L’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani impone una profonda riflessione dell’opinione pubblica europea e di chi la governa. È probabile che molti nell’attuale amministrazione statunitense ignorassero, nella loro ostentata ignoranza, chi fosse Soleimani, equiparandolo a un capo terrorista come Al Baghdadi.
In realtà, in gran parte del Medio Oriente egli era, a torto o a ragione, considerato una figura ieratica, rispettato anche dai suoi nemici, per le qualità che gli si attribuivano. I suoi modi modesti, lo sguardo mite e quasi ascetico, il carattere riservato e, naturalmente, il presunto genio militare ne avevano fatto una sorta di eroe nazionale in Iran, l’unico capace di unire ricchi e poveri, credenti e non credenti, supporter del regime e suoi avversari.
In quanto “intoccabile”, Soleimani viaggiava su normali voli di linea, così come aveva fatto il giorno della sua uccisione. Di fatto, nemmeno Israele, che pure aveva insegnato agli americani il sistema delle esecuzioni extragiudiziali e che lo considerava il suo peggior nemico, aveva mai osato colpirlo direttamente e ha lasciato ad altri il lavoro sporco, probabilmente sollecitandolo.
Tutte le cancellerie del mondo, escluso ovviamente Israele, sono rimaste attonite rispetto all’enormità e all’avventatezza dell’azione statunitense. Ma ciò che preoccupa di più quelle europee è che questo è l’ennesimo episodio che conferma la trasformazione di quella che era la nazione guida del modello occidentale in un “rogue state”, pronto a anteporre i propri interessi al rispetto delle convenzioni internazionali. Lo strapotere militare e quello economico-finanziario non sono più strumento per una leadership responsabile ma vengono ostentate a supporto di comportamenti da bullo.
La prima cosa su cui riflettere riguarda le modalità con cui è stata decisa l’uccisione di una figura chiave del Medio Oriente, equiparabile per risonanza mediatica all’israeliano Netanyahu o al principe saudita Mohammed bin Salman. Va ricordato che gli Stati Uniti non sono in guerra con l’Iran e che l’operazione viene condotta in un paese terzo, per di più a sua insaputa. Ebbene, questa decisione viene presa da un gruppo ristrettissimo di persone, il Presidente e il suo più stretto entourage, senza consultare altri o almeno avvertire i presidenti delle due Camere. Ovviamente, non sono stati avvertiti nemmeno i paesi “alleati”.
I tarli della democrazia americana
Secondo la ricostruzione del New York Times, Trump avrebbe preso questa decisione in un momento di rabbia, dopo aver visto in tv l’assedio all’ambasciata di Baghdad, lasciando di stucco gli stessi vertici militari, che infatti si sono affrettati subito dopo l’operazione a comunicare che essa era stata ordinata dal Presidente in persona. Ma se Trump si è comportato così vuol dire che aveva il potere di farlo e, di fatto, dopo l’11 settembre, sulla scorta dell’emotività del momento, i poteri dell’esecutivo sono stati enormente accresciuti, equiparandoli, in certe materie, a quelle di un sovrano assoluto e affievolendo il sistema di check and balance che contraddistingue le democrazie. È probabile che Putin e Xi non godano nei loro paesi di poteri commensurabili.
Ma i tarli che logorano la democrazia americana riguardano anche il livello di corruzione endemica della sua classe politica, recentemente “normalizzata” da un’incredibile sentenza della Corte Suprema del 2012 che, basandosi sul primo emendamento sul diritto di parola (sic), ha liberalizzato le donazioni senza limiti ai politici da parte di privati e imprese. Secondo un’indagine del Financial Times, ogni deputato statunitense occupa il 60% del proprio tempo lavorativo in attività connesse con la raccolta di fondi.
In questa situazione il ruolo delle lobbies è divenuto centrale e ben più importante di quello degli elettori nel definire le scelte politiche del governo, incluse quelle riguardanti il posizionamento internazionale. Sono le lobbies, ad esempio, che hanno guidato il processo di deregolamentazione delle attività economiche e finanziarie per poi rivolgersi, con lo stesso spirito e obiettivo, al depotenziamento delle istituzioni internazionali cui era stato attribuito, con il concorso determinante degli Stati Uniti, il compito di disciplinare i rapporti fra paesi e comporre i relativi dissidi.
