AGI - Il termine Smart working è divenuto velocemente familiare a tutti. Tuttavia sono ancora molti punti oscuri in questa modalità lavorativa.
Si discute poco, a mio avviso degli aspetti legati alla gestione dei dipendenti che hanno incidenti sul lavoro oppure privacy e software di produttività (leggi anche controllo). Affrontiamole separatamente per comprenderne opportunità e rischi.
Incidenti sul lavoro e legislatura
Le norme sugli incidenti sul lavoro sono raccolti in numerosi grappoli della normativa giuslavorista.
In particolare se ne parla già con la legge n.81/2017, ma naturalmente l’argomento diventa di maggior attualità a partire dal decreto del Presidente del Consiglio del 1 marzo di quest’anno in relazione all’emergenza Covid, ed esistono vari altri provvedimenti che si occupano direttamente o indirettamente della materia.
Esplorarli tutti sarebbe piuttosto tedioso ma consideriamo il caso più classico. Un incidente grave sul lavoro. Poniamo che siete in ufficio e vi cade addosso un archivio. Pesa, tanta carta e andate all’ospedale. Stante la normativa sul lavoro, che norma un ufficio sicuro, si attiveranno le assicurazioni siglate dalla vostra azienda per coprire ogni spesa medica, compensare danni fisici o psicologici d’immediato, medio o lungo periodo.
Tutto bene ma se siete in smart working cosa succede?
“La normativa sullo smart working ed eventuali rischi e danni alla persona fa ancora ampio riferimento alle tradizionali normative sul tele-lavoro, una disciplina ancora rudimentale a fronte delle esigenze dell’attuale e futuro smart working” spiega Luisa Zambon, responsabile del dipartimento di diritto del lavoro dello Studio Legale Sutti.
“Il vero problema non è solo nell’eventuale copertura assicurativa, che l’azienda estende al dipendente remotizzato. Il vero punto è comprendere se il lavoratore remoto ha reso il suo luogo di lavoro a casa (o in altre locazioni al di fuori dell’azienda) in compliance con gli standard assicurativi e legali richiesti dalla azienda.”
Giusto per chiarire quello che all’apparenza sembra complesso facciamo un esempio.
Se tu lavoratore stai in un ufficio classico la sicurezza sul lavoro richiede, poniamo, un esempio inventato, che la libreria sia a 5 metri di distanza cosi che, se dovesse cadere, non ti casca in testa. Ma se sei a casa e lavoro sdraiato sul divano? Oppure a letto? E la gatta ti fa crollare addosso la libreria? Quella libreria era posizionata in modo da rispettare gli standard sul lavoro? Se si tutto bene, altrimenti…
“Premesso che, come detto, la normativa sugli standard lavorativi è ancora in evoluzione. Esistono oggi notevoli incertezze rispetto agli obblighi, alle politiche aziendali e alle responsabilità.” Continua Zambon. “Poniamo che al lavoratore sia stato dato scelta di decidere se operare nella sede aziendale oppure al di fuori (casa, parco etc.). Una parte delle assicurazioni sul lavoro a tutela dell’azienda richiedono, per essere attivate, che gli standard di sicurezza sul lavoro siano rispettati. Se, e dico se, l’azienda richiede al lavoratore di rendere il suo sito di smart working compliant con certe regole, magari anche richiedendo un’autocertificazione da parte del lavoratore, questo tema non si pone. Ma se il lavoratore, magari, attesta che le condizioni di lavoro da casa corrispondono a certi parametri … ma decide di investire diversamente i contributi aziendali che abbia eventualmente ottenuto?”. Questa riflessione permette di capire il grave rischio che corre il lavoratore remoto. Per farla semplice è come se voi fate un incidente. Al controllo della polizia si scopre che la vostra auto non aveva la revisione, le gomme erano lisce e voi non portavate la cintura. L’assicurazione non coprirà i vostri danni e nemmeno quelle dell’altro guidatore. Sarà tutto a carico vostro.
