla definizione che Bergoglio vi espone del demonio: si tratta – dice Francesco – di “un essere personale che ci tormenta”, da cui dobbiamo liberarci “perché il suo potere non ci domini”.
Il ruolo dell’esorcista e quello dello psichiatra
Le tre religioni monoteistiche, dette anche “abramitiche” in quanto si rifanno alla eredità fisica o spirituale dal nostro comune padre Abramo, concepiscono Dio come persona.
La rivelazione del Signore avviene infatti, fuori dalla tenda in cui alloggiava il Patriarca, manifestandosi come tre uomini, che nella narrazione biblica si trasformano quasi impercettibilmente in tre angeli e poi in un solo essere, che è Dio stesso. Se dunque è persona il principio del bene, ne discende come un corollario che anche il Demonio, principio a sua volta del male, è anch’egli una persona. Tanto il Dio – persona quanto il diavolo, anch’egli inteso quale persona, agiscono nella storia.
E qui entra in gioco la figura dell’esorcista, il “ministro” abilitato dalla Chiesa a combatterlo. Ma attenzione perché possa combatterlo (e scacciarlo) deve prima individuarlo e può faarlo – a quanto sembra con l’aiuto degli pschiatri. Uno di questi, relatore al corso del Regina Apostolorum, il professor Eduardo Ferri, primario del Servizio di Igiene Mentale di Pomezia, ricorda quanto sia difficile individuare il confine tra possessione e psicosi se il malato ha l’ossessione di essere sempre dentro un oggetto che può essere il proprio corpo, scelto come seconda natura, come casa protettrice (e questo è il caso della difesa autistica) oppure un altro corpo in cui “espandersi” ed essere.
“Essere nell’altro” ci riporta al concetto di “possessione” che, come spiegava Padre Corrado Balducci, “consiste in un dominio che Satana esercita direttamente sul corpo e indirettamente sull’anima di una persona”. La possessione diabolica rappresenta la manifestazione straordinaria più grave e terribile, “trasformando un individuo in uno strumento fatalmente docile al potere dispotico e perverso del demonio”.
La clinica psichiatrica – partendo dal concetto di unità corpo-mente – descrive, ad esempio, la “crisi acuta d’angoscia” come una “tempesta” cui partecipa tutto l’organismo. Gli stati più gravi giungono fino alla dissoluzione più o meno profonda della coscienza e, nella maggior parte dei casi, comportano manifestazioni somatiche multiple. Le classiche “crisi confuso-ansiose” realizzano il quadro clinico dello “stupore”, dell’”agitazione” o della “confusione mentale”. Esempi di questo genere si ritrovano nella patologia delle grandi catastrofi (combattimenti, bombardamenti, naufragi, avvenimenti luttuosi improvvisi…). Certi soggetti rimangono “paralizzati dalla paura”, fissi, inerti e incoscienti dell’avvenimento che li sommerge. Questi stati somigliano alla “fascinazione” e all’”ipnosi”. Lo “svenimento”, per alcuni, è la maniera di sottrarsi agli stimoli non accettabili. Altri manifestano un atteggiamento inverso, come quello di una “agitazione incoercibile”. Si tratta di una tempesta di movimenti, un tumulto emozionale senza unità, né limiti (grida, singhiozzi, pestar di piedi, corse senza scopo, collera, violenze…). Nei soggetti predisposti, può verificarsi, a volte, una crisi epilettiforme, come manifestazione arcaica motoria di difesa.
Le risposte di padre Amorth
Nell’ultima edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)”, a questo proposito, si parla di “Disturbo psicotico breve” e di “Disturbo schizotipico (di personalità)” raccomandando che “l’ambiente e la formazione culturale e religiosa dell’individuo devono essere tenuti in considerazione nel valutare la possibile presenza di un disturbo delirante. Il contenuto dei deliri varia anche tra i diversi contesti culturali”. Va detto, comunque, che le “Psicosi schizofreniche” e le “Psicosi deliranti croniche” si sviluppano abbastanza spesso dal ripetersi di più episodi deliranti, se non trattati o trattati in ritardo e male.
Osservava Padre Gabriele Amorth nel suo libro “Esorcisti e Psichiatri” che nel DSM-IV, edito nel 1994, si parla, per la prima volta, di “possessione” attribuita all’influenza di uno spirito. Che un testo di nosografia psichiatrica di indiscussa autorevolezza a livello mondiale contenga questa affermazione – aggiungeva Padre Amorth – è una novità significativa, che sarebbe stata impossibile fino a pochi decenni prima.
Queste considerazioni padre Amorth, che è scomparso qualche mese fa a 91 anni di età, le faceva nell’aprile 1995 in un incontro con alcuni Psichiatri romani: “Mi preme sottolineare che, perché ci sia aiuto tra psichiatri ed esorcisti, non occorre che lo psichiatra sia un credente; non occorre neppure che creda nell’esistenza del demonio e dei suoi poteri. E’ sufficiente che sappia riconoscere i limiti della sua scienza; che non pretenda di conoscere tutto, di sapere tutto, di risolvere tutto”.
C’è da precisare, però, che psichiatri ed esorcisti non vanno messi sullo stesso piano: in caso di malattie, e in particolare di mali psichici, il ricorso ai medici deve rappresentare la prima cosa da farsi; il ricorso all’esorcista è l’eccezione e ci si rivolge solo in presenza di sintomi del tutto particolari (i casi che richiedono un rituale di liberazione da parte dell’esorcista, secondo accreditate statistiche, dovrebbero aggirarsi intorno al 2%, mentre il restante 98% è costituito da casi psichiatrici). “Una fattiva collaborazione tra esorcisti e psichiatri è già in atto da tempo, in diverse situazioni, ma - conclude Ferri - ha bisogno di essere migliorata, utilizzando intelligenza e buon senso da ambo le parti, senza alzare inutili steccati”.