Startup visionarie, dislocate in diversi Paesi del mondo, stanno per sbarcare sul mercato con soluzioni alternative di qualità al cuoio animale, sperimentando diversi processi di produzione di pelle “vegana”. Alcune di queste aziende stanno crescendo molto rapidamente, infatti approfittando del clima favorevole, stanno raccogliendo consensi e capitali da investitori disposti a finanziare l’avvio e la crescita di alternative sempre più sostenibili.
Le proposte da queste aziende possono offrire una valida soluzione ad alcuni dei problemi di “insostenibilità” dell'industria tessile. La principale novità arriva da una startup di biotecnologie statunitense che ha ideato un cuoio vegetale dai funghi partendo per la prima volta dai miceli, le radici del fungo. Il cuoio di funghi può essere realizzato in vari modi e utilizzando diverse tecnologie per ricavare un materiale simile alla pelle animale e fornire un’alternativa non di plastica e biodegradabile.
La pelle è stata sempre simbolo di lusso nella moda e nell’immaginario collettivo: rappresenta ad oggi un valore annuale stimato in 400 miliardi di dollari con una previsione di arrivare a 629 miliardi di dollari entro il 2025, secondo Grand View Research. D’altro canto la domanda di alternative sta crescendo, con il mercato della pelle vegana che raggiungerà 89,6 miliardi di dollari entro il 2025, secondo Infinium Global Research. E ciò sulla spinta delle polemiche sollevate dal forte impatto sull’ambiente della catena di fornitura e produzione della pelle animale.
Molti grandi brand, per questi motivi, già da tempo, hanno rinunciato alle pellicce e alle pelli di animali esotici, come per esempio i rettili (Gucci, Chanel, Burberry e Prada) e gli esperti dicono che la prossima sulla lista potrebbe essere la pelle bovina.
A proposito, che differenza c’è tra la pelle sintetica e quella vegetale? Il cuoio prodotto dai funghi è l’ultimo ritrovato nel campo dei biomateriali e potrebbe sostituire il cuoio animale imitandone resistenza e aspetto. Con prestazioni che sembrerebbero migliori dei materiali alternativi di origine plastica che sono derivati dal petrolio.
A differenza delle fibre sintetiche presenti nella maggior parte delle pelli vegane, che utilizzano materie prime derivate da combustibili fossili e non biodegradabili, i biomateriali (materiale concepito per interfacciarsi con i sistemi biologici e pertanto biodegradabile) sono realizzati con risorse biobased e parzialmente biobased. Questi materiali e le alternative in pelle biosintetica potrebbero essere la soluzione alle problematiche dell'industria della pelle animale.
Come nasce questa esigenza, quali i problemi della pelle bovina? La moda può eliminare le sostanze chimiche tossiche?
Le criticità che animalisti ed ecologisti rimproverano all’industria del cuoio sono: l'inquinamento chimico, la mancanza di garanzie per il benessere degli animali, la deforestazione e il degrado per l'uso del suolo destinato al pascolo, la perdita di biodiversità nonché, infine, le emissioni di gas serra. La rivoluzione industriale ha avviato nuovi metodi di trattamento chimico delle pelli, introducendo metalli pesanti e acidi, come i sali di cromo e l'acido solforico, nei processi di lavorazione e conciatura. Dagli anni Cinquanta, inoltre i PFAS sono usati nella filiera di concia delle pelli. I PFAS, prodotti chimici perfluorurati, sono indicati come "prodotti chimici per sempre" perché persistono nell'ambiente più a lungo di qualsiasi altra sostanza artificiale.
Per rendere il materiale adeguato all’impiego tessile, infatti i tradizionali processi di conciatura implicano l’utilizzo di sostanze chimiche che spesso sono altamente inquinanti per l’ambiente come il cromo e i composti perfluorurati. Sebbene in Europa le industrie abbiano dovuto innovare i processi di concia, rendendoli meno inquinanti per adeguarsi alle normative UE degli anni '80, questi trattamenti rimangono molto impattanti. Tutte queste sostanze, spesso al bando in Europa o comunque sottoposte a vincoli stringenti, vengono utilizzate liberamente nei distretti dell'Asia dove vengono confezionate le materie prime per molte aziende di moda.
Le alternative, praticate da alcune aziende che stanno investendo in sostenibilità, sono la concia al tannino vegetale, che utilizza elementi al 100% naturali.
