È risuccesso. Due settimane fa durante le votazioni in Abruzzo, oggi mentre i cittadini sardi erano in fila ai seggi per eleggere Consiglio regionale e governatore. È risuccesso che un ministro, due per la precisione, hanno parlato, via social. Non potrebbero, c’è una legge del 1956, aggiornata successivamente nel ’75 e nell’85 , che in teoria glielo impedirebbe. Anche in pratica. Si chiama Silenzio elettorale, e ne parla l'articolo 9.
“Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono infatti vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altre e manifesti di propaganda. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”.
Questo il passaggio della legge uscita sulla Gazzetta Ufficiale l'11 aprile '56, la numero 212. La ratio è nota e chiara. Per non influenzare gli elettori nell’imminenza di un elezione, i politici non possono parlare, niente propaganda politica, sfrutterebbero la propria posizione ed esposizione mediatica. Non possono parlare i politici al governo e quelli all’opposizione. Il cittadino-elettore dovrebbe poter decidere a chi dare il proprio voto in totale libertà, senza pressioni dell’ultimo minuto.
Anche l’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni, in occasione delle ultime Politiche del 2018 ha pubblicato un breve vademecum, dedicando un capitoletto al silenzio elettorale:
“Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale. La normativa vigente vieta di fatto ogni forma di propaganda elettorale (in tv e attraverso comizi pubblici) nel giorno del voto e in quello precedente. Sarebbe pertanto auspicabile che anche sulle piattaforme in questi due giorni fosse evitata, da parte dei soggetti politici, ogni forma di propaganda, per evitare di influenzare con pressioni indebite l’elettorato ancora indeciso".
Il Garante ha così in parte colmato un piccolo vuoto normativo, visto che le leggi vigenti non parlavano ancora di social network. Ma è proprio dai social network - anche oggi - che Matteo Salvini e Luigi Di Maio, vicepremier e ministri, il primo è (o dovrebbe essere) persino il garante dell’applicazione di questa regola, hanno infranto il silenzio con messaggi e appelli agli elettori il giorno del voto.
Si dirà: nel ’56 quando il Parlamento licenziò la legge 212 (era il 4 aprile), la Rai aveva appena compiuto due anni, esisteva un solo Telegiornale, le notizie di politica arrivavano dalla radio, dai comizi e dai giornali, dai manifesti affissi ai muri. Facebook è nato 10 anni fa, ma è diventato uno strumento di propaganda politica in Italia soltanto con l’arrivo di Matteo Renzi e Beppe Grillo. I social network hanno dimostrato la propria forza mediatica forse soltanto nel 2014, con le Europee che hanno registrato l’affermazione del leader democratico toscano. I social sono il problema, difficile spegnerli completamente per tre giorni, per gente che sui social investe tempo e risorse. I politici, ma anche noi tutti. Oggi si condivide tutto a tutte le ore e tre giorni sono tanti.
Domanda: ma allora è così difficile abolirlo, questo silenzio elettorale, con un provvedimento, un decreto, un emendamento dentro un ‘decretone’ o un ‘milleproroghe’. Se non ha più cittadinanza perché oggi ci sono i social, il governo fa un bel decreto e il Parlamento lo converte e la prossima volta ci risparmiamo la polemica politica (perché poi oggi sempre sui social tanti hanno criticato i ministri ciarlieri, ricordando le regole, e così facendo l’hanno fatta un po’ tutti propaganda, perché per criticare un ministro che viola il silenzio, tocca parlare o scrivere, con buona pace dell’elettore che dovrebbe decidere in serenità senza pressioni e della legge firmata dal presidente Gronchi).
Se è così anacronistico, questo silenzio il giorno del voto al tempo dei social network, si cambi la legge, e lo si abolisca per via parlamentare. Oppure no: se ancora ha un senso, lo si rispetti e lo si difenda, trovando il modo di farlo rispettare anche ai ministri più social. Perché quello che è insopportabile - in giorni come questo - è passare da bacchettoni antichi (peggio, da fessi) se si fa notare che da un po' di tempo c'è una legge regolarmente violata e che a non rispettarla sia proprio il garante della regolarità del voto.
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