Sono spariti, evaporati. Dall’agenda politica e dall’attenzione di chi ci governa. Ma non è un effetto del coronavirus, anche se — lo stiamo imparando — nei momenti di crisi le conseguenze delle disuguaglianze formali e sostanziali diventano ancor più evidenti.
I bambini e gli adolescenti erano spariti da un pezzo. Con la complicità di noi giornalisti, che rispetto a certi temi siamo spesso distratti. Perché non tirano, che poi molto spesso significa che non fanno vendere. Perché sono scomodi. Perché sono complessi e richiedono tempo, capacità di lettura, volontà di approfondimento, e dunque non sono adatti a un sistema che si fonda sulla fretta e sulla superficialità. Perché non sono né al centro né in cima all’agenda politica.
Potremmo fare una lunga lista di temi dimenticati e parlare del circolo vizioso che s’innesca: l’informazione non ne parla perché la politica non li tratta, la politica non se ne occupa perché non sollecitata dall’informazione. E così succede che fino a quando i ragazzi non disturbano (pensiamo a Greta), fino a quando non la fanno grossa, fino a quando non votano, restano invisibili, non esistono.
In coerenza con questo contesto sono spariti anche dal Cura Italia, che se li è letteralmente dimenticati, ricordandosi invece dei cani.
Chiusi in casa e senza alcuna possibilità di uscita, in gran parte figli unici, quindi senza altri coetanei con cui poter dividere il tempo, con genitori presi dallo smart working e quindi impossibilitati a dedicarsi a loro, altri incapaci a causa della povertà materiale ed educativa, altri ancora violenti e maltrattanti, i bambini sono letteralmente prigionieri senza neanche l’ora d’aria di cui può usufruire la maggioranza delle persone ristrette.
E se è vero che perdere due o più mesi di scuola non è la fine del mondo, è altrettanto vero che, per i bambini più fragili che hanno delle disabilità o vivono in ambienti inadeguati e poveri di attenzioni e opportunità, essere abbandonati dai servizi e dai caregiver può produrre delle conseguenze dannose sul loro benessere e sul loro futuro. "All’età di 4 anni", infatti, "come una vasta letteratura scientifica dimostra e come evidenziato anche dalla recente indagine svolta in Italia da Save the Children, i bambini — sostiene Giorgio Tamburlini, pediatra, cofondatore e presidente del Centro per la Salute del Bambino, consulente Oms e Unicef per programmi sullo sviluppo infantile precoce — sono già diversi, o meglio diseguali, nelle loro competenze, sia quelle cognitive che quelle socio-relazionali, e nel rischio di sviluppare ritardi e disordini di sviluppo. Alla radice di queste diseguaglianze certamente vi sono, nei casi più gravi, anche alterazioni neurobiologiche, ma soprattutto carenze significative in quello che è stato definito come “ambiente di apprendimento familiare”, quindi nelle relazioni, negli atti, negli oggetti, negli spazi che costituiscono la principale fonte di apprendimento per il bambino nei suoi primissimi anni di vita." Per questo è fondamentale lavorare con le famiglie per sostenerle nelle competenze e nelle pratiche genitoriali e per questo è grave che in queste settimane vengano lasciate a se stesse.
Sul versante adolescenziale le cose non vanno meglio, anche se i ragazzi più grandi sono decisamente più autonomi e apparentemente più in grado di affrontare le carenze dell’oggi. Loro le piazze reali, i parchi, i giardini, li avevano abbandonati da un pezzo con la nostra implicita autorizzazione: almeno in Rete non c’è il rischio di sbucciarsi le ginocchia e prendersi una pallonata in faccia (motivo per cui abbiamo promosso un po’ ovunque l’installazione di cartelli che vietavano il gioco del pallone) o di incontrare dei malintenzionati (quelli a dire il vero sì).
Ma finché Internet può tornare utile come “guinzaglio elettronico”, per controllarli a distanza, va bene: quando però i ragazzi esagerano, perché in quel mondo, in cui noi li introduciamo sempre prima regalando loro lo smartphone, hanno generato vita e intessuto relazioni, allora gridiamo alla dipendenza e proponiamo di chiudere tutto, salvo poi riconoscere le loro competenze digitali quando l’emergenza sanitaria rende la Rete l’unica ancora di salvezza anche per il loro percorso scolastico.
Ne scrive lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, docente all’Università Milano-Bicocca e alla Scuola di formazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto della Fondazione “Minotauro”, di cui è presidente, in una “Lettera agli adolescenti nei giorni del Coronavirus”: "Siete stati voi, nelle primissime fasi di chiusura delle scuole, con responsabilità e senso etico a chiamare molti docenti e a spiegare loro come fare. In alcuni casi avete trasformato chat di battaglie in rete in chat di classe amministrate dall’insegnante di turno, in attesa che le scuole e le organizzazioni adulte si attrezzassero".
Insomma, dopo aver risparmiato ai nostri figli qualsiasi frustrazione, rendendoli fragili e individualisti, dopo aver distrutto il pianeta, averli cancellati dai bilanci pubblici, averli perfino accusati di non voler bene ai loro nonni, perché a nostro dire non erano capaci di rinunciare ad uscire i primi giorni dell’emergenza, come ricorda Lancini nel suo appello, ci accorgiamo che esistono, che sanno fare e quando gliene diamo l’occasione sono capaci di assumersi le loro responsabilità: lo dimostrano molte storie che raccontano di giovanissimi e giovanissime che si prendono cura dei fratelli più piccoli in assenza dei genitori, in ospedale per curare o essere curati, o di altri che non hanno smesso di fare volontariato e pur con tutte le precauzioni del caso sono in testa nella fila della solidarietà.
Che sia questo il tempo per rendersene conto, per capire come auspica Lancini "cosa vi serve davvero", per "prestare molta più attenzione ai modelli di identificazione che quotidianamente come adulti vi proporremo"? Che l’emergenza possa essere l’occasione per aggiustare qualcosa che già sapevamo non funzionare al meglio? "E allora perché — si chiede Giorgio Tamburlini — non utilizzare questo tempo, in cui quasi ovunque ci si è dati da fare per identificare bisogni e mettere assieme le forze, per creare modelli integrati di servizi per l’infanzia e le famiglie? Per dotarsi, in ogni Comune, o Consorzio di Comuni per i centri minori, di Piani per l’Infanzia e le Famiglie, a cui partecipino tutti i principali servizi pubblici (di salute, sociali, educativi) accanto alle organizzazioni del Terzo settore con meccanismi di regia che abbiano il compito di far incontrare domanda e offerta, definire i percorsi e le responsabilità, mobilitare ulteriori risorse, proporre momenti formativi multiprofessionali su temi comuni?"
"Val la pena provarci", conclude Tamburlini: "le crisi costituiscono anche opportunità di costruire risposte di medio termine, che ci facciano tornare non come eravamo, ma possibilmente meglio". Così da non dover chiamare la Polizia se una mamma single va a fare la spesa con sua figlia, non potendo lasciarla a casa da sola.
Perché succede anche questo nei giorni del Coronavirus. Prima li abbiamo dimenticati, poi li abbiamo chiusi in casa: se riappaiono, ci disorientano. Ma per guadagnare il domani dobbiamo ritrovare la bussola. E la bussola ha l’ago giovane.