Si dibatte inoltre da anni (vedi campagne Greepeace) anche per la questione etica per l’utilizzo ed il trasporto di animali e quella sulla “non trasparenza” lungo la catena di fornitura dell’industria conciaria. Problematiche che hanno reso necessario l’avvio di iniziative, come il progetto UNECE Sustainable Textile and Leather Traceability, attraverso il quale le industrie della pelle, del tessile e della moda stanno collaborando attivamente allo sviluppo di metodi per migliorare la trasparenza della catena di approvvigionamento.
Google sta collaborando con il WWF Svezia su una piattaforma che i marchi di moda possono utilizzare per analizzare l'approvvigionamento di materie prime e verificarne con più facilità la sostenibilità. Il progetto pilota di Google Cloud è iniziato con cotone e viscosa e ora si è esteso a più di 20 materie prime, compresi i sintetici.
D’altro lato l'industria della pelle sostiene invece, la propria funzione di trasformazione e circolarità per l’utilizzo di un prodotto di scarto dell’industria alimentare. La questione si presenta così con diverse sfaccettature che coinvolgono i consumatori, sempre più informati, che si preoccupano anche per il clima e per le emissioni di anidride carbonica CO2 (gas a effetto serra) prodotti dal bestiame.
È facile quindi intuire perché il sistema moda sia alla ricerca di alternative alla pelle animale
Le alternative sostenibili
Aziende e startup, in risposta alle molte problematiche, hanno quindi cominciato a sperimentare pelli vegetali, prodotte con le stesse caratteristiche di quelle animali ma ricavate da sostanze sostenibili grazie al ricorso delle biotecnologie, con l’obiettivo di creare una vera alternativa ecologica anche alla finta pelle. In particolare:
- Nel 2015 il progetto spagnolo Piñatex che utilizza la cellulosa contenuta nelle fibre delle foglie di ananas;
- Nel 2016 Mymantra e Ligneah, aziende romane, lanciano una pelle vegetale ricavata dalla cellulosa del legno;
- Nel 2016 un’altra alternativa eco è Muskin, prodotta dall’azienda toscana Zero Grado Esapace, composta al 100% da materie prime naturali: tra cui il cappello di un fungo particolare (dal cappello del Phellinus ellipsoideus, una specie di fungo gigante non commestibile originario delle foreste subtropicali che trae nutrimento dal tronco degli alberiprovocandogli una sorta di marciume bianco). Al momento la capacità produttiva del materiale è ancora ridotta (fino a circa 40-50 metri quadrati al mese), ideale per la realizzazione di collezioni a edizione limitata
- Nel 2017 l’Italiana VEGEA vince il, Global Change Award della H&M foundation (premio da 300 mila euro) con Grape Leather, pelle totalmente vegetale ottenuta dagli scarti della vinificazione che successivamente è riuscita ad ottenere i fondi Europei “Horizon 2020”( contributo dell'UE che prevede un massimo di 3 milioni di euro a progetto) per la ricerca e l’innovazione;
Alcune crescono velocemente grazie ai fondi UE ma soprattutto grazie a “capitali di rischio” ed agli investitori del lusso- Tante, diverse e tutte interessanti le proposte ma solo alcune di esse sono riuscite a trovare il modo di crescere, perfezionare le caratteristiche del prodotto e soprattutto ottenere i fondi necessari per commercializzare il prodotto.
Coinvolgere l'industria del lusso e i brand ad utilizzare le pelli vegane è stato non facile ma per alcuni, la carta vincente. Alcune di queste startup hanno trovato sostenitori che hanno creduto in loro e grazie al loro supporto sono riuscite a perfezionare il loro prodotto ma soprattutto a farsi conoscere ed accettare dai consumatori.
