Ormai è passato oltre un mese dalle prime riaperture e quell’aria di ottimismo che percepivo sembra lentamente scemare. La famosa ricrescita a “V” dell’economia (a livello mondiale non parlo solo dell’Italia) comincia a sembrare più una promessa che un fatto. Le recenti posizioni del Fondo Monetario Internazionale sul crollo del Pil gettano un’ombra oscura sul futuro di tutte le economie, inclusa la nostra.
Persino il nostro ministro Gualtieri, pur avendo annunciato che il blocco dei licenziamenti arriverà sino a dicembre, è preoccupato per l’autunno. Non siamo ingenui a pensare che il blocco dei licenziamenti cambierà le cose. I metodi per aggirare il blocco son sempre gli stessi: carota o bastone. Li semplifico con un tocco di amara ironia.
Carota: “Ciao amico dipendente, sai è un momento duro, se accetti di licenziarti entro dicembre ti daremo 1 anno di stipendio”. Bastone: “Ciao amico dipendente, dato che la carota non la vuoi, per motivi aziendali noi ti ristrutturiamo e ti demansioniamo, così quando andrai in pensione sarai più povero… e a gennaio 2021 ti facciamo fuori”. Si scherza ma chiunque lavori in un’azienda conosce questi sistemi.
Quando avremo metabolizzato le ri-aperture dei negozi, la neo-movida, la stabilizzazione dei cicli produttivi aziendali, le nuove piste ciclabili etc… comprenderemo che la crisi non ce la siamo lasciata alle spalle ma, anzi, è ancora tutta davanti a noi.
A ottobre ci arriverà addosso come uno tsunami la crisi vera, quella che farà male e ci accompagnerà per anni. Chi ha vissuto la crisi iniziata nel 2008 ha un idea; temo tuttavia che sarà peggio. Le aziende e le persone che sono in crisi da oggi sino a settembre-ottobre sono soggetti economici, brutto a dirsi, che stavano già male prima e tiravano a sopravvivere.
A ottobre, invece, cominceranno le scelte razionali da parte delle aziende. Per scelte razionali intendo che il Ceo dell’azienda, in accordo con la proprietà, comincerà a fare “i conti della serva”.
I conti della serva
Ogni cosa che non genera fatturato entro un mese o al massimo entro il trimestre sarà oggetto di analisi. Chiunque abbia spese alte (commerciali, ma anche dipartimenti acquisti etc..) verrà “regolato”. Zero flotte aziendali nuove, zero benefit aggiuntivi, tagli alla comunicazione e marketing, pressing violento sui direttori commerciali per portare a casa fatturato “cassabile” immediatamente (niente pagamenti lunghi).
A questo si aggiungerà riduzione delle scorte di magazzino (quanto possibile), ringiovanimento forzato dei dipendenti (tradotto esodo il “vecchio” che mi costa troppo e prendo il “giovane” sbarbato che mi costa la metà).
Da ottobre la crisi diventerà sistemica, strutturata e duratura (io stimo 5 anni minimo, ma se mi sbaglio datemi pure del pessimista, non mi offendo).
All’interno delle aziende i manager saranno chiamati in prima linea, a dover gestire la crisi e, molto probabilmente, a diventare facili capri espiatori nel caso le cose non vadano per il verso giusto.
Da questo scenario che ho chiamato “sorpresa d’Ottobre” deriva anche una plausibile uscita di centinaia se non migliaia di manager (i dirigenti per intenderci) con anni di esperienza sul lavoro, con tanto da dare al mondo del lavoro ma senza un contratto a tempo indeterminato.
“Lo scenario di una sorpresa di Ottobre, per quanto il nome scelto per definire questo evento mi sembra poco consono, ritengo sia molto realistico.” Mi spiega Mario Mantovani, presidente di CIDA, realtà rappresenta tutte le associazioni manageriali italiane. “Ci troviamo di fronte ad una situazione senza precedenti, il lockdown ha comprensibilmente colpito tutti. Intere filiere di produzione ora sono frammentate: il tema è identico sia che si parli di aziende operanti nel B2c che nel B2b.
I consumi durante questi due mesi sono crollati ovunque, ma la riapertura tanto agognata sino ad ora, comprensibilmente, non fa miracoli.
Ma sono proprio i manager quelli che dovranno ricostruire. Certo sarà una situazione difficile, vedrà aziende soccombere e/o tentare di galleggiare confidando nei soli tagli dei costi. I manager avranno vita difficile: chi resterà in azienda, e saranno i più, sarà obbligato a innovare processi e modelli di business, organizzazioni, prassi e culture. Una bella sfida, però.
