AGI - Si sono appena conclusi a Milano il Lineapelle e il Milanounica 2021 e a Parigi il Première Vision, fiere di riferimento del tessile moda, mentre a Los Angeles si è tenuta la kermesse dedicata ai marchi di moda vegana ed etica. Il leitmotiv comune è stato quello della sostenibilità e dei temi delle innovazioni materiche abbinate alla tecnologia con un focus sui nuovissimi biomateriali e le loro svariate applicazioni. La sostenibilità sarà una componente sempre più importante di ogni business di successo e le aziende del settore tessile manifatturiero stanno incrementando la ricerca per realizzare processi eco-compatibili.
Sempre più spesso infatti, i brand lanciano “capsule collection” realizzate con nuovi materiali, alternativi a quelli di origine “animale” o a quelli derivati dal petrolio. E’ solo di pochi giorni fa, per esempio, l’annuncio di Kering di non utilizzare mai più nelle collezioni dei marchi del gruppo le pellicce animali.
Dal mondo vegetale arrivano le materie prime per le fibre tessili di ultima generazione, i nuovi materiali che legati da una nuova alleanza cibo-moda ci sorprenderanno con la loro presenza oscillante dal piatto all’armadio in un buon esercizio di economia circolare.
Vestiremo con fibre realizzate da scarti e rifiuti dell’industria agroindustriale come arance, banane e soia. Utilizzeremo accessori prodotti con “eco-pelli” vegane, ma anche sostenibili, come quelle derivate dalle vinacce (scarto dell’industria vinicola), dalle foglie degli ananas, dagli scarti della produzione di mele e dai funghi e anche quelle ricavate dai fichi d’india. I bottoni potranno essere realizzati con gli scarti delle patate, dalle quali si ricava una bio-plastica riciclabile e biodegradabile, prodotta con un processo che non prevede l'uso di resine tossiche.
Guida ai biomateriali
Avremmo mai immaginato di poter indossare delle sneakers o un chiodo realizzati con fibre di ananas, di mele o di arance? Ecco, sta succedendo ora. Stiamo parlando degli ormai ben noti “biomateriali”, anche noti come materiali “bio-based”. Ma possiamo dire che sono effettivamente la soluzione e che sono davvero sostenibili? Vediamo.
Nuovi materiali con caratteristiche e nomi commerciali diversi: breve guida
- Piñatex® è un materiale bio-based, realizzato da fibre di cellulosa estratte dalle foglie di ananas. Può essere utilizzato come alternativa vegetale all’utilizzo di pelli di origine animale. E’ un materiale naturale, sostenibile e compostabile, derivato da un prodotto di scarto dell’industria agro- alimentare. A oggi è forse la più conosciuta alternativa vegetale alla pelle ed è utilizzata da marchi come Hugo Boss, Paul Smith, Trussardi o H&m.
- Pellemela®, della start-up altoatesina Frumat, è un’ecopelle prodotta mediante l’utilizzo di materie prime biodegradabili e da fonti rinnovabili, ecocompatibile. Pellemela è stata sviluppata grazie all’unione della miscela poliuretanica con prodotti ecologici ricavati dagli scarti della lavorazione di prodotti vegetali, in particolare delle mele (ad alto contenuto di zuccheri, cellulosa ed emicellulosa). Tommy Hilfiger e Cavalli sono tra i marchi che hanno già utilizzato questo nuovo materiale.
- Apple leather®, prodotta dalla Danese Beyond, è un’altra alternativa sostenibile alla pelle che utilizza scarti dell’industria alimentare, in particolare polpa di mela (tutto ciò che rimane dopo aver pressato le mele per produrre succo e/o sidro).
- Mylo®, prodotta dall’americana Bolt Threads, è un cuoio vegetale ricavato dai funghi partendo per la prima volta dai miceli, le radici del fungo. Il prodotto origina direttamente dalle cellule miceliali che vengono «coltivate» su un supporto di mais e riproduce l'aspetto e la sensazione tattile della pelle. Bolt Threads si sta preparando a portare la sua tecnologia nel mondo, grazie ad Adidas, Kering, Lululemon e Stella che hanno creato un consorzio con la società per portare in passerella capi e accessori in Mylo.
