Ci sono donne di cui è difficile che ti dimentichi. Ma per alcune la storia ha tracciato un ricordo molto diverso da quello che erano nella realtà. La prima moglie di Albert Einstein, Mileva Maric, è una di loro. Per questo oggi, alla luce dell'attualità che ci circonda, ho sentito l'esigenza di dover riscrivere la sua vita, e raccontarla facendo emergere la sua straordinaria mentalità scientifica, la stessa di cui Einstein era innamorato. Mileva Maric è, per me, una delle donne che hanno cambiato il mondo, e merita un posto di rispetto nell'olimpo delle donne indimenticabili di sempre. E ora vi dico il perché.
L'immagine della donna è cambiata
Per secoli le donne non hanno potuto arrivare ai vertici – delle arti, delle scienze, dello Stato – non per via del loro cervello (il cervello dell’uomo e della donna sono uguali, lo diceva Rita Levi-Montalcini), ma per l’oppressione imposta loro dalla società maschilista. Uomo e donna avevano ruoli differenti. L’uomo cacciatore, guerriero, politico. La donna madre, moglie, casa, lavori domestici. Ma quel mondo, ormai, non esiste più. Le cose stanno cambiando; in tutto il mondo ci si batte per la libertà.
Dalle ragazze di Teheran, alle signore di Istanbul, dalle donne indiane, alle arabe dei paesi più sconosciuti. Chiedete a una ragazza della mia generazione cosa pensa di Cenerentola, le verranno i brividi dal ribrezzo al solo pensiero. Le teenagers oggi guardano The Brave della Pixar e si siedono sul trono per regnare da single.
L'immagine della donna è cambiata, e ai tempi in cui si scrivevano le biografie di Albert Einstein non si conoscevano certo di queste donne che non sanno cosa sia un focolare domestico, o il cucito. Ai tempi di Einstein non si conoscevano bene neanche le personalità delle donne che decidevano di studiare fisica. Il fraintendimento era dietro l'angolo troppi luoghi comuni, troppe frasi fatte.
Le donne che studiavano fisica, nel XX secolo, erano pochissime. E le si guardava con sospetto. Perché il diverso veniva visto con sospetto. E loro lo erano, erano diverse dalle altre donne. Per loro l’indipendenza era una cosa seria. Erano donne tremendamente emancipate per i tempi in cui vivevano. Le altre donne erano costrette, compiacenti o rassegnate, o perché la società lo imponeva, a cercare nel matrimonio e nella maternità la propria realizzazione. Le donne che studiavano fisica no, loro cercavano la propria realizzazione soltanto in quello che facevano. Alcune donne erano considerate affetta da 'disturbi sotto forma di intolleranza alla disciplina familiare'. Il pretesto della pazzia per colpire le donne ribelli, veniva usato.
Per questo Albert Einstein quando trovava una donna così ne rimaneva estasiato, sedotto, ammaliato, e se ne innamorava. Era molto difficile trovarne, nel xx secolo, di donne come loro. E Mileva Maric è stata la prima donna che Einstein vide così (la seconda fu Marie Curie, ma lei Einstein non poteva corteggiarla).
Mileva Maric era la quinta donna che frequentava il Politecnico, e i due hanno iniziato a conoscersi tra i banchi di scuola. Possiamo tranquillamente dire che il primo amore tra i banchi di una facoltà scientifica è stato quello che Albert e Mileva. Un amore bellissimo, come quello di Sheldon Cooper con Amy Farah Fowler, nella serie tv “The Big Bang Theory”. E un personaggio come Amy, cento anni fa, non poteva certo essere raccontato.
La prima moglie di Albert Einstein è stata questo. E se non ci fosse stata lei, oggi, per molti motivi noi non vivremmo la nostra quotidianità. Mileva era innamorata di Albert Einstein, come lo sono io. Era fisica, come lo sono io. Abbiamo come unica differenza l'età, va beh, ma è una cosa di poco conto: lei è nata esattamente cento anni prima di me, ma sono dettagli inutili ai fini di questo racconto. Perché Mileva è più moderna che mai.
A tutta questa ricostruzione ho dedicato un lungo lavoro, come fisica ne sentivo la necessità: un nuovo romanzo (“Einstein e io”, edito da Salani, esce in tutte le librerie il 20 settembre 2018), e un nuovo monologo teatrale (“Einstein & me”, che porto in scena in anteprima a Roma, domenica 23 settembre 2018 ore 21, al teatro Sala Umberto (qui i biglietti)
E l'istante esatto in cui non capirete se sono io, o è lei che sta parlando, sarà quello in cui sarete pure voi dentro questa storia. E non saprete più come uscirne. Se non ricostruendo a vostra volta i volti di chi vi ha preceduto nelle vostre strade. Perché specchiandoci nelle donne che ci hanno preceduto vedremo riflessa la parte di noi stessi di cui prenderci cura come il più prezioso dei regali della vita.
Gabriella Greison