Le dichiarazioni di "libera conversione" di Silvia Romano all'Islam, la sua veste islamica verde che confermava le indiscrezioni circolate qualche ora prima del suo arrivo a Ciampino, hanno subito aggiunto uno straordinario elemento di interesse a una vicenda che già di per sé era stata costantemente seguita dai media per l'intera durata del rapimento.
Qualsiasi persona civile, in primis un sacerdote come me, accoglierebbe con il più assoluto rispetto la libera adesione di una persona ad un credo religioso, qualunque esso sia. Nessuno, nessuna istituzione, può obbligare qualcuno alla scelta di credere o di non credere, così come nessuno può conculcare il diritto di ciascuno di noi, di passare da una tradizione religiosa a un'altra. Il riconoscimento della libertà religiosa dei singoli e dei singoli popoli è alla base del motivo per cui, il prossimo 14 maggio, Papa Francesco ha dichiarato di aderire alla richiesta dell'Alto Comitato per la Fraternità Umana affinchè i credenti di tutte le religioni facciano una giornata di preghiera e di digiuno per scongiurare la pandemia del Covid19.
Proprio la delicatissima attenzione richiesta in questi casi, spinge dunque ad interrogativi molto seri sulla verità di quanto affermato dalla Romano: ovvero di essersi convertita all'Islam "in piena libertà e senza alcuna costrizione".
Tanto per avere un termine di paragone, se un adulto desiderasse convertirsi al cristianesimo sarebbe obbligato a chiedere alla Chiesa cattolica di essere preparato attraverso un percorso della durata almeno di due anni e che, naturalmente, dovrebbe avvenire in condizioni di assoluta libertà. Cosa penseremmo di una persona che venisse rapita da una "setta cristiana" e che dopo diciotto mesi (nemmeno due anni...) una volta liberata dicesse di voler appartenere alla medesima setta dei carnefici? Tutti grideremmo alla violenza e nessuno crederebbe neppure per un'istante ad una vera conversione.
Nel caso della Romano poi, come sottolineato da questa agenzia, esiste il fortissimo sospetto che Silvia sia vittima della Sindrome di Stoccolma: la perdita totale del controllo sulla propria vita subita l'ostaggio, difficilissima da gestire, diventa sopportabile quando la vittima s'identifica con le motivazioni dei carnefici ovvero, detto in altri termini, se ne "innamora".
Sarebbe auspicabile, in conclusione, che qualche autorevole personalità musulmana spiegasse che anche per quella religione non è possibile accettare come vera una "conversione" avvenuta nelle condizioni che ha dovuto patire Silvia Romano. Che era, non dimentichiamolo, prigioniera degli jihadista di al-Shabaab: un gruppo affiliato ad al-Qaeda, e protagonista di numerose stragi e sanguinosi attentati.