AGI - Il Panno Casentino, eccellenza tessile tutta italiana, ha rischiato recentemente di sparire dal mercato. Nel Luglio scorso infatti la situazione dell’antica Manifattura del Casentino di Soci, nel comune di Bibbiena, storica azienda, rimasta unica produttrice al mondo di questo prezioso manufatto, sembrava senza speranze e la chiusura inevitabile; poi il miracolo, la rinascita e anche il rilancio.
La casa Reale inglese a fine settembre ordina per Re Carlo III, tramite uno dei suoi fornitori di confezioni, un cappotto in Panno Casentino nel suo tipico color arancione, attirando così l’attenzione della stampa sulle difficoltà della manifattura.
Proprio negli stessi giorni, il Lanificio Bellandi, azienda tessile di Montemurlo, in provincia di Prato, specializzata in tessuti di qualità e storico cliente del lanificio di Soci, formalizza l’acquisto dell’immobile, sede dello storico opificio, salvandolo e sbloccando una complessa situazione di crisi che andava avanti dal 2018, preservando posti di lavoro e un’antica tradizione artigianale.
Infine il rilancio: la maison Gucci (gruppo Kering), sceglie proprio questo particolare tessuto per produrre una collezione esclusiva di accessori - borse e scarpe – nel colore verde british che saranno esposti nelle strade del lusso di tutto il mondo, sostenendo così l’azienda con un’importante commessa e tanta visibilità.
Una bella storia che diversamente da altre sembra essersi avviata verso un lieto fine.
Ovviamente il Lanificio del Casentino dovrà ancora affrontare molte altre difficoltà, che sono quelle condivise da altre aziende storiche manifatturiere, bandiera e orgoglio dell’eccellenza del made in Italy, del nostro “know how”, peraltro rimaste poche, lasciate sole e senza sostegno ad affrontare i grandi competitor e le necessarie trasformazioni, tra cui quelle legate alla sostenibilità, che l’intero settore sta cercando di fronteggiare.
È stato reso famoso nel mondo da Audrey Hepburn, che nel film “Colazione da Tiffany” indossa un cappottino di Givenchy in Casentino nel suo tipico color arancione, e successivamente utilizzato sapientemente plissettato anche da Roberto Capucci nel 2008, nell’ambito della rassegna Artigianato e Palazzo, “Capucci e il Casentino: tra sperimentazione e artigianalità”, che lo hanno trasformato in uno dei capi must-have.
Il Panno del Casentino, prodotto nella valle di Stia già dal Trecento, è un tessuto in pura lana vergine, caldo follato (infeltrito), garzato, resistente ma morbido e soffice, caratterizzato da un aspetto rustico con tipici riccioli, ottenuti con un’antica lavorazione di finitura delle fibre di lana. Quest’ultima, nota come rattinatura, consiste in una speciale tecnica di spazzolatura che, sollevando e raggruppando il pelo, conferisce al tessuto idrorepellenza e isolamento termico pur mantenendo la buona traspirazione tipica della fibra in lana .
Il Panno Casentino proprio per queste sue caratteristiche è usato da secoli per la realizzazione di indumenti e capospalla adatti alla vita e alle attività all’aria aperta o alle esigenze di chi deve viaggiare.
Nel Rinascimento viene utilizzato per le tonache dei frati della Verna e di Camaldoli, per divenire in seguito richiestissimo tra i nobili italiani e inglesi che lo indossano nelle uscite in campagna e nelle battute di caccia. Assume poi la sua forma caratteristica nell’Ottocento, epoca in cui inizia a essere prodotto dal lanificio di Stia nei due classici colori arancione, peraltro ottenuto inizialmente per sbaglio, e verde per confezionare i tradizionali cappotti a doppio petto, apprezzati anche da personaggi illustri come Verdi, Puccini e Ricasoli.
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento la tradizione tessile laniera del Casentino si trasforma a livello industriale, supportando tutta l’economia del Casentinese, con i lanifici di Stia (oggi Museo dell’arte della lana) e di Soci (Bibbiena), per poter accontentare le esigenze di “signori e signore fiorentini” e non solo, amanti di questi capi sportivi in colori sgargianti e di illustri clienti come i Savoia che lo utilizzano inizialmente per la realizzazione di mantelline per scaldare i cavalli delle scuderie reali e poi di capospalla, rendendolo un materiale povero ma al tempo stesso raffinato e anche un po’ snob.