- Grape leather®, prodotta dalla milanese Vegea, azienda specializzata nella produzione di biomateriali, deriva da fibre di cellulosa ed è una pelle vegetale completamente biodegradabile. Questa “similpelle” è stata sviluppata mediante processi che utilizzano biomasse, attraverso la valorizzazione di scarti e rifiuti agroindustriali. In particolare dagli scarti della vinificazione. Dalla lavorazione della lignocellulosa e degli oli contenuti nella vinaccia si ottiene una materia prima totalmente vegetale costituita dalle bucce, semi e raspi dell’uva che residuano dalla produzione del vino. Ogni anno vengono prodotti circa 26 miliardi di litri di vino, da cui residua una tonnellata di rifiuti che possono essere utilizzati in molte applicazioni diverse. Questa ecopelle è già utilizzata da H&M Group per le sue linee & Other Stories e H&M Conscious.. Un abito realizzato in Wineleather è stato anche esposto nel 2019 al V&A Museum di Londra in occasione della mostra Fashioned from Nature, intesa a celebrare il rapporto fra moda e natura.
- Bananatex®, prodotta da una partnership tra il marchio svizzero di zaini QWSTION e un partner di tessitura con sede a Taiwan, si ricava dalla corteccia dell'albero (cellulosa) o dalle fibre interne dei banani ed è una delle fibre naturali vegetali biodegradabili più resistenti.
- Orange Fiber, è realizzata con fibre di cellulosa che derivano dalla trasformazione dei materiali vegetali della filiera agrumicola, da scarti industriali e sottoprodotti alimentari. La cellulosa viene estratta dagli scarti delle arance utilizzate negli stabilimenti che producono succhi e/o profumi per l’ambiente e viene poi trasformata in filato e successivamente in tessuto. E’ un filato dall’aspetto serico, opaco o lucido. Nel 2017, Salvatore Ferragamo è diventata la prima grande azienda di moda a utilizzare i tessuti Orange Fiber. Marinella, storico brand di sartoria napoletana, ha investito in Orange Fiber e ha realizzato una collezione in edizione limitata di cravatte sostenibili. Il capo realizzato nell’Aprile 2019 per la linea Conscious Exclusive di H&M con il tessuto derivato dalla fibra Orange Fiber è andato sold out in poche ore.
- Crabyon è una fibra realizzata con il chitosano, biopolimero derivato dalla chitina, proveniente dalla frantumazione dei gusci dei crostacei (scarti dell’industria alimentare). La struttura chimica del chitosano è molto simile alla cellulosa, sostanza ricca di glucosio (zuccheri), dotata di innumerevoli proprietà. La fibra è ottenuta dalla miscelatura di cellulosa, senza l’impiego di solventi e chitosano e viene utilizzata in mischia con altre fibre naturali, quali lino, cotone e lana, per creare tessuti ecologici, antiallergici e completamente biodegradabili e biocompatibili.
- Tutti questi materiali sono il risultato di continue sperimentazioni e realizzano un’innovativa operazione di economia circolare. Sono un bellissimo esempio di bio-upcycling, che unisce creatività e sostenibilità ambientale, e costituiscono la nuova frontiera dei materiali tessili. Per completezza, vanno menzionate in questa carrellata di nuovi materiali anche le aziende che investono in “chimica verde” e che producono poliestere e nylon di ultima generazione, ricavati da materiali bio-based, come per esempio la poliammide e i poliesteri bio-based (PET, PLA o PTT).
- Corn Fiber, nome commerciale “Corn Leaf”, prodotta dal gruppo Radici, è una fibra derivata dagli zuccheri del mais, dai quali si ottiene un biopolimero il PLA (acido polilattico), un materiale ecologico da fonte naturale, rinnovabile e biodegradabile.
- EVO®, prodotto dall’azienda italiana Fulgar, è una poliammide 6.10, rinnovabile, ricavata dalla biomassa dei semi dell’olio di ricino. Il “Ricinus Communis”, la cui coltivazione è diffusa soprattutto in India e Cina, non richiede elevati quantitativi di acqua né pesticidi, cresce spontaneamente in terreni aridi e quindi non sottrae terra coltivabile per usi alimentari. E’ una fibra ultraleggera, traspirante.
Soluzioni alternative o solo greenwhashing?
Il termine "bio-based" è utilizzato per tutti quei materiali che sono interamente o parzialmente derivati da biomassa: piante e vegetali. I polimeri derivanti da fonti rinnovabili, sebbene non siano una novità (basti pensare alle fibre artificiali come per esempio la viscosa o l’acetato brevettate nel primo novecento), sono a base cellulosica (prodotto rinnovabile) e sono i materiali su cui il settore tessile sta maggiormente puntando.
La ricerca è impegnata nello sviluppo di nuove materie cellulosiche prime o da riciclo da materiali di diversa natura, per acquisire maggior indipendenza dal mercato tradizionale della cellulosa, fortemente condizionato dall’industria della carta e del filter tow (filtro delle sigarette). Questi nuovi prodotti dimostrano che un efficace scambio d’ informazioni lungo la catena di approvvigionamento favorisce il riuso, il riciclo e il recupero.
