Penoso. Altro che strepitoso. C’è una parte di Twitter che il monologo di Pierfrancesco Favino non è riuscito proprio a mandarlo giù. Per il tema trattato, certo. Per quella parola, paraculismo, che è stata pronunciata troppe volte a Sanremo. All’Ariston come in sala stampa; per le strade della cittadina della Riviera come in rete e sui social; per i brani di Meta e Moro e di Mirkoeilcane, per la conduzione di Claudio Baglioni.
Penoso #Favino #Sanremo2018 ora
— Maurizio Gasparri (@gasparripdl) 10 febbraio 2018
C’è chi ha visto in quella recitazione, quasi perfetta, una presa di posizione netta. E politica. Una violazione della “par condicio” in tempo di campagna elettorale. Nonostante il testo, datato 1977, sia un piccolo capolavoro di un autore, Bernard-Marie Koltès, così poco conosciuto alla platea italiana e così incredibilmente capace di raccontare, su un palco e sulla carta, lo smarrimento, la solitudine e il senso di oppressione degli esseri umani di fronte alla deriva del mondo.
Eh no!!!! Il monologo pro migranti di #Favino no !!!! Fuori luogo, fuori contesto, e contro la tanto beneamata par condicio...#sanremo2108
— Fabiana (@FabianaCa35) 10 febbraio 2018
E allora, sui social, quel grido di dolore di chi non può chiamare casa nessun luogo, di chi viene sempre preso a calci, di chi vorrebbe stare bene, sdraiato sull’erba, a raccontare la proprio storia, invece che essere costretto sempre a fuggire, diventa una sorta di difesa dei migranti di oggi. “Ti mandano via. Il lavoro sta sempre più in là, più lontano. Senza sorrisi e senza nessuno che ascolti. Ti senti sempre più straniero, più solo e abbandonato”. Frasi che vengono recintate dalla politica, soggiogate dall’attualità, incatenate in un contesto ben preciso che ci conduce, come dentro a un imbuto, verso il 4 marzo.
#Sanremo2018, è anche questo ce lo siamo levati dai coglioni! Finisce il festival con il solito monologo #antirazzista.Una tv pubica ,finanziata dalle tasse degli Italiani che fa propaganda contro gli Italiani #fateschifo #Favino #baglioni #Hunziker pic.twitter.com/D1Cm7JI0EE
— Danilo (@danilosantini65) 11 febbraio 2018
E su Youtube la situazione non è certo diversa. Sotto il video del monologo, pubblicato sul canale della RAI, ci sono quasi 2500 commenti. Molti difendono Favino e la sua interpretazione. Altri, invece, traslano il messaggio di Koltès per colpire il loro unico bersaglio. Senza concessioni o aperture. E con molta, moltissima, rabbia.
- “Questa cazzata è la scusa giusta per accogliere accogliere e accogliere e far diventare questo paese sempre più un immondizia”;
- “Favino il tuo paese è AFFANCULO”;
- “Con i 300.000 euro che hai preso a San Remo paga gli avvocati degli stupratori immigrati”; “Realtà ben diversa dal monologo....Per me solo propaganda elettorale...no agli ingressi indiscriminati....ormai l'Italia è invasa”.
- “A me ha fatto cagare..solito comunista pagato milioni di euro che parla dei soliti immigrati in una serata che dovrebbe essere degli italiani, ma a quanto pare a lui dell'italia e degli italiani che si suicidano per mancanza di lavoro salute e futuro frega poco..bene..esplodi”.
Se abbiamo paura persino delle emozioni
Ospite di Fabio Fazio a “Che Tempo Che Fa”, l’attore ha raccontato che quello di Koltès “è un testo sull’estraneità in generale. La mia politica è solo quella di capire le emozioni. Quella paura lì che se ti muovi ti sparano addosso era anche la mia nello scegliere di fare Sanremo”. Quelle stesse emozioni a cui molti non credono più. Come se quello che ci circonda fosse tutto di cartone, tutto artefatto, tutto frutto di soldi o di opportunismo mediatico. Come se avessimo paura di accettare che qualcosa venga fatto per pura bellezza.
Favino a Sanremo recitandolo il monologo sui migranti ha pianto. Per 500.000 euro piango anch'io.
— LAURA (@iosonokarma) 12 febbraio 2018
Può il teatro perdere la sua universalità per colpa della politica? Viviamo davvero in mondo dove tutto è frutto di una strumentalizzazione, dove niente è autentico? Forse sì. Almeno secondo una parte della rete. Così il protagonista del pezzo, un vecchio generale nicaraguense, diventa il migrante ospitato negli alberghi. E chi dà voce a un sentimento che tutti, prima o poi nella vita, siamo destinati a provare, diventa uno “stronzo”, un mercenario. In generale, un paraculo
Ci mancava Favino con il monologo sul migrante che si è stufato di farsi prendere a calci in culo e vuole sdraiarsi sull’erba e non se va. Madechestáapparlà?! Dei fancazzisti clandestini in hotel che si lamentano della colazione servita troppo presto?!
— Rosanna (@rosanna_357) 10 febbraio 2018
A quaro pare, qualcuno ha apostrofato come "tre stronzi" Mannoia, Baglioni e Favino dopo la loro sviolinata a favore dei migranti. Quel qualcuno è il vincitore morale del festival di Sanremo.
— Cesare Sacchetti (@CesareSacchetti) 11 febbraio 2018
Un monologo “penoso”. Per fortuna
Penoso. Il dizionario Treccani definisce l’aggettivo come un qualcosa “che arreca pena, affanno, intima sofferenza”. E allora, forse, quasi inconsapevolmente, anche chi ha deciso di attaccare in questo modo la scelta di Favino di recitare il brano di Koltès, non è andato lontano dalla verità. Perché in quei cinque minuti scarsi, la maggior parte di noi, ha provato davvero un senso di affanno e di intima sofferenza. Qualcosa che, per una volta, non ha riguardato una posizione politica, una strumentalizzazione, un paraculismo ma il nostro comune, e sempre più diffuso, senso di vuoto.