La fake news su Frida Sofia, la bambina sopravvissuta sotto le macerie di una scuola dopo il terremoto di Città del Messico, è solo il caso più recente e, per certi aspetti, eclatante, perché ha coinvolto i media di mezzo mondo. Ma era una storia che aveva un limite: non era vera.
Oggi, grazie a internet e all'informazione di massa, tutto si amplifica, si velocizza e diventa potenzialmente virale. In questo contesto le fake news prosperano e ingrassano, in un circolo vizioso che le fa rimbalzare dai media tradizionali ai social media, condivise di bacheca in bacheca, di sito in sito, spesso senza che si riesca neppure risalire alla loro genesi. Chi non ricorda l'elenco di oggetti improbabili ritrovati a Modena dopo il concerto di Vasco Rossi del luglio scorso? Anche quella bufala fece il giro del web, commentata e rilanciata dagli organi di informazione tradizionale.
Eppure quando si parla di fake news spesso si pensa che si tratti di un cancro della rete prodotto e veicolato esclusivamente da spacciatori di disinformazione professionisti: siti e pagine Facebook che prosperano immettendo online notizie inventate di sana pianta che attecchiscono sui pregiudizi delle persone, alimentando ora il razzismo, ora il complottismo sui vaccini, ora l'odio verso il nemico politico di turno. Negli ultimi tempi ne abbiamo sentite di tutti i colori: dagli immigrati negli hotel a 5 Stelle alle esternazioni di Trump a margine del G7 di Taormina (“l'Italia è il Paese più bello del mondo, peccato sia governato da un branco di incapaci”) passando per la foto di Jessica Jones, spacciata per la sorella di Laura Boldrini, e accusata di gestire 340 cooperative legate all'assistenza sui migranti.
Ma a ben guardare sono tutte facce della stessa medaglia, sia che le bufale vengano immesse nel sistema da disinformatori professionisti cha da professionisti dell'informazione: le notizie generano opinioni (anche se ormai sempre più spesso sono le opinioni che generano false notizie) e se quelle opinioni si formano su dei falsi, forse abbiamo un problema con l'informazione e con la stessa democrazia.
Come se ne esce? Secondo i nostri politici con delle leggi ad hoc. Esiste un disegno di legge a firma della senatrice Adele Gambaro (e condiviso da tutto l'arco parlamentare) per arginare le fake news, che se andasse in porto rischierebbe di riportare in auge la censura, di stabilire un confine labile e pericoloso fra “verità” e opinione, di costruire a tavolino un concetto di “verità” che la stessa filosofia non è riuscita a stabilire in secoli di storia. Ma soprattutto in virtù dell'articolo 1 - in cui sono previste sanzioni per chi pubblica fatti non veritieri attraverso social media o siti che non siano espressione di giornalismo online – il problema sarebbe affrontato a metà, perché escludendo le testate giornalistiche si lascerebbero fuori dal provvedimento tutte le bufale veicolate dai media tradizionali.
Allora occorre uno sforzo di lucidità. Bisogna partire dal presupposto che esistono bufale dolose e bufale colpose. Le prime create per condizionare l'opinione pubblica, ma soprattutto perché produrle è diventato un vero e proprio business che genera clic. Le seconde diffuse da chi è convinto, per superficialità o negligenza, di condividere una notizia vera pur trattandosi di un falso. Per contrastare la prima fattispecie, le risposte più efficaci dovrebbero arrivare dalle piattaforme, Facebook e Google in primis, attraverso meccanismi che non permettano all'advertising di finire sulle pagine contestate evitando così di arricchire chi prospera sulla creazione di bufale. Per contrastare le seconde occorre un'informazione più attenta e più onesta, capace di recuperare la fiducia degli utenti.
Ma a fare da comun denominatore ancora una volta c'è la Rete. Quella che da tanti soggetti viene additata come la madre di tutti i mali è, a oggi, anche il miglior antidoto possibile di fronte alla disinformazione. Sul web un utente attento può verificare, incrociare le fonti, approfondire, cercare nei siti di debunking e non restare prigioniero delle trappole della disinformazione. Pirandello sosteneva che le verità sono tante quante sono le persone che credono di possederle; e allora, nel contrasto alle fake news, la vera battaglia non dovrà essere finalizzata ad affermare “verità assolute”, quanto a imparare a difendersi dalle menzogne conclamate.
Matteo Grandi è autore di “FAR WEB – Odio, bufale e bullismo: il lato oscuro dei social” (Rizzoli)