Poi ci saranno i licenziamenti, purtroppo. Molti colleghi dovranno affrontare la transizione professionale e/o il ricollocamento, con il supporto delle nostre organizzazioni e delle società specializzate. La maggior parte, come accaduto purtroppo solo 10 anni fa, ce la farà, riuscirà a trovare nuove opportunità e sfide professionali..
Ma se il Paese vuole anche solo sopravvivere, ma io confido che voglia riprendere a crescere e a vivere meglio, tutte le aziende dovranno investire prima di tutto sulle competenze, di tutti e ancor più del management, magari dotandosi di una vera o aumentata presenza manageriale. Se nella crisi sanitaria ci siamo affidati a ricercatori e medici, in quella economica sarà bene che ci si affidi ai manager e professionisti con competenze vere, provate in ogni ruolo, le sole che possono far competere un’azienda.
Dobbiamo aumentare la capacità di stare sul mercato, non solo o necessariamente crescere di dimensione, dobbiamo migliorare l’integrazione dei mercati europei e globali anche nel settore dei servizi, più indietro da questo punto di vista rispetto alla manifattura. Insomma, dovremo gestire una virtuosa osmosi tra aziende perdenti e vincenti, come accade in tutte le crisi. Qui ancor più, perché non è la solita crisi. Sono sicuro che ce la faremo: come organizzazione dei manager, sistema e paese.”
Questi tre mesi sono stati solo una parentesi
A questa visione futura si aggiunge quella di Cetti Galante, Ceo di Intoo, società leader in Italia nel supporto alla ricollocazione. “Questi 3 mesi non sono stati solo una parentesi, ma hanno segnato uno spartiacque profondo. I manager sono chiamati a una grande prova e questo periodo ha fatto emergere chiaramente i leader deboli: bisogna essere capaci di prendere decisioni anche in una fase di incertezza assoluta, con grande velocità e anche di tornare sulle proprie decisioni, perché lo scenario muta molto velocemente. La forza sta nel leggere il contesto, rimodulare rapidamente la propria offerta per rispondere a bisogni diversi e mantenere le persone ingaggiate grazie a una grande capacità di ascolto. Serve ora come mai una visione dinamica dei ruoli in azienda. I Manager sono anche chiamati a una rivisitazione dello stile di leadership: oggi la leadership gerarchica, ancora molto diffusa in Italia, mostra tutti i suoi limiti. Le persone lavorano da remoto, è indispensabile dunque una forte base di fiducia, capacità di delega e lavorare per obiettivi. Potere inteso come controllo non è più applicabile. Si deve accogliere anche uno stile di comunicazione diffuso e frequente, che accolga non solo la parte normativa ma anche quella umana. Mai come ora la persona è al centro dell’organizzazione”
Il focus di Galante è orientato alle dinamiche manageriali e alla capacità di chi ha ruoli direttivi di sapersi allineare con le nuove esigenze aziendali.
“Alcuni ruoli sono chiamati a uno sforzo grandissimo. I manager delle risorse umane sono al centro e avranno in tutto il prossimo periodo un ruolo chiave per accompagnare al cambiamento, che loro stessi dovranno accogliere. Sono stati travolti dalle normative e dalla sicurezza, adesso dovranno volgersi al sostegno, a un welfare più ampio, al progettare una formazione che sostenga le persone nel salto tecnologico e digitale che stanno affrontando e soprattutto dovranno rivisitare uno smartworking spesso implementato frettolosamente. Il lavoro da remoto di questi mesi dovrà tornare a un equilibrio che comunque vedrà un ridimensionamento degli spazi lavorativi per accogliere uno smartworking più esteso. Il ruolo del CFO è anche in prima linea e anche in questo caso serve accelerare l’evoluzione del ruolo verso un reale business partner, accanto ai manager di linea nell’individuare non solo il miglior equilibrio da costi e ricavi, ma anche intercettare i vantaggi che le normative man mano offriranno. E ovviamente gli stessi Ceo, le vendite e il marketing saranno anch’essi sotto pressione perché da loro si pretenderanno risultati tangibili, in una fase dove i margini saranno in sofferenza. I buyer dovranno stare attentissimi alla gestione del magazzino, a interpretare le nuove tendenze dei consumatori per adattare gli ordinativi, nelle quantità ma anche nella gamma. Comprare meno non interpretando una nuova domanda di mercato significherà perdere opportunità, comprare troppo implica avere liquidità immobilizzata che peserà sul conto economico dell’azienda.” Chiarisce Galante
L’innovazione digitale
Uno dei segmenti su cui le aziende spenderanno sarà ovviamente l’innovazione digitale. Una serie di prassi, standard virtuali (software proprietari e piattaforme) e fisici (impianti, server, etc..) che richiederanno investimenti importanti. I vantaggi sono già sotto gli occhi di tutti. Per quanto azzoppata l’economia italiana è riuscita a mantenere una linea vitale grazie allo smartworking. Ma è evidente che molte aziende non erano pronte, ci si sono trovate quasi per sbaglio.
