AGI - Forse non tutti sanno che la canapa è un’importante risorsa sostenibile che offre infinite possibilità di utilizzo: dagli eco-mattoni isolanti, all’olio antinfiammatorio, alle bioplastiche, all’utilizzo dei semi e dei fiori per tisane, ai cosmetici ed infine alle fibre tessili.
La coltivazione della canapa inoltre ha un impatto ambientale ridottissimo, in quanto, oltre ad essere una fibra biodegradabile, richiede meno di un terzo dell'acqua necessaria per il cotone e produce il 220% in più di fibre. La pianta cresce senza la necessità di erbicidi e pesticidi dannosi e ripristina anche la qualità del suolo.
Le fibre tessili e i tessuti in canapa, oltre ad essere molto resistenti, assorbono poi bene l'umidità grazie alle cavità interne della fibra, hanno una grande capacità di dispersione del calore, consentendo ai tessuti di rimanere freschi d'estate ma caldi d'inverno, assorbono poco gli odori, hanno una buona protezione UV rispetto ad altri materiali e possiedono una micropotenza elettrica che stimola la pelle favorendo anche la circolazione del sangue.
Nello scenario futuro dei prossimi venti o trenta anni le fibre tessili naturali, come per esempio il cotone, la lana e la seta, sono destinate a diventare disponibili solo per un mercato di nicchia, mentre la domanda aggiuntiva di fibre dovrà essere soddisfatta inevitabilmente dalle fibre sintetiche, per mancanza di risorse. L’Europa e l’Italia non sono in grado di competere con i grandi produttori asiatici di poliestere e di seta, con i grandi produttori di cotone americani, né con i produttori di lana Merino australiano ma devono piuttosto puntare su altre specificità.
L’Italia, in particolare, può attingere alla grande tradizione di produzione e lavorazione della canapa anche se, va detto, riprendere tale coltura non è facile, in quanto si sono persi nel tempo la filiera e i metodi di lavorazione. In particolar modo quelli della raccolta e della macerazione che sono processi piuttosto difficoltosi a causa dell’altezza - fino a sette metri - delle piante. Attualmente la coltivazione è ripresa in Canada e negli Stati Uniti ma soprattutto in Cina.
In Italia il principale ostacolo alla reintroduzione della coltivazione di canapa è l’insufficienza dell'innovazione tecnologica per la raccolta e la prima trasformazione della fibra, che avviene direttamente sul campo.
Da fibra strategica “italiana” al proibizionismo”
La storia della canapa comincia ben ottomila anni fa. Essa è stata infatti la prima fibra ad essere utilizzata dall'uomo e fino alla seconda guerra mondiale è rimasta una coltivazione diffusa in varie parti del mondo e sfruttata per tantissimi usi. È stata infatti utilizzata per la fabbricazione della carta, come combustibile per auto, per la produzione di corde, vele, tendaggi e tessuti.
L’Italia era tra i più grandi produttori di canapa pregiata, dedicando oltre 90 mila ettari alla coltivazione di questo vegetale. Nel nostro Paese, in base alle diverse lavorazioni, si ricavavano fibre tessili, corde, carta e oli commestibili. Benito Mussolini attuò strategie per potenziare lo sviluppo di risorse che ci rendessero autonomi in eventuale tempo di guerra anche nel settore tessile, puntando sulle lane indigene, sulla fibra prodotta dalla proteina del latte, “Lanital” ed infine, appunto, sulla canapa.
Negli anni Trenta anche gli Stati Uniti si resero conto delle enormi potenzialità della canapa: nel 1937, Henry Ford, sostenitore dei principi della chemiurgia, realizzò la prima vettura interamente costituita di plastica derivata dalla canapa, la “Hemp body car” che era leggera e resistentissima grazie appunto alle proprietà della fibra.
L’arresto allo sviluppo della coltivazione in Europa e nel resto del mondo si deve al rigido proibizionismo americano. Infatti nel 1935 il celebre Marihuana Tax Act pose tutti i coltivatori di canapa sotto il controllo dei regolamenti del dipartimento del Tesoro per limitarne e, infine, vietarne la coltivazione e la produzione. Dietro alla decisione vi erano anche le pressioni degli industriali e le grandi lobby americane della carta (prodotta da cellulosa da legno), del cotone e delle prime fibre sintetiche (Dupont aveva appena brevettato la poliammide, cioè il nylon). Nello stesso periodo, anche il regime fascista in Italia ne disincentivò per gli stessi motivi la produzione.