Il primo caso riguarda le Nazioni Unite. Dopo che l’Assemblea Generale aveva condannato la decisione americana di spostare l’ambasciata a Gerusalemme con il voto contrario di solo Usa, Israele e un paio di atolli del Pacifico, Gli Stati Uniti (e Israele) hanno deciso di non versare più i contributi dovuti a questo organismo. Considerato che gli USA sono il principale contributore dell’ONU, questa decisione, oltre a comportare un’implicita delegittimazione del suo ruolo, ha determinato anche un ridimensionamento delle relative attività.
Colpo al cuore del Wto
Più recentemente, gli Stati Uniti hanno sostanzialmente bloccato il funzionamento del WTO (Organizzazione mondiale del commercio), organismo cui aderiscono ben 164 paesi e a cui è affidato il compito di stabilire le regole del commercio internazionale e di assicurarne il rispetto. Essi hanno infatti messo il veto alla nomina dei giudici che avrebbero dovuto sostituire quelli in scadenza nell’organo dell’istituzione preposto a dirimere le dispute fra paesi. Si badi bene, l’ultimo veto è stato posto da Trump, ma esso è stato preceduto da altri risalenti agli anni di Obama, a conferma di un processo di disimpegno americano le cui origini sono più remote di quanto si pensi.
Poiché le regole fissate dal WTO risultano compromesse in assenza di un organismo che ne assicuri il rispetto, l’Unione Europea ha reagito alla decisione americana costituendo un organo di appello alternativo. Ad esso hanno sinora aderito Canada e Norvegia, mentre sono in corso colloqui per assicurare l’adesione di Russia e Cina. Una situazione quasi paradossale che fa riflettere.
Un ulteriore organismo internazionale “picconato” dagli Stati Uniti è la Corte penale internazionale (ICC) con sede all’AIA, competente a giudicare sui genocidi, i crimini di guerra, quelli contro l’umanità e quello di aggressione. Quando era ancora Consigliere per la sicurezza di Trump, John Bolton in un discorso pubblico minacciò espicitamente di sanzioni e “travel ban” i giudici e altro personale dell’ICC che avessero avviato indagini su cittadini statunitensi o di paesi alleati, citando però il solo Israele.
L’intervento di Bolton faceva seguito alla notizia che il Tribunale intendeva avviare delle indagini su supposti crimini di guerra degli americani in Afghanistan e degli israeliani in Gaza. Poichè poi queste indagini furono effettivamente iniziate, gli Stati Uniti hanno dato seguito alle minacce revocando il visto al procuratore che le conduceva. Anche in questo caso, non si tratta di una mossa improvvida di Trump, considerato che già Bush junior aveva dichiarato che gli Stati Uniti non avrebbero mai permesso che propri cittadini fossero giudicati da altre giurisdizioni. D’altronde, abbiamo qualche esempio di questa dottrina anche in Italia.
L'Europa sotto schiaffo
A fronte di questa situazione, noi europei ci troviamo sotto schiaffo. Anestetizzati da un lungo periodo di benessere e pace sotto l’ombrello americano, ci scopriamo indifesi rispetto alle aggressioni di quello che consideravamo il paese leader della coalizione internazionale di cui facciamo parte.
Quando gli Stati Uniti impongono dazi sulle nostre merci senza passare per il WTO o almeno avviare trattative, quando impongono sanzioni “secondarie” alle nostre imprese che non si conformano alle decisioni della giurisdizione americana, quando vengono sanzionate le imprese che partecipano alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2, quando vogliono imporci le tecnologie da adottare e da chi acquisirle, quando la Francia viene minacciata di ritorsioni se procede con la decisione di introdurre la web tax contro i giganti (americani) del web, ci accorgiamo improvvisamente della nostra debolezza che ci consente solo di proferire deboli proteste.
Noi europei ci troviamo così a dover affrontare scelte difficili che non avevamo preventivato e che non sarà facile far digerire alla nostra opinione pubblica. L’unico aspetto positivo di questa situazione è che essa sollecita un rafforzamento del progetto europeo a difesa non solo dei comuni interessi sotto attacco, ma anche della nostra cultura e della nostra civiltà millenaria minacciata dai nuovi barbari che si profilano all’orizzonte.
A coloro che invece sembrano suggerire l’appeasement, è bene ricordare che Soleimani combatteva fianco a fianco con gli americani nella battaglia contro l’Isis per la riconquista di Mosul. Ci sono molti filmati che lo mostrano mentre discute con ufficiali americani. Ciò accadeva nel 2017, non in un’epoca remota. Terminata la battaglia, la potente lobby filoisraeliana impose il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare e la reintroduzione di pesanti sanzioni contro l’Iran, corredata di sanzioni “secondarie” alle imprese extraamericane che non si uniformavano. L’esito di questa decisione sciagurata è davanti ai nostri occhi.