Francesco è ancora di gran lunga tra i primissimi posti nella speciale classifica del nome più usato dagli italiani. Ed è così nonostante moltissimi genitori che scelgono per i propri figli il nome dell'uomo più famoso di Assisi non siano credenti. Da lui promana qualcosa che va oltre l'essere cristiano e il credere in un Dio trascendente.
La narrazione devozionale enfatizza in maniera straordinaria, forse andando anche oltre la realtà, ciò che si riferisce alla penitenza, alla povertà, alla solitudine, alla preghiera del Poverollo di Assisi, ma chi non conosce questa terminologia coglie in questi comportamenti l'attitudine di un uomo che conosceva l'importanza del saper perdere. Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Nella sua vita Francesco dimostra infinite volte di non temere la sconfitta.
Da quando si spoglia nudo di fronte al padre Pietro di Bernardone fino al momento in cui si ritira dal governo dell'ordine per rifugiarsi da solo nell'eremo dell'Averna dove riceverà le stimmate. Francesco torna sconfitto dall' incontro con il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil ma non teme che questo fallimento possa intaccare il valore e la dignità della sua vocazione e della sua persona. In un'epoca come la nostra che pare fatta per la gente che conta, che vuole il potere e che per averlo è disposto a qualsiasi genere di sgambetto volgare e disonesto, la figura di Francesco giganteggia incontrastata.
Tutti abbiamo sentito dire che l'avventura di Francesco nasce quando sente provenire dal Crocefisso di san Damiano la richiesta divina: «Francesco, va’ ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina» (2 Cel. 3). Chi mi raccontò per la prima volta questo fatto aggiunse che, ingenuamente, Francesco non comprese che la casa di cui la voce divina parlava era la Chiesa, ma intendette che suo dovere fosse riparare le mura fatiscenti che stavano dinnanzi a lui.
Chi mi dava questa spiegazione parlava con una certa sufficienza e io per un po' gli credetti. Ma poi mi accorsi che la grandezza di san Francesco era stata invece proprio nell'iniziare, da solo e con le sue mani, quel lavoro piccolo e materiale. Come avrebbe potuto presentarsi a persone dotte, al Papa, dicendo: sono qui per riparare la Chiesa visto che me lo ordina una voce divina? Nessuno gli avrebbe creduto. Francesco invece con quel lavoro piccolo, umile, concreto, che accetta lealmente la propria piccola insignificanza, inizia una possibilità di vivere in maniera radicale, che affascina.
Con la scelta di lavorare nel piccolo e pietra su pietra, Francesco fuggì da ogni delirio di onnipotenza e si diede la possibilità di fare quello che poteva. Immergendosi nella realtà, si sprigionarono le sue energie inventive e creative e nacque così la capacità di coagulare un piccolo manipolo di uomini attorno ad un sogno visibile e concreto.
In un mondo stregato dal dovere di vincere e dall'essere perfetti, Francesco insegna l'umilissima e utilissima arte del perdere che, paradossalmente, è la forza che ci rende meno vulnerabili nella nostra ricerca di vita. Perdere ogni giorno qualcosa è l'unica strada per non perdere se stessi perché non svalora la propria vita in una gara che si può solo o vincere o perdere. Tanti auguri a tutti quelli che si chiamano Francesco o Francesca. E non solo.