“La canapa, fibra sostenibile che richiede poca acqua, che non necessita di pesticidi, aiuta il suolo e dalla quale si può produrre, fibra tessile bioplastica e molto altro”
Occorre aspettare il 2014 e la presidenza Obama per la firma di un nuovo Farm Bill - il pacchetto quinquennale di leggi federali sull’agricoltura – che permise ad università ed istituti di ricerca di effettuare coltivazioni a livello sperimentale. Più recentemente, il Farm bill firmato dal presidente Trump, ha legalizzato la coltivazione e la commercializzazione di canapa e derivati anche a livello federale.
Solo dal 2012 l’atteggiamento degli altri paesi occidentali è cambiato, parallelamente ad una presa di coscienza sociale sui disastrosi problemi ambientali legati ai cambiamenti climatici. E’ stato in particolare individuato nella canapa un possibile elemento portante del settore agricolo, nella prospettiva di un modello di sviluppo sostenibile e di una soluzione ecologica alla crisi ambientale e climatica. L’Italia si è parzialmente adeguata con la promulgazione della Legge 242 del 2016 che ha introdotto nel nostro ordinamento disposizioni per la promozione della coltivazione della canapa e della sua filiera agroindustriale.
Negli ultimi anni, start up, designer e brand di abbigliamento hanno sfruttato la biotecnologia per offrire alternative più sostenibili alle fibre e ai materiali e un numero crescente di marchi di moda stanno utilizzando tessuti in canapa nelle loro collezioni per le sue caratteristiche di sostenibilità. Sono molti gli studi e le sperimentazioni di nuove tecnologie e gli investimenti per sviluppare questa industria e rendere più morbida la fibra e, soprattutto da quando negli Stati Uniti è stata legalizzata, l'industria è esplosa, tanto che si parla di un mercato potenziale da oltre 13,03 miliardi di dollari entro il 2026 (stima di Reports and Data).
“I jeans di Levi’s in canapa cotonizzata sostenibili e riciclabili”
Ad oggi gli USA, con i loro 31mila ettari, sono il terzo coltivatore al mondo, dopo la Cina e il Canada; non ci stupisce perciò che il colosso americano Levi’s sdogani la canapa annunciando l’arrivo sul mercato di una nuova linea di jeans e di altri capi fatti in canapa in mischia con il cotone. Si tratta di capi progettati pensando ai criteri di circolarità, utilizzando fibre completamente naturali. La collezione prende il nome “Levi's Wellthread” e propone anche magliette create in denim riciclato e miscele di cotone/canapa.
Il grande interesse mostrato per la canapa è dovuto soprattutto al fatto che tale fibra può essere, considerate le sue caratteristiche, una buona risorsa sostenibile e sostitutiva di molte altre materie prime, utilizzabile non solo nel settore tessile, ma anche in quello della bioplastica.
La bioplastica di canapa è già prodotta in Canada e Stati Uniti e dal 2015 anche in Sicilia da Kanesis, startup che, utilizzando lo scarto delle infiorescenze della lavorazione della canapa light, ha brevettato un materiale, simile al polipropilene, biodegradabile, riciclabile ed esente da tossine, con il quale produce materiali per la stampa 3D. La start up, infatti, sostituendo agli additivi sintetici (come i coloranti, i stabilizzanti, i compattanti, i fluidificanti) con le polveri di scarto derivate dalle diverse filiere agricole ha brevettato dei filamenti biobased.
In Puglia inoltre si stanno testando le capacità della canapa di ripulire i terreni dai metalli pesanti, sostanze che possono, addirittura, essere successivamente recuperate. Significherebbe avere allo stesso tempo terreni puliti e metalli puri estratti dalla pianta. Se si aggiunge poi la possibilità di poterla seminare, coltivare e trasformare in Italia, questo significherebbe favorire la filiera corta e riportare l’intero ciclo produttivo in Italia.
Alcuni brand, in questo periodo di necessaria ristrutturazione, sembrano quindi aver colto l’opportunità per “ripensare”, “reimpostare” e “ricalibrare” la propria filiera e soprattutto mostrano di aver compreso l’urgenza di adeguarsi ai nuovi paradigmi di sostenibilità. L’interesse per la canapa industriale, in questo scenario, sembrerebbe esser tornato forte ed è pertanto augurabile che questa fibra naturale, rispettosa dell’ambiente e dai molteplici utilizzi, possa, dopo una pausa di quasi 70 anni, tornare a diventare un’importante risorsa anche per il nostro Paese.