AGI - Lo scorso 30 Marzo Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega per il Green Deal, ha dichiarato: "È ora di porre fine al modello del "prendere, creare, utilizzare e gettare via" che è così dannoso per il nostro pianeta, la nostra salute e la nostra economia”.
Dando seguito a quanto già avviato l’11 Marzo del 2020 con l’emanazione dell’Action plan per il passaggio a un’economia circolare per i tessili, la Commissione Europea ha pertanto deciso di accelerare l’attuazione di tale programma mediante un pacchetto di iniziative da realizzare entro il 2030 per rendere il settore tessile più sostenibile e al tempo stesso più competitivo attraverso l’innovazione e la digitalizzazione.
La strategia mira infatti a creare un settore più verde, più resiliente agli shock della globalizzazione, grazie a una maggiore autonomia per le nostre catene di approvvigionamento industriale ma anche a favorire la ripresa dell'industria tessile in crisi a causa del COVID-19 e dei recenti eventi bellici tra Ucraina e Russia.
Ricordiamo che il settore tessile è uno dei più inquinanti e che esso risulta essere al quarto posto per impatto ambientale, al terzo per consumi di acqua e suolo e al quinto per uso di materie prime ed per emissioni di gas serra. Il problema legato all’acqua non riguarda solo i consumi ma anche l’inquinamento delle risorse idriche. Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell'inquinamento globale dell'acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti sono sottoposti, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici causi il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente.
A ciò si va ad aggiungere il grande problema delle enormi quantità di capi e accessori prodotti e che, talvolta anche mai utilizzati, ogni anno vanno agli inceneritori o finiscono in discariche in posti talvolta remoti. Si stima infatti che ogni anno nella UE finiscono in discarica 5,8 milioni di tonnellate di tessuti, 11Kg a pesona. Dal 1996 la quantità di indumenti acquistati nell'UE per persona è aumentata del 40% a seguito della commercializzazione di capi di tendenza a prezzo e qualità bassissimi.
Montagne di rifiuti tessili, finiscono ogni anno in luoghi lontani dai nostri occhi, come il deserto di Atacama in Cile, in Ghana, in Senegal, in Kenya o in altri paesi lontani come riportato da recenti reportage della BBCService e di RaiNews.
La Commissione Europea con il Green Deal e con il pacchetto di proposte ora presentate ha preso una posizione chiara e inequivocabile affinché tutte queste criticità vengano affrontate, seppur con gradualità, proponendo azioni per cambiare il modo in cui progettiamo, produciamo e consumiamo i tessili. La strategia presenta un nuovo approccio, affrontando questi problemi in modo armonizzato, sistematico.
Alcune delle tematiche proposte erano già state affrontate con chiarezza nel 2020, altre invece si vanno ora definendo con più concretezza data la complessità che presenta un settore come quello tessile, la cui filiera molto frammentata e divisa per competenze è quasi sempre anche dislocata in luoghi diversi e molto distanti.
La UE, inoltre, chiama in ballo, per la prima volta, la progettazione come protagonista della transizione sottolineando che esso “può determinare fino all' 80% dell'impatto ambientale del ciclo di vita di un prodotto” e ribadisce l’importanza di una duplice transizione.
La strategia proposta dalla UE infatti evidenzia diverse punti chiave per accelerare la doppia transizione: Ecodesign, Responsabilità estesa del produttore, Passaporto digitale per la tracciabilità della filiera, Nuovi modelli di commercio e di consumo e infine Coinvolgimento consumatore. Esaminiamoli nell’ordine.
- Vengono stabiliti per la prima volta precisi requisiti da rispettare in sede di progettazione. Già nella fase creativa si dovrà pertanto tener conto che i prodotti finali dovranno essere durevoli, quindi di qualità, affidabili, pertanto non contenenti sostanze chimiche dannose, riutilizzabili, cioè predisposti per essere reinseriti nel mercato tramite diversi modelli di consumo come il second-hand o i capi “pre-loved”, come oggi si preferisce chiamarli, riciclabili, perciò realizzati con materiali idonei al riciclo e infine riparabili. Il designer si dovrà preoccupare già dalla progettazione di facilitare la riparazione, inserendo bottoni, fili o quant’altro necessario per la manutenzione dei capi. La UE ha stabilito con la direttiva c.d. Ecodesign dei requisiti minimi (in termini di sostenibilità, materiali da utilizzare, riciclabilità, durata nel tempo, riparabilità, possibilità di riutilizzo) che i produttori dovranno rispettare per poter avere accesso al mercato europeo.