Se questo scenario è preoccupante perché ancora tutto da normare ancora più sensibile è quello dei software di produttività.
Software per “aiutare” il lavoratore a lavorare
I software per la produttività non sono una cosa nuova. Il principio è semplice. Una serie di applicativi, installati nei computer dei dipendenti, che possono aiutare a coordinare il lavoro con altri colleghi, board meeting, condivisioni di documenti etc..
Sono pratici, utili e conosciuti. Poi però ci sono quelli un po’ meno conosciuti. Amazon è famosa per avere software e relativi strumenti hardware per ottimizzare la produttività: i famosi scanner dei magazzini sono un classico (spesso visti come strumenti di schiavitù informale).
Lo stesso dicasi dei software per i driver o per i pony express delle aziende di delivery.
Ma cosa succede se i lavoratori in smart working devono essere continuamente monitorati.
Esiste una nuova generazione di software creati a posta per monitorare il dipendente da casa. Fanno leva sull’hardware già disponibile al dipendente: computer e cellulare dati in “concessione d’uso” al dipendente. I famosi “benefit aziendali”.
Il nome di questi software cosi invasivi è “bossmart workingare”. In pratica software che ti monitorano sempre. Utilizzano la telecamera del portatile per monitorare quanto gli occhi del dipendente sono sullo schermo. Connessi con software che monitorano cosa il dipendente sta facendo, sul portatile, possono definire quanto il lavoratore sia realmente attivo. Se poi anche il cellulare è dell’azienda, quindi ricco di questi “tracciatori”, il dipendente avrà un microfono e una telecamera ( quelli del cellulari) sempre a spiarlo.
Ufficialmente questi software non sono del tutto legali, specialmente in Europa dove il diritto alla privacy è più manifesto tuttavia…
“Molti prodotti internazionali di monitoraggio dei dipendenti oggi diffusi hanno l’abilità di salvare, a tempo cadenzato, foto dello schermo (in gergo screenshot Nda) usato dal dipendente. “mi spiega Zambon.” O addirittura video di quello che avviene sul display. E con la potenzialità di trasmissione del 5G non è difficile immaginare un futuro in cui bossmart workingare potranno monitorare in tempo reale ogni dipendente, un po’ come le telecamere di cui si preoccupava già lo statuto dei lavoratori. In aggiunta molti software agiscono come dei Keylogger.
Metodi di controllo non del tutto legali
Questo tipo di software, spesso usato anche dagli hackers, permette al controllore remoto del dipendente, idealmente il suo capo, di mappare ogni singolo tasto che il dipendente schiaccia. Se aggiungiamo che questi mini programmi non fanno distinzione tra passmart workingord per uso lavorative e passmart workingord o dati immessi per uso privato, come dati medici o biometrici, si capisce come esistano aspetti delicati, in relazione a possibili accuse di violazione della privacy o della corrispondenza del dipendente stesso”.
A questo si aggiunga il banale fatto che uno screenshot possa riprendere anche un membro della famiglia (peggio ancora se un bambino) che passa alle spalle del lavoratore. Per quanto possa sembrare una cosa di poco conto si tratta di violazione della privacy. Questo software, per quanto possano avere delle applicazioni pratiche utili all’azienda, rischiano di abusare in modo sistematico e violento della privacy del dipendente. “Anche in questo caso” chiarisce Zambon “resta importante capire se e a quali rischi legali possa essere esposto il datore di lavoro in connessione al software utilizzato nei terminali dei dipendenti remotizzati, sulla base dell’ordinamento del paese coinvolto ” conclude Zambon.
Ora per quanto io sia un grande supporter dello smartworking devo riconoscere che sono un indipendente. Il mio lavoro è mio. Non ho un capo. Come consulente strategico i miei clienti si aspettano risultati, ma di certo non mi monitorano. Se tuttavia lo smart working diventerà un altro standard di lavoro al pari di quello da ufficio, è opportuno che il legislatore valuti attentamente come definire uno standard normativo che, pur tutelando gli interessi dei cittadini, non danneggi le aziende e contrario.
@enricoverga