Da oggi, 15 maggio, fino al 17, Papa Francesco incontrerà in Vaticano i vescovi cileni per riflettere sulla responsabilità di tutti e di ciascuno rispetto alle ferite devastanti causate dalla pedofilia dei preti in quella nazione dell'America del sud, e studiare assieme cambiamenti adeguati e duraturi che impediscano il ripetersi di questi atti sempre riprovevoli.
Questa energica sterzata imposta alla Chiesa dal sommo pontefice è frutto di un grave errore di valutazione per il quale Bergoglio ha chiesto scusa.
Tutto nasce quando, durante il volo da Lima del recente viaggio in Perù, Papa Francesco usa l'espressione "non ci sono prove" a proposito del caso di Juan Barros, vescovo di Osorno (Cile), allievo dell'abusatore seriale Fernando Karadima. Il capo della commissione per la protezione dei minori, il cardinale Sean Patrick O'Malley, prese subito le distanze, con una nota ufficiale, da quelle parole del Papa che non solo - come sarebbe accaduto in qualsiasi azienda o partito politico - non licenziò o rimproverò il suo collaboratore, ma gli diede ragione.
L'agenzia ufficiale del Papa Vatican News a proposito della tre giorni che inizia oggi scrive: "In relazione ai dubbi espressi dal Pontefice stesso sul caso di mons. Barros, vescovo di Osorno, in particolare nel colloquio avuto con i giornalisti sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Cile e Perù nel gennaio scorso, Francesco riconosce di essere incorso “in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate”. Il Santo Padre chiede perdono a tutte le persone che ha offeso".
Il Papa, cioè, non si limita al silenzio, non lascia operare la diplomazia dietro la quinte: mostra nei fatti di credere che ammettere i propri errori, riconoscere di essersi sbagliato, è qualcosa che dà forza, non debolezza; aggiunge, non toglie. Non era mai accaduto che un pontefice ammettesse un errore a questo livello, cioè coinvolgendo 31 vescovi diocesani e ausiliari, 2 vescovi emeriti e il Card. Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
Non si tratta di colpe del passato, non si tratta di chiedere perdono per gli errori della Chiesa nel caso Galilei, l'antigiudaismo o l'inquisizione: adesso si tratta di chiedere scusa per un gravissimo errore di valutazione commesso in prima persona a causa di informazioni non veritiere. Mentre il nostro paese annaspa nella ricerca di una soluzione politica difficilissima da trovare - proprio perché dovrebbe passare dall'ammissione di errori - Bergoglio insegna che nessuno è esente da errori. E che la nostra forza sta nell'ammetterli e ripartire da essi: non nel coprirli ed edulcorarli.