Con proposta di fusione FCA – Renault, John Elkann ha messo in pratica quello che diceva da tempo: diluire la posizione della controllata (olandese) Exor della famiglia nell’industria dell’auto. Elkann sa bene che, a causa dei grandi investimenti necessari all’elettrificazione, imposta dai limiti sulle emissioni di CO2 fissati dall’Unione Europea per il 2030, i profitti per una Casa generalista saranno sempre più ridotti. Meglio uscire lentamente dal business. Tanto più se le risorse per quegli investimenti in FCA non ci sono. E forse non ci saranno mai. L’attuale differenza di capitalizzazione tra le due aziende porterà in una fusione alla pari poi qualche miliardo (circa 2,5) nelle casse della famiglia e degli azionisti di FCA. Smash vincente. Se ovviamente il processo si chiuderà.
A fronte di questa strategia - e anche in presenza di un eventuale ruolo di vertice dello stesso Elkann nella nuova azienda - il comando reale andrebbe ai francesi. La quota di Exor sarebbe del 15% e di fatto consegnerà ai consiglieri FCA un ruolo decisamente marginale. Per buona pace - nonostante le rassicurazioni delle scorse ore – degli stabilimenti italiani. Anche perché a conti fatti, il risparmio di 5 miliardi di euro l’anno generato dalla fusione e indicato da FCA sembra sovrastimato, soprattutto senza la chiusura di impianti e il taglio del costo del lavoro.
Dal canto suo Renault mette nell’angolo Nissan. I giapponesi hanno finora rifiutato la fusione con il gruppo francese e “allontanato” Carlos Ghosn che spingeva in questa direzione. Ma oggi, dopo aver contribuito in modo fondamentale ai profitti Renault (senza dei quali per i francesi sarebbe stata veramente dura), Nissan si trova con le spalle al muro: entrare in un grande gruppo formato da FCA e Renault o starne fuori? Si vedrà nelle prossime ore.
Di certo lo scenario industriale è chiaro: FCA porta in dote il mercato nordamericano, Renault la tecnologia dell’auto elettrica. Nulla di più. Anzi di meno, visto che è difficile pensare ad una reale diffusione del marchio francese negli Stati Uniti (meglio in Canada). Per il resto c’è una sovrapposizione in Europa, un mercato peraltro maturo e avaro di soddisfazioni: tema pericoloso (e non poco) per gli stabilimenti italiani, nonostante siano oggi più efficienti di quelli francesi grazie alla cura Marchionne. In Cina – primo mercato automobilistico mondiale – si sommano due grandi debolezze (Jeep a parte). Difficile una sinergia sull’alto di gamma: Alfa Romeo e Maserati potrebbero rimanere a secco di piattaforme, powertrain e motori. A meno di un accordo con i tedeschi di Daimler che però sembrano già orientati a chiudere la partnership esistente con Renault (e Nissan).