Papa Francesco potrebbe presto proclamare santo Nicholas Black Elk, il leggendario capo Sioux, che da bambino aveva combattuto a Little Bighorn contro il generale Custer e che era in prima linea nella terribile battaglia di Wounded Knee, dove fu testimone della strage di Sioux della tribù di Cavallo Pazzo, che era suo cugino.
Tradotto in italiano suonerebbe san Nicola Alce Nero. Purtroppo siamo obbligati a usare il condizionale, anche se la conferenza episcopale americana riunita lo scorso novembre a Baltimora ha votato l’inizio del suo processo di beatificazione, partendo da una prima fase di ricognizione diocesana in South Dakota, la sua terra.
L'uso del condizionale in questo post non riguarda la validità apostolica della decisione dei vescovi americani, assolutamente condivisibile. E nemmeno la volontà di Francesco che ha giustamente grande considerazione per i popoli nativi americani.
Il problema vero - che andrebbe affrontato con urgenza assoluta - riguarda le procedure centralizzate dell'iter che attualmente viene seguito per le cause dei santi e che ha almeno tre grosse incongruenze: il fatto che debbano pronunciarsi a Roma teologi e cardinali che non hanno sempre conoscenza della realtà sociale e culturale nella quale ha agito eroicamente il "servo di Dio", la conseguente esigenza di finanziamenti ingenti per la stampa dei fascicoli e l'incarico un postulatore con collaboratori e periti a Roma, infine la complessità (e inutilità in effetti) dell'approvazione di due miracoli con l'esame delle perizie scientifiche, in genere mediche ma non necessariamente, ci sono state perizie anche di fisici (nel caso ad esempio di un dipinto acherotipo, cioè non di mano umana).
Il risultato di questi tre fattori, un micidiale combinato disposto, lo abbiamo sotto gli occhi: sugli altari il più delle volte arrivano i fondatori e talvolta i membri di ordini religiosi che hanno la Curia Generalizia a Roma, dove agisce un postulatore dedicato a questo servizio, con disponibilità di fondi e buone relazioni con i consulenti scientifici (e anche con i membri e consultori della Congregazione vaticana per le cause dei santi).
Mentre le cause dei laici e anche dei preti diocesani non possono contare su nulla di tutto questo e inevitabilmente si arenano. Una bella incongrenza anche perchè la canonizzazione non serve tanto ad onorare la memoria di un cristiano esemplare ma a indicarne appunto l'esempio e quindi dovrebbe avvenire mentre della persona resta nel popolo la cosiddetta fama di santità. Un esempio per tutti: la causa del grande scienziato e politico cattolico Enrico Medi non procede per mancanza di "sponsor". Mentre il conflitto tra fede e ricerca scientifica rappresenta un tema di assoluta rilevanza per la Chiesa di oggi. E un santo come Medi (che certamente meriterebbe questo titolo) darebbe un grande impulso ad un rinnovato dialogo con il mondo della scienza.
Il problema dei miracoli
Dopo oltre 30 anni da cronista in Vaticano mi permetto di parlare di inutilità degli accertamenti scientifici sui miracoli non perchè non creda ai miracoli. Ma anche se ho assistito in prima persona a guarigioni assolutamente inspiegabili (operate ad esempio da San Giovanni Paolo II e per suo desiderio tenute nascoste) ho constatato che la lettura scientifica di questi fatti non aiuta quasi mai la loro comprensione e rappresenta solo una grande perdita di tempo (e danaro).
Mi spiego: la scienza spiega in realtà solo una minima (infinitesimale) parte dei fenomeni che tutti quanti viviamo: non ha senso utilizzare questo strumento per spiegare il sentimento dell'innamorarsi o quello della pietà, come si può valutare scientificamente l'opera di Dio su un malato?