- Viene introdotta la nozione di Responsabilità Estesa dei Produttori, i quali sono chiamati a essere coinvolti e responsabilizzati lungo l’intera catena del valore, anche quando diventano rifiuti provvedendo al riciclaggio, all'incenerimento e riducendo al minimo il conferimento in discarica.
- La Tracciabilità e Trasparenza della Filiera tessile sono l’unico strumento che può garantire ai produttori e ai consumatori informazioni chiare e complete sui tessili, su tutti i materiali e sui prodotti finiti. La UE intende pertanto favorire l’introduzione di un passaporto digitale del prodotto che riporti informazioni sulle caratteristiche di impatto ambientale, sulle condizioni dei lavoratori, sui materiali utilizzati e sull’eventuale utilizzo di sostanze chimiche. Il produttore e il consumatore dialogano condividendo tutte le informazioni grazie alla tecnologia Blockchain, già utilizzata da alcuni brand di nicchia o del lusso (vedi per esempio The Aura Consortium).
- La UE vuole poi favorire nuovi modelli di consumo, sostenendoli con misure fiscali ed eventuali incentivi per favorire il riutilizzo, la riparazione e la resilienza, nella convinzione che si creeranno opportunità economiche per l'innovazione e la creazione di posti di lavoro, in particolare nei settori della rigenerazione, manutenzione, riciclaggio e riparazione.
- La commissione è consapevole altresì che il consumatore, l’ultimo anello della filiera, è forse quello per cui la transizione sarà più difficile in quanto da molti anni abituato all’acquisto frequente di capi trend a bassissimo prezzo, prodotti sempre nuovi, da utilizzare poco e di cui liberarsi rapidamente. È fortemente necessario coinvolgere e responsabilizzare i consumatori portandoli a scegliere un nuovo modello di acquisto consapevole, rendendoli, inoltre capaci di difendersi dal greenwashing, garantendo l’accuratezza delle informazioni relative ai prodotti.
È emersa inoltre l’urgenza di definire alcune normative riguardanti:
- la creazione di Hub di riciclo, a livello europeo e nazionale per la gestione e il riciclo degli scarti di lavorazione (pre e post consumo) e dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata della frazione tessile. Prato, pioniera del riciclo tessile italiano, ha già messo in cantiere il primo textile hub grazie alle risorse del Pnrr. Si ricorda che dal 1° gennaio 2022 in Italia è già in vigore l'obbligo della raccolta differenziata dei prodotti tessili e in Francia entro il 2023 sarà illegale distruggere le merci invendute, grazie a una rivoluzionaria legge “anti-spreco”.
- l'introduzione di un complesso di incentivi di varia natura di lungo periodo (5-10 anni) per favorire la rilocalizzazione in Europa della catena produttiva;
- adeguate riforme strutturali e finanziamenti al fine di favorire l’innovazione e la digitalizzazione del settore;
- l’introduzione di normative per favorire la creazione di scuole e programmi formativi professionalizzanti sui temi della sostenibilità e dell'innovazione responsabile.
Il pacchetto di proposte redatto con il Green deal europeo si pone ambiziosi obiettivi che porteranno l’Europa ad affrontare una necessaria e indifferibile doppia transizione, ma va sottolineato che si tratta di un percorso molto complesso poiché ognuno degli anelli della filiera porta con se criticità e peculiarità diverse, strettamente connesse a quella realtà produttiva e difficilmente comprensibili dagli altri stakeholder.
Il designer, per esempio, ha bisogno di certezze sulla provenienza e sulle caratteristiche dei materiali utilizzati. Tali certezze potrebbero arrivargli dalle certificazioni ma, al momento, ancora poche aziende, considerati i costi, vi fanno ricorso e i consumatori non le conoscono adeguatamente. Anche la blockchain, strumento essenziale per fornire un passaporto digitale ai prodotti presenta le stesse criticità, avendo la necessità che le informazioni prodotte siano convalidate da terzi e certificate.
Infine convincere i consumatori a comprare meno e capi di maggior qualità non sarà un passaggio facilissimo considerando inoltre che le necessarie certificazioni e che tecnologie come la blockchain avranno comunque un costo che andrà a incidere sul prodotto finale.
La Commissione Europea è consapevole di queste criticità e per questo sta procedendo per step e con gradualità, distribuendo nel tempo il conseguimento degli obiettivi. Ma l’importante è che il percorso sia stato avviato. Molte altre realtà, inoltre, stanno nascendo per favorire questa difficile transizione, come per esempio “Make the Label Count”, nuova coalizione internazionale di organizzazioni, nata per chiedere alla Commissione Europea di garantire sull'abbigliamento etichette di sostenibilità trasparenti, complete e accurate e di facile interpretazione.