- La startup MycoWorks di San Francisco, fondata nel 2013, ha appena annunciato un finanziamento di serie B (una raccolta di capitale che avviene nella fase di crescita di una startup.) da 45 milioni di dollari per aumentare la produzione del suo biomateriale chiamato Reishi, una pelle vegetale sostenibile a base di micelio fine, le radici vegetative filiformi dei funghi . MycoWorks in pratica trasformia il micelio e altri sottoprodotti agricoli in pelle. A questo round di finanziamento, anche gli attori Natalie Portman e John Legend hanno partecipato insieme a WTT Investment Ltd., DCVC Bio, Valor Equity Partners, Humboldt Fund, Gruss & Co. e altri, oltre agli investitori esistenti;
- L’americana Bolt Threads, già nota nell’ambiente dei biomateriali per la sua «seta di ragno» artificiale ricavata da sciroppo di mais fermentato, è riuscita a realizzare nel 2018 un materiale, chiamato Mylo, estremamente simile alla pelle animale. Anche questa startup, partendo dalle «radici» del fungo, i miceli. Bolt Threads ha ottenuto 213 milioni di dollari di finanziamenti in capitale di rischio e sta collaborando con Adidas, Kering, Lululemon e Stella McCartney per sviluppare l'alternativa in pelle “Mylo”, comunemente chiamata "pelle di funghi". Il processo di creazione è relativamente semplice e paradossalmente non prevede la coltivazione di nessun fungo. Il punto di partenza sono direttamente le cellule miceliali che vengono «coltivate» su un supporto di mais. Il materiale riproduce l'aspetto e la sensazione tattile della pelle. L’azienda collabora con i marchi partner durante tutto il processo di produzione per specificare le dimensioni, la consistenza, lo spessore e le prestazioni del prodotto finito, nonché l'uso previsto, così che i tecnici di MycoWorks possano mettere a punto le caratteristiche del prodotto su misura per le esigenze del brand. Bolt Threads si sta preparando a portare la sua tecnologia nel mondo, grazie ad Adidas, al gruppo Kering, a Lululemon e a Stella McCartney che hanno creato un consorzio con Bolt Threads per portare in passerella capi ed accessori in Mylo nel 2021. Adidas, Lululemon, Kering e Stella McCartney hanno, infatti dichiarato che collaboreranno con Bolt Threads su Mylo, investendo collettivamente nelle sue operazioni di sviluppo e produzione, in cambio di centinaia di milioni di piedi quadrati di materiale. I prodotti Mylo, dalle sneakers Adidas agli accessori Stella McCartney, saranno in vendita nel 2021
- Anche Beyond Leather Materials di Copenhagen ha raccolto 1,1 milioni di euro a Luglio per finanziare la sua pelle alternativa a base di polpa di mela. Beyond è un’azienda B2B che produce un'alternativa sostenibile alla pelle utilizzando scarti dell’industria alimentare, cioè polpa di mela (tutto ciò che rimane dopo aver pressato le mele per produrre succo e/o sidro) per creare un'alternativa in pelle senza animali e plastica. Con un’innovativa operazione di economia circolare e di upcycling!
Ancora nessuna certezza
"In generale, non esiste un'alternativa perfetta al cuoio e tutte le alternative, al momento, presentano ancora incertezze o lacune. Quello che è certo è che l’industria della moda ha intrapreso un percorso per ridurre gli impatti negativi e massimizzare gli impatti positivi.
I biomateriali, infatti, che dovrebbero essere biodegradabili sebbene siano stati abbracciati dai marchi di moda sostenibili, come alternative eco-compatibili a materiali meno sostenibili, non sono stati studiati e testati ancora abbastanza.
Queste tecnologie, infatti utilizzano anche organismi geneticamente modificati ed insieme alla mancanza di quadri normativi, potrebbero riservarci delle sorprese sulla loro reale capacità di degradazione e il potenziale impatto che tali prodotti potrebbero avere sugli ecosistemi naturali.
La Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica sta attualmente esplorando lo sviluppo di nuove linee guida internazionali per la valutazione del rischio della biologia sintetica. Il settore sembra certamente promettente, tuttavia, senza studi sull’intero ciclo di vita è impossibile calcolare il potenziale di biodegradabilità. Anche i prodotti bio-based infatti, devono essere prodotti e gestiti in modo responsabile per realizzare il loro potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra e altri impatti positivi.
E poi infine c’è anche il vintage cioè il “riuso”. Il riciclo e l’upcycle sono certamente un’altra possibilità, percorribile, come ci ricorda un recente report della Ellen MacArthur Foundation, che afferma che l’industria della moda userà più di un quarto del budget mondiale annuale di carbonio entro il 2050 e questo rende difficile giustificare l’acquisto di nuovi prodotti (fatti di pelle ma anche di altri materiali). Investire in oggetti usati sarà sempre l’azione più “green” se si intende perseguire un percorso di sostenibilità e la circolarità nella moda è un passo ormai imprescindibile.
E le aziende italiane?
In altri Paesi, le startup riescono a crescere, suscitare grandi interessi e trovare gli strumenti e le risorse per perfezionare e commercializzare i loro prodotti. Diversamente in Italia le startup e le aziende che investono in ricerca non trovano adeguati sostenitori e il meritato interesse di brand e investitori.
Rimane quindi la con la solita retorica domanda irrisolta: “non ci sono abbastanza opportunità d’investimento ed idee valide?”