Don't look up è un film che, prima ancora che parlare di climate change, no vax o coronavirus, è in verità una pellicola profondamente religiosa. Due scienziati cercano di avvertire l'umanità che un enorme meteorite sta per schiantarsi sul nostro pianeta ma le istituzioni politiche, volendo prima cercare il proprio tornaconto, aiutate da chi sa usare abilmente gli odierni mezzi di comunicazione, cercano di convincere le persone a "non guardare in alto".
Questo sguardo costretto ad ignorare la minaccia, a guardare in basso e a non alzarsi, è una profonda immagine religiosa perché "religione" non è solo appartenere a una chiesa, pregare (cosa peraltro che nel racconto avviene) oppure seguire un culto che determina in maniera significativa un modo di vivere rispetto alle questioni “divine”, ma guardare la realtà lasciando che ci interpelli con la sua domanda di senso.
Don't look up dice che quanto obbliga l'uomo a stare lontano dalla realtà lo strappa anche dalla sua identità più vera. Il capolavoro diretto da Adam McKay non si ferma alla superficie. L'ostacolo che ci impedisce di vedere non sono le semplici brame di potere o di ricchezza ma le attuali patologie comunicative.
Quando in televisione Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence urlano che una cometa distruggerà il pianeta, Cate Blanchett, la conduttrice del programma, "alleggerisce" la notizia per farla diventare qualcosa di veloce, fresco, light, leggero, smart, comprensibile a tutti e che non faccia pensare. Vale a dire cioè che nel mondo dello sloganismo, del rumore di fondo creato dai social, non conta quello che dici ma conta come lo dici.
Se il tuo messaggio è complicato "non funziona" e quindi non arriva. Indimenticabile la scena in cui il litigio e la riconciliazione tra due personaggi famosi fa più notizia della frase "sta arrivando un meteorite che distruggerà la Terra".
Comunicare è entrare in comunione ma, dice il film, il principale ostacolo alla comunione con la realtà è che oggi il contenuto emozionale della realtà è più importante della realtà stessa. La domanda "quale emozione sto trasmettendo?" vale più di quello che stiamo dicendo. E così quello che c'è scritto sullo smartphone o passa sullo schermo può interessarci più della catastrofe di turno.