Quando nel parlare comune ci si riferisce alle persone in difficoltà, in genere si intendono categorie che già si conoscono, quelle che bene o male ricevono visibilità o anche aiuto, come per esempio i migranti. Esiste però anche la realtà di chi ha intrapreso un cammino religioso e per qualsiasi motivo ad un certo punto se ne trova fuori. Non si tratta solo di sopravvivenza materiale, che è già una priorità assoluta, ma anche dell'aspetto emotivo e affettivo che va rimodulato e ricreato. Si tratta di provare a far ripartire una rete di affetti e di legami, magari lasciati prima della scelta vocazionale, e non più ritrovati all'uscita. Il tentativo del blog Come Gesù si muove in questa linea cercando non solo di far trovare un lavoro all'ex prete o alla ex suora, ma anche di creare un "cordone umanitario" che rompa la solitudine.
Don Mauro Leonardi, con la sua iniziativa di cercare lavoro per ex-preti ed ex-suore attraverso il suo blog Come Gesù ha scatenato un bel vespaio...
Me ne sono accorto anch'io!
Com'è andata?
Don Patricello racconta che quando diventò parroco nella Terra dei Fuochi la gente si rivolgeva a lui per qualsiasi cosa: all'inizio si meravigliava, poi capì: non c'era nessuno ad aiutare i poveretti e perciò la gente si rivolgeva al prete. A me è accaduto qualcosa del genere. Grazie al blog, ai social, ai libri, alla televisione, ho una certa visibilità, e così di tanto in tanto c'è chi mi manda Curriculum: in genere rispondevo di non poter fare nulla ma poi, soprattutto quando mi sono cominciate ad arrivare richieste di ex-suore ed ex-preti, mi sono detto: davvero non posso fare nulla?
Perché in realtà cosa succede?
La situazione più difficile riguarda le ex-suore. Per quanto riguarda gli ex-preti, soprattutto se pensiamo alle diocesi più grandi ed organizzate (per esempio Roma o Milano) i vescovi trovano spesso - anche se non sempre - il modo di aiutare. Una strada, frequentemente, è quella dell'insegnante di religione. Un esempio fulgido, ma che può ingannare, è quello di Vito Mancuso. Che dietro di lui aveva una personalità lungimirante come quella del Cardinal Martini. Mancuso si è fatto prete a 23 anni e dopo un anno ha chiesto la dispensa. Da lì è iniziata la sua carriera di teologo, saggista e scrittore ma, ovviamente, non va sempre bene come a lui.
In che senso?
Quando un prete lascia dopo un anno è una cosa, se accade dopo dieci anni o dopo venti, o pure di più, è un'altra. Sia chiaro che io non voglio gettare la croce addosso alle istituzioni, che rispetto a tanti anni fa sono, a riguardo, molto cambiate in positivo. Un tempo chi lasciava era solo visto come "un traditore" o "una traditrice", adesso, spesso, non è più così anche se, a onor del vero, quà e là questa mentalità esiste ancora. Però neppure si può tacere che i problemi esistono eccome, anche dal punto di vista psicologico.
Può spiegare meglio?
È la fiera dei non detti. Noi ti aiutiamo a fare l'insegnate di religione, o quest'altro lavoro, ma tu, ovviamente, non c'è bisogno che faccia sapere che eri suora ... capisce? Si usano questi eufemismi, questi giri di parole. In tal modo si getta un giudizio pesante come il piombo su un pezzo di vita importante, magari, tra una cosa e l'altra, durato vent'anni: perché dovrei vergognarmi di aver provato a fare la suora e di non esserci riuscita? Oppure il prete? Oltretutto, magari la colpa di quello che viene visto come fallimento non è poi solo del singolo ...
Però?
Però il problema, prima che ideologico, è assolutamente pratico. Pensiamo ai casi normali, che non sono quelli dei preti giovani e brillanti delle diocesi prestigiose come quello di Vito Mancuso, ma quelli di suore (magari straniere) che hanno fatto parte di congregazioni o monasteri piccoli, che contano poche unità. Spesso, per entrare nell'ordine, hanno lasciato tutto: che so, anche la patente di guida. Se fanno parte di ordini contemplativi, magari, sebbene siano persone colte (a volte anche dotte) non hanno corrispondenti titoli di studio. A volte, se la scelta è avvenuta in disaccordo con la famiglia, esiste poi anche la lontanza affettiva dai parenti. Si sentono dire (e anche con ragione): dieci anni fa, quando papà era allettato avevamo bisogno di te e tu non ci hai aiutato, adesso cosa vuoi da noi? La vita è dura per tutti, è già tanto se riusciamo a cavarcela da soli senza accollarci anche il peso della tua vita. Noi te lo avevamo detto che non eravamo d'accordo con la tua scelta ...
Ma le consorelle o i confratelli dell'ex non aiutano?
Dipende. Ci sono casi e casi. Pensi a chi lascia l'ordine per motivi di salute: smette perché non ce la fa a fare la vita della suora. Se non ce la fa dentro, crede ce la faccia fuori? E comunque, con tutta la buona volontà, un monastero di clausura che vede una consorella lasciare la comunità dopo vent'anni, per i motivi che siano, cosa può fare? Ha l' obbligo canonico di aiutare per un anno dal punto di vista economico, e questo lo fa, ma poi cosa succede? Un monastero di clausura non è un'agenzia di collocamento.
Lei cosa propone?
Io non ho la bacchetta magