AGI - Siamo per consuetudine abituati a ritenere che le fibre tessili di origine naturale (lana, cotone, seta, ecc.) siano migliori per le loro prestazioni, per la salute delle persone e soprattutto per la tutela dell’ambiente in quanto “naturali” e rinnovabili e che invece le fibre chimiche anche conosciute come “man made”, seppur molto pratiche e di facile manutenzione siano non sostenibili in quanto molto inquinanti per la loro origine da polimeri di sintesi non biodegradabili.
Tuttavia, l’evoluzione green che l’industria della moda sta vivendo ha reso il mercato delle fibre tessili sempre più dinamico e innovativo con l’introduzione di nuove o vecchie fibre “ingegnerizzate”, che rappresentano valide alternative per ridurre l’impatto ambientale e dare una nuova svolta al comparto tessile.
Gli scienziati avevano fino a oggi sempre poco considerato il polietilene, un materiale comunemente usato per i sacchetti di plastica e più conosciuto con il nome PET (polietilene tereftalato). Si tratta di una materia sintetica appartenente alla famiglia dei poliesteri che viene realizzato con petrolio, gas naturale o talvolta anche con materie prime vegetali.
Il Politecnico di Torino e il Massachusetts Institute of Technology (MIT), hanno recentemente pubblicato su Nature Sustainability (una delle più antiche e importanti riviste scientifiche) una ricerca sui tessuti in fibra di polietilene dal titolo: “Sustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive cooling” –“Sostenibilità dei tessuti in polietilene con trasporto dell'umidità ingegnerizzato per il raffreddamento passivo”. La ricerca si è concentrata sull’ingegnerizzazione delle proprietà di trasporto dell’acqua nel tessuto e si è data l’obiettivo di creare un nuovo filato tecnico sostenibile ottenuto dal polietilene, con una particolare attenzione alla sua impronta ecologica.
Lo studio del Politecnico di Torino e del MIT ha dimostrato che il polietilene è un buon materiale alternativo alle fibre naturali in termini di sostenibilità e proprietà: presenta un basso impatto ambientale e la sua struttura permette di modificarne qualitativamente le caratteristiche meccaniche, termiche e ottiche in modo da acquisire performance molto mirate.
Appare evidente pertanto che la usuale classificazione “per origine” delle fibre tessili in funzione dell’impatto ambientale dei materiali, non è più corretta, come dimostra questa ricerca che rivela che le fibre man made non sempre risultano meno sostenibili di quelle naturali. Inoltre gli studi del Politecnico e del MIT evidenziano che i materiali tessili man made hanno il vantaggio di poter essere programmati su misura in funzione delle specifiche applicazioni a cui sono destinati.
A differenza di quanto accade per le fibre naturali, contraddistinte da componenti chimico-fisiche non controllabili, le microfibre dei tessuti tecnici permettono infatti interventi di ingegnerizzazione mirati alla modellazione delle loro caratteristiche, consentendo la realizzazione di tessuti assai performanti.
Come mostra la ricerca del MIT e del Politecnico, modificando le caratteristiche chimiche superficiali delle fibre e modellandole, è possibile impostare ab origine le caratteristiche legate all’idrorepellenza e anche le proprietà finali del tessuto, come la sua capacità di assorbire e trasportare un fluido al suo interno.
Gli scienziati che hanno partecipato a questa ricerca hanno testato la capacità di traspirazione di questo nuovo tessuto e lo hanno confrontato con molti altri tessuti prodotti con altre fibre, naturali e sintetiche. In tutti i test effettuati i tessuti in polietilene hanno assorbito e fatto evaporare l’acqua più velocemente non solo dei tessuti realizzati in cotone ma anche di quelli in nylon e in poliestere.
I tessuti realizzati con il polietilene offrono resistenza alle macchie, raffreddamento passivo, asciugatura rapida e soprattutto riciclabilità. Risultano inoltre particolarmente igienici grazie ai tempi di asciugatura rapidi. Ciò non solo previene l’insorgenza di batteri, ma ne consente il lavaggio e l’asciugatura con trattamenti a bassa temperatura e di breve durata.
La ricerca ha evidenziato inoltre che le fibre naturali come il cotone, il lino o la seta, comunemente percepite come eco-sostenibili, celano un alto impatto ambientale, riscontrabile solo analizzando l’intero ciclo di vita del tessuto che va dalla coltivazione e produzione della fibra, alla filatura, alla tintura del filato ed infine alla tessitura e che l’industria tessile ha diversi parametri da tenere in considerazione rispetto alla sostenibilità.
Le fibre naturali implicano grandi consumi di acqua, l’utilizzo di pesticidi, la necessità di realizzare degli spazi di coltivazione dove magari prima c’erano foreste, senza trascurare infine l’impatto sull’ambiente delle sostanze chimiche e coloranti utilizzati nei processi di tintura.
Come ha osservato Svetlana Boriskina, coordinatrice della ricerca presso il MIT, “Tenendo conto delle proprietà fisiche del polimero e dei processi necessari per realizzare e tingere i tessuti, secondo questa ricerca sarebbe necessaria meno acqua e meno energia rispetto all’impiego di poliestere o cotone con un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli, per esempio del cotone”. La tintura delle fibre naturali avviene infatti dopo la filatura della fibra con processi ad umido ancora abbastanza inquinanti.
“Il polietilene inoltre si presta facilmente ad un processo di separazione e riciclaggio industriale: ciò consente di creare nuovi capi anche da materiale riciclato, con un grande potenziale di economia circolare”.
I ricercatori che hanno lavorato a questo studio congiunto sperano che i risultati ottenuti possano fornire un incentivo a recuperare e riciclare buste di plastica, bottiglie di PET e altri prodotti in polietilene per trasformarli in tessuti indossabili, felpe, scarpe da ginnastica, dando così un senso alla sostenibilità di questo materiale. A tal fine, il MIT nei prossimi mesi creerà una start-up per produrre questo nuovo tessuto e sta lavorando con l'esercito degli Stati Uniti, la NASA e il produttore di abbigliamento sportivo New Balance sulle applicazioni dei tessuti in polietilene. L’ingegnerizzazione delle fibre man made presenta quindi grandi possibilità di sviluppo e si può prevedere che il nostro abbigliamento del futuro sarà realizzato con materiali innovativi e sempre più performanti.
L’unico aspetto a cui non mi sembra si accenni nella ricerca è quello legato al lavaggio degli indumenti sintetici in lavatrice. Infatti, ogni ciclo di lavaggio in lavatrice di tali tessuti è fonte di inquinamento, a causa delle microfibre plastiche che sono rilasciate nelle acque. Come mostrato da uno studio del 2016, pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, più di un grammo di microplastiche viene rilasciato ogni volta che vengono lavate giacche sintetiche e fino al 40 per cento delle stesse finisce inevitabilmente nei corpi idrici . Dobbiamo quindi confidare che questi materiali di ultima generazione e con caratteristiche studiate e mirate ab origine siano in grado di risolvere anche questa problematica.