La pandemia e il lockdown hanno evidenziato grandi cambiamenti nel nostro approccio al consumo che corrispondono al nuovo sentire delle ultime generazioni (Millennial e Gen Z): qualità ed economia circolare.
Proprio questo nuovo desiderio di benessere e lusso ha contribuito a dare una bella spinta al mercato del “second hand”.
In altre parole sta tornando la moda dell’usato. Ed è cosi vero che a testimoniare il cambiamento in atto è il debutto di un nuovo prodotto editoriale, “Display copy”, cartaceo e web. Si tratta di una nuova rivista di moda che proporrà nelle sue pagine solo immagini ed editoriali con capi vintage, cioè capi riciclati.
Nello stesso tempo, In tutto il mondo tra i nuovi bisogni emerge il desiderio di beni di lusso: il benessere associato al lusso è percepito da moltissimi giovani e non solo come fondamentale, come priorità in momenti così difficili. I beni di lusso (abbigliamento, accessori, vini, profumi, liquori, prodotti per la cura della persona) si ridefiniscono nelle loro modalità di acquisto con un’impennata delle vendite on-line e, dato nuovo, con un boom di vendite di prodotti di seconda mano per il settore abbigliamento ed accessori.
I prodotti di “lusso” si trasformano anche nella loro sostanza, diventando più essenziali, come testimoniano gli esiti di un sondaggio condotto su 8.200 ricchi consumatori di Italia, Francia, Germania, Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna, per l’edizione 2020 di WLT -World Luxury Tracking, il barometro annuale delle tendenze di consumo nel lusso di Ipsos.
Ovviamente questi bisogni esprimono nuovi paradigmi e sentimenti profondi che hanno sfaccettature diverse nei vari paesi ma con un denominatore comune: la tendenza al benessere della persona e la ricerca di una dimensione sostenibile-etica. In Europa, dicono i dati, proprio durante il lockdown si è consolidato un nuovo approccio agli acquisti nel fashion e accessori: i numeri indicano un incremento degli acquisti di second hand online e il 21% riguarda beni di lusso firmati.
Il lungo periodo di isolamento ha accelerato processi già avviati, facendo emergere il desiderio dei consumatori per un ritorno alla qualità magari anche attraverso nuove modalità di consumo come il noleggio o il “second hand”, in una nuova logica di economia circolare.
Il boom delle vendite di capi firmati di seconda mano è dovuto certamente a scelte più sostenibili ma anche all’esigenza di risparmiare senza sacrificare la qualità. Secondo il report annuale della piattaforma americana Thread Up che individua un’accelerazione di alcune tendenze già in atto nel mercato della moda, la vendita di capi di lusso usati è destinata a superare nel 2029 il “fast fashion”(“moda veloce” caratterizzata da prodotti di bassa qualità, con prezzi molto contenuti e con formula produttiva e distributiva completamente nuova, in cui la velocità di immissione sul mercato è l’unica priorità) .
Trainanti saranno, secondo questo report, le vendite online che porteranno, entro il 2029, il mercato resale (rivendite di seconda mano), a superare in valore quello del fast fashion, con 44 miliardi di dollari di valore contro 43 miliardi. La Generazione Z, e non solo, sembrerebbe infatti amare l’usato per questioni ambientali, ma anche per esigenze economiche e sembrerebbe prediligere, secondo i sondaggi, un usato di qualità.
Le piattaforme on-line ma anche i negozi fisici dedicati allo shopping del lusso “second hand” si sono moltiplicate ovunque nonostante il lockdown e la pandemia per rispondere al nuovo sentire e permetterci di acquistare senza troppi sensi di colpa. Ricordiamo le tante realtà online, già consolidate, che vendono abbigliamento ed accessori di lusso firmati come per esempio Rebelle, Rebag, Vestiaire Collective, vintage Qoo, Scout Lae i “Tesori” vintage di New York, Levi’s Secondhand e TheRealRea (con cui Gucci ha appena annunciato una partnership per ottenere uno spazio sulla piattaforma), . Alcuni di questi nuovi siti, come per esempio Lampoo, realtà italiana, nata a Milano alla fine 2019, offrono anche un servizio di ritiro gratuito a domicilio dell’usato.