Ora che la normalità sanitaria sta lentamente tornando le aziende hanno compreso che lo smartworking è una realtà funzionale all’efficienza e al risparmio. Coordinata con altre soluzioni digitali (industria 4.0, e-procurement, big data etc..) può essere un ottima soluzione per rendere maggior efficiente l’attività dei lavoratori concedendo, cosa non indifferente, maggior licenza al rapporto vita-lavoro, che molti hanno apprezzato in questi mesi di lockdown.
Fractional Executive
Se sul fronte innovazione digitale è scontato un investimento da parte di tutta la filiera delle aziende, il tema fractional ha un egual valore sul fronte del rapporto efficienza e costi aziendali.
Un fenomeno di nicchia, sino a pochi anni fa, oggi i manager che operano in modalità fractional executive sono in continua crescita. La ragione è comprensibile: maggior efficienza con profili senior, apporto di prassi consolidate (in grandi aziende), innovazione a costi frazionali, obbiettivi ed esecuzione mirata rispetto ad altre prassi manageriali (temporary manager etc..).
Se i vantaggi per l’azienda sono facili da comprendere non meno importanti sono quelli per il manager frazionale. Abbiamo un miglior rapporto tra vita personale e lavorativa grazie ad una soluzione di gestione del tempo flessibile. Molti manager, che nei prossimi mesi usciranno dalle aziende, potrebbero trovare in questa soluzione manageriale un ottimo strumento per continuare e fare evolvere la loro carriera in versione imprenditoriale, sfruttando la probabile maggiore necessità di queste competenza nel mondo della media impresa familiare.
“La soluzione di fractional executive è una modalità in rapida crescita nel panorama manageriale, anche gli associati delle federazioni manageriali che rappresentiamo la utilizzano” mi conferma Mantovani. “Ovviamente come CIDA noi rappresentiamo sia i manager frazionali, che quelli assunti in pianta stabile in azienda. Il percorso di uscita di un manager da un’azienda è un momento delicato, sia professionalmente che lavorativamente. Una soluzione di fractional executive rappresenta un’alternativa alla classica esperienza in azienda, e non preclude un ritorno in un’azienda. Anzi per il manager e per la categoria è e diventerà anche un modo, uno dei tanti, per allargare il mercato e insinuare in tante aziende la necessità dopo un primo periodo fractional, di dotarsi di una struttura manageriale permanente.
Con la crisi che arriverà ad ottobre immagino che molti dei nostri associati potrebbero trovare in questa modalità una soluzione definitiva, o definita nel tempo, per mantenere e amplificare le loro competenze in ambienti sfidanti come il segmento delle Piccole e medie imprese.” Conclude Mantovani
Sul tema mi confronto anche con Galante che mi spiega “è una figura molto interessante, differente per approccio e stile operativo dal temporary manager. I fractional executive sono una tipologia di manager evoluta. Un tipo di modus operandi adatto a chi ha un’indole brillante, un approccio imprenditoriale, una visione d’insieme amplia, frutto dei molti anni passati in grandi aziende. A questi fattori si aggiunge che essi possono rappresentare un’opportunità per tutte quelle aziende, soprattutto le PMI, che hanno necessità di competenze Plug’n’play. Un termine mutuato dal mondo informatico che si riassume facilmente: il manager diviene attivo, dal primo minuto, a operare in azienda perché già conosce le regole del gioco. Penso a tutte le aziende da 40- 50 dipendenti, che sono centinaia di migliaia in Italia, che hanno necessità di rivedere i loro processi, in virtù della crisi, ma che devono contenere i costi. Il fractional executive ha il grande vantaggio che lavorando per più aziende fa circolare le idee e beneficia di una maggiore contaminazione.
Vedo la loro applicazione in tutte le filiere e le realtà associative aziendali dove la domanda di innovazione, gestione e delivery di progetti, sarà vitale nei prossimi mesi per ridurre l’impatto della crisi di ottobre.” Conclude Galante.
Non sono uno di quelli che dice che la crisi è un’opportunità. Una crisi, di qualunque tipo, è un evento estremamente doloroso, sconvolgente, e, se gestita male, devastante sino al punto di divenire un fenomeno terminale; che porta alla fine di un’azienda. Innovazione digitale e fractional executive rappresentano una parte della soluzione (e per inciso una singola soluzione stile “happy ending” non esiste). Tuttavia l’intero tessuto manageriale e imprenditoriale italiano dovrà comprendere che i prossimi anni saranno molto difficili. Ma sarà vitale per le aziende essere pronti ad integrare ogni elemento, o figura professionale, che possa portare significativi miglioramenti utili alla sopravvivenza e futura crescita.