Tutte le guarigioni in qualche modo sono miracolose, se non altro per l'incontro (puramente umano?) che si verifica tra chi soffre e chi lo cura. Siamo in un campo comunque e sempre opinabile e il vescovo locale può certamente pronunciarsi sul "miracolo" dopo aver ascoltato i medici curanti senza bisogno di inutili lungaggini burocratiche a Roma (che arricchiscono alcuni professionisti, come dimostrato da inchieste giornalistiche e anche giudiziarie: i conti correnti allo Ior di alcuni postulatori sono stratosferici e ingiustificabili).
L'altro problema, più teologico, che questa procedura pone riguarda l'aspetto che in onore di Alce nero possiamo chiamare da "danza della pioggia". In sostanza si strumentalizza il Signore spingendo malati e familiari a chiedere la grazia della guarigione "attraverso" quel "servo di Dio" al quale siamo devoti, distribuendo negli ospedali le immaginette della fondatrice delle suore infermiere, eccetera.
Roma potrà capire Alce Nero?
Una riforma che potrebbe ovviare a questi spiacevoli aspetti (che certo non aiutano la causa del Vangelo) sarebbe dare piena competenza alla Chiesa locale sulle beatificazioni e lasciare al Papa la decisione sulle canonizzazioni, ma sulla base degli atti istruiti localmente. Francesco ha varato recentemente sue riforme che rispondono a questa logica e il cambiamento che invochiamo in molti le completerebbe. La prima, nel Motu Proprio “Maiorem hac dilectionem” riguarda l'eroismo dei martiri della carità, come i fatebemfratelli e le suore che hanno perso la vita a causa dell'Ebola, per non lasciare i loro malati. E l'altra riguarda le traduzioni liturgiche sulle quali ha restituito giustamente le competenze ai vescovi dei diversi paesi.
Mai come nel caso di Alce Nero il giudizio di Roma potrebbe essere lontano e disincarnato, fino a risultare superfluo. "Da quando Wakan Tanka (il nome di Lakota per indicare Dio, Grande Spirito) ha dato luce al mio cuore, esso rimane in una luce che non conosce tramonto", scrisse il capo sioux già nel 1885 quando aveva messo la sua firma a una petizione per la beatificazione di Kateri Tekakwitha, la giovane della tribù dei Mohawka proclamata santa da Benedetto XVI nel 2012, ovvero 150 anni dopo.
La sua testimonianza di fede fece breccia nel cuore di oltre 400 persone, che grazie a lui si convertirono e battezzarono. Tutti restavano colpiti dai suoi modi umili: un profilo sorprendente per uno che era stato capo sui campi di battaglia. Si specializzò anche in teatro, per portare in scena delle rappresentazioni che raccontavano la storia del suo popolo al pubblico americano.
Farà breccia anche nei grigi funzionari vaticani?
Fa ben sperare solo che alcuni gesuiti (ordine di cui fa parte anche Papa Francesco) lo hanno seguito e incoraggiato in questo percorso di conversione: infatti avevano compreso gli aspetti comuni tra il cattolicesimo e le religioni dei nativi americani e li avevano valorizzati nella loro opera di evangelizzazione presso la tribù Lakota.
Quando un Lakota si convertiva al cattolicesimo non doveva rinnegare i principi fondamentali della religione che stava per abbandonare. Per questo il libro "Alce Nero" parla, che divenne un caso editoriale a livello mondiale, non volle raccontare l’aspetto della conversione del capo Sioux lo stesso Alce Nero, in una lettera del 1934 indirizzata a Neihardt, protestò perché nel libro-intervista non era menzionata la sua fede cattolica. "Io credo nei sette sacramenti della Chiesa cattolica", aveva dichiarato. "Io stesso ne ho ricevuti sei: battesimo, comunione, confessione, cresima, matrimonio ed estrema unzione. Per diversi anni ho accompagnato i missionari cattolici che percorrevano la riserva annunciando Cristo al mio popolo. Tutti i miei familiari sono battezzati. Per quasi vent’anni ho aiutato i sacerdoti servendo a Messa e sono stato diverse volte catechista. Posso dire perciò di conoscere la mia religione meglio di molti bianchi. Posso spiegare le ragioni per cui credo in Dio".