Non è giusto. È il commento che più si ripete davanti all’annuncio della morte del giovane giornalista italiano, Antonio Megalizzi, ucciso nell’attacco di martedì sera ai mercatini di Natale di Strasburgo. È la quarta vittima di quella, ennesima, insensata follia. Non è giusto che un 29enne nato e cresciuto nel cuore dell’Europa prenda un’arma, una sera qualsiasi, e si metta a seminare il terrore in una tranquilla piazza. Non è giusto che sotto i suoi colpi muoiano persone che non avevano alcuna colpa. Un turista thailandese, un pensionato francese, un meccanico turco, un giornalista italiano.
Tutti avevano una famiglia, dei sogni, un futuro. Avevano una vita. Non è giusto che una persona condannata 27 volte, in 29 anni di vita, abbia potuto agire e portare a termine l’ultimo suo piano criminale. Non è giusto che nonostante fosse segnalata con l’ormai noto ‘fiché S’ perché “minaccia per la sicurezza dello Stato” abbia potuto comunque procurarsi armi e bombe. Non è giusto che tutto questo sangue venga versato in nome di una religione che non l’ha mai chiesto. Non è giusto che sulla fronte dell’assassino ci sia ‘il segno della preghiera’ perché di solito rappresenta la devozione, non la dannazione. “La nostra moschea la frequentava il meccanico morto, non il killer con cui non vogliamo avere a che fare” mi ripete al telefono uno dei giovani musulmani, responsabile della Grande moschea di Strasburgo.
“Chi uccide una vita è come se uccidesse tutta l’umanità, e chi ne salva una è come se salvasse tutta l’umanità”, mi rammenta il versetto del Corano che io conosco bene. Così come lo conoscono bene i terroristi da tastiera dell’Isis sempre pronti a rivendicare l’orrore in ogni angolo del mondo, a patto che l’attentatore sia morto per non incorrere in imbarazzanti rettifiche. Perché spesso la banalità del terrore non ha alcuna spiegazione. E nemmeno questo è giusto.