La fase del ritiro diventa assolutamente indispensabile perché emotivamente “ lberatoria” per poter procedere a nuovi acquisti, senza sentirsi troppo in colpa. Ritirare i capi o gli accessori usati è infatti un passaggio ad un modello di consumo più sostenibile che riduce gli sprechi e preserva le risorse naturali: il modello di economia lineare si trasforma concretamente nel nuovo modello di economia circolare.
Il boom del mercato dell’usato “resell”, comprende anche prodotti “non di lusso” come testimoniano le nuove piattaforme di vendita online di COS (marchio di proprietà dello svedese H&M) di Zalando e di Asos che stanno spingendo per conquistare questo nuovo ed appetibile mercato..
Il “resell” però, pur essendo una buona pratica di etica e sostenibilità, non tutela occupazione e l’economia nell’intera filiera tessile, come è facile intuire.
Il ritiro dei capi usati non è nuovo per le grandi aziende della moda (Zara, H&M, il gruppo OVS, Intimissimi , Tezenis) che già da qualche anno, con importanti operazioni di marketing, hanno iniziato ad intraprendere un percorso di economia circolare aderendo a nuovi modelli economici per la riduzione degli scarti, differenziando le fonti di approvvigionamento, recuperando i capi e riciclando i materiali per produrre capi con tessuti da fibre riutilizzate.
Gli indumenti usati raccolti da queste grandi aziende sono riutilizzati per il mercato del second-hand, se in buone condizioni, smistati in paesi terzi, e ancora una parte recuperati per essere trasformati in nuove fibre tessili per realizzare nuovi tessuti con procedimenti di riciclo meccanico o chimici. Dagli stracci ai nuovi tessuti.
Il ritiro dell’usato e il recupero degli scarti per la realizzazione di nuove fibre e tessuti, secondo il modello di economia circolare, è certamente l’unico modello possibile, per produrre in modo più sostenibile e non privo di opportunità economiche.
È necessario però un altro passaggio, per ottimizzare i percorsi di sostenibilità, salvaguardando l’occupazione nell’intera filiera tessile, che è quello di pensare, già in fase di progettazione, all’intero ciclo di vita di un prodotto, massimizzandone il valore d’uso. Il designer, o meglio l’eco-designer non si pone più unicamente l’obiettivo di ottenere prodotti vendibili, che dopo l’uso si trasformeranno in rifiuti o capi per il mercato dell’usato ma penserà da subito anche al prodotto nella sua fase post-vendita, prevedendone nuovi destini od utilizzi nella logica di un sistema cradle to cradle (dalla culla alla culla) che si contrappone al modello di economia lineare “cradle to grave”(dalla culla alla tomba).
Solo con una buona “cultura della circolarità” e la sua applicazione già in fase progettuale si impiegano meno risorse e materie prime e si riduce lo spreco mantenendo l’occupazione nella manifattura e l’economia della filiera integra.
Siamo di fronte a cambiamenti radicali che non possono essere ignorati e ai quali la pandemia ha fatto da acceleratore e che impongono una diversa formazione di base per i nuovi “eco-fashion designer” mirata alla nuova logica del riuso.
Interessanti iniziative in una logica di economia circolare che già prevede una fase post-vendita, stanno sorgendo in tutti i settori, come per esempio il recente progetto del gruppo Prenatal (marchio di proprietà dell’azienda italiana Artsana Group ) con il suo programma “Forever young”, che prevede già al momento dell’acquisto di sistemi modulari (trio composto da carrozzina-seggiolino auto-passeggino), prodotti studiati per durare nel tempo ma spesso utilizzati per brevi periodi, il loro ritiro, dal 12esimo al 18esimo mese di utilizzo, in cambio di una gift card corrispondente a un valore tra il 50% e il 30% del bene restituito (a seconda del brand e delle condizioni) , oppure il riciclo delle singole parti per la rinascita in forma diversa di nuovi prodotti.