I polimeri bio-based sono definiti come polimeri nei quali almeno una porzione è prodotta da fonti rinnovabili e possono avere diverse caratteristiche. Per esempio, possono essere prodotti in parte da mais o da canna da zucchero e la parte rimanente può essere formata da materiali derivanti dal carbon fossile. Alcuni materiali bio-based sono biodegradabili (è per esempio il caso dell’acido polilattico, PLA), altri invece no (per esempio, il Bio-PET e il Bio-nylon).
Nel valutare e cercare di definire la loro reale sostenibilità dobbiamo quindi tener presente che:
- non tutti questi materiali sono biodegradabili e quindi non risolvono i problemi della permanenza dei rifiuti e delle microplastiche, dato che i loro tempi di biodegradazione sono simili a quelli delle fibre sintetiche tradizionali;
- alcuni di essi derivano da risorse cerealicole (amido di mais o grano idrolizzato) o provengono dall’industria zuccheriera (melassa o canna da zucchero) e quindi possono entrare in concorrenza con l’industria agroalimentare;
- viene utilizzato principalmente il mais geneticamente modificato come materia prima per il PLA e questo desta preoccupazioni, così come l’impatto ambientale della produzione di mais;
- la capacità di produzione globale per il poliestere bio-based e per la poliammide bio-based è molto bassa se confrontata con la produzione dei materiali derivati da combustibili fossili a causa dei suoi ancora elevati costi di produzione e dell’utilizzo di materie prime limitate
- molti di questi materiali però, pur non essendo biodegradabili, possono essere riciclati e riutilizzati più volte.
Va ricordato, inoltre, che l’ostacolo maggiore alla reale attuazione di una vera e propria economia circolare per i capi di abbigliamento è che quasi sempre i tessuti utilizzati sono composti da diverse fibre in mischia e per questo motivo la separazione, la selezione e quindi il riciclo dei capi è allo stato attuale della tecnica assai complesso. Infine, per far crescere l’attuale 1 per cento di tessili riciclabili oggi utilizzati per la produzione di nuovi tessuti saranno necessari ingenti investimenti in tecnologie per il riciclo, da parte delle aziende del settore.
I materiali bio-sintetici rimangono comunque l’unica strada percorribile e costituiscono un importante passo in avanti nel difficile percorso verso la piena sostenibilità, anche se permangono lati oscuri che non possono permetterci ancora di definire tutti questi materiali come sostenibili. Occorre inoltre fare distinzione tra quelli ottenuti con l’ausilio delle biotecnologie, dall’utilizzo di scarti o da piante non in concorrenza con la produzione alimentare e quelli, invece ottenuti da mais transgenico piuttosto che da cellulosa non certificata FSC e causa di deforestazione (come è talvolta la viscosa a basso costo e d’importazione).
L’utilizzo dei prodotti di scarto è certamente un ottimo esercizio di sostenibilità e rientra nella lenta trasformazione in atto del sistema produttivo da economia lineare a economia circolare; allo stato, si tratta dell’unica strada percorribile per ridurre l’impatto negativo della produzione tessile sulle persone e sul pianeta. Dagli scarti si può realizzare una chimica diversa, evoluta e sostenibile. La transizione verso un modello di vita sostenibile infatti non è semplice e non può essere veloce, richiedendo investimenti di medio-lungo periodo e confronto interdisciplinare.
L’ Europa sta pianificando nuove strategie per il tessile moda
L'industria tessile è tra le maggiori utilizzatrici di chimica attraverso le varie fasi di trasformazione, dalla materia prima al prodotto finito. Nella Strategia da adottare per l’utilizzo di sostanze chimiche in un’ottica di sostenibilità, presentata dalla Commissione Europea il 14 ottobre 2020, viene ribadita la necessità di eliminare progressivamente le sostanze più pericolose dai prodotti destinati al consumatore tra cui quelli tessili.
L'Europa, che ha già una regolamentazione tra le più stringenti al mondo sull'uso delle sostanze chimiche, con il nuovo Piano sulla chimica sostenibile intende dare maggior impulso a uno sviluppo innovativo della chimica europea. La Commissione si è impegnata a presentare nel 2021 una strategia dell'UE che promuova prodotti tessili sostenibili, rafforzando la competitività e l'innovazione di tutta la filiera del settore tessile.
La tracciabilità, con la blockchain, sarà in questo contesto un altro strumento indispensabile per valutare i prodotti, prendendo in considerazione tutto il ciclo produttivo a partire dalle fasi a monte, e per avere garanzie sulla loro reale sostenibilità.