A questo punto si può dire che il caso "The Irishman" sia interessante. Mentre il pubblico e la critica lo hanno accolto con entusiasmo, l'utente medio di Netflix lo ha trovato nooiso. Martin Scorsese se n'è infastidito e ha dato la colpa a chi guarda il suo ultimo film sul telefonino. Non fatelo, ha gridato disperato :“Almeno un iPad, un iPad grande forse” ha implorato colui che ha girato capolavori come “Taxi Driver” e “Toro Scatenato”.
Ma il regista italo-americano dovrà mettersi l’anima in pace.
Perché il suo ultimo film è noioso, e lo è comunque, ovunque. Lo sarebbe stato anche al cinema, se ci fosse davvero passato.
Perché non è del tutto onesto dire che il pubblico ha accolto "con entusiasmo" il film al cinema, se al cinema il film c'è stato solo per tre giorni. Dopo un battage pubblicitario impressionante che anticipa un film con gente del calibro di Martin Scorsese, Robert De Niro, Joe Pesci, Al Pacino e Harvey Keitel, come potrebbe non essere avidamente guardato da gente trepidante? Diciamo la verità, un pubblico di soli tre giorni è quasi solo composto da persone così innamorate da quei mostri sacri da applaudire anche se recitasse la lista della spesa.
Dopo di che mettiamoci l'anima in pace: la gente, la gente normale intendo, la trovi su Netflix. E non mi risulta che Álex Pina Calafi, il produttore sceneggiatore regista e scrittore de La Casa di Carta, abbia mai supplicato i suoi utenti di non guardare la sua fiction sugli smartphone. E la stessa cosa è avvenuta per Craig Mazin e Johan Renck, ideatori e regista della fiction Chernobyl.
Il fatto è che The Irishman è noioso perché non ha alcuna storia. Nessuno dei personaggi cambia, ha una crisi, fa scelte per le quali è possibile che qualcosa ti rimanga nella memoria o nel cuore. Pensiamo ad una situazione drammaturgica simile: la lunga confessione di Salieri, che è il movimento narrativo di Amadeus. Quella confessione, ad ogni passo, aggiunge elementi al rapporto tra lui e Mozart, al senso della vita, del bene, del male, di Dio e dell'arte.
Nel caso di The Irishman lo spettatore che ha amato Il Padrino, ritrova i suoi amori, le sue scene, le sue inquadrature, e ricorda le emozioni di quando, da giovane, le aveva viste la prima volta. Addirittura la scena del battesimo in latino mentre in contemporanea si commettono delitti è presente due volte (o forse più perché, dopo un po', confesso, ho iniziato a saltare).
Ve lo immaginate Dostoevskij che dice di leggere I fratelli Karamazov in poltrona e possibilmente con un buon whisky accanto? È la stessa cosa.
"Ho trovato la leggenda del Grande Inquisitore un po' sofisticata".
"Ma dove l'hai letta?"
"In metro stavo andando al lavoro".
"Ma come ti viene in mente? Quella è una scena che va meditata, devi leggerla la sera, a casa, tranquillo, possibilmente con accanto un buon whisky."
Da ridere.
Perché un capolavoro regge sempre, a qualsiasi latitudine, e con qualsiasi tempo. E The Irishman non è un capolavoro. È una nostalgica ripresentazione di cose già viste. È, effettivamente, un po' come andare ad un ospizio e passare il tempo a parlare di "ti ricordi quella volta?". E ridire o piangere, non per quello che avviene, ma perché ti ricordi di cosa era accaduto dentro di te nel 1972, quando guardavi Il Padrino e hai sentito per la prima volta Marlon Brando che sussurrava: "Che ti fici mai per meritare questa mancanza di rispetto?"
A, proposito, io, ogni tanto, quando sono in metro, vado su Youtube a riguardarmi la scena.
Con lo smartphone.