Seid Visin, ex calciatore delle giovanili del Milan e del Benevento, si tolse la vita agli inizi di giugno.
Visin era nato in Etiopia ed era stato adottato a sette anni. Fin da subito si rivelò una promessa del calcio tanto da condividere nelle giovanili del Milan per due anni la stanza con Gigio Donnarumma che parlò della sua morte agli inizi degli europei.
A causa di una lettera diffusa dai media, le ragioni del suicidio vennero cercate dall’opinione pubblica fin da subito nel razzismo ma i genitori smentirono. Dissero che quella lettera parlava di un problema superato: ora però ammettono di essersi sbagliati. "Adesso ci è tutto più chiaro" ha detto il papà di Seid al Corriere "tanto che io e mia moglie abbiamo deciso di dare voce al pensiero di Seid. Porteremo avanti la sua lotta contro il razzismo e contro ogni tipo di discriminazione. Lo faremo a partire dalla sua lettera. La leggeremo e la discuteremo nelle scuole, nei campi di calcio, nelle conferenze. Lo faremo per lui e per ogni Seid che si sente fuori posto per il colore della sua pelle".
Il razzismo aveva un peso importante nella vita di Seid Visin. Lo avevano capito tutti ma non i genitori: come mai? Walter e Maddalena – il papà e la mamma di Visin – sono arrivati alla conclusione che il figlio nascondesse loro la sua sofferenza causata dal razzismo per proteggerli, e questa forse è la lezione più dura da digerire nell’intera storia.
Seid pensava che la sua esperienza di razzismo fosse così radicale e irrimediabile che coinvolgere i genitori li avrebbe solo fatti soffrire. “Se mi bullizzano a scuola – può pensare per esempio un giovane qualsiasi – e io ne parlo ai miei genitori, essi possono rivolgersi ai professori, farmi cambiare istituto, denunciare la cosa”.
Seid invece pensava che nel suo essere vittima del razzismo i genitori avrebbero potuto solo angustiarsene e così ha preferito risparmiare loro quel dolore. Peccato che alla fine sia stato lui a soccombere. Perché sopportare i dolori è difficile: e farlo da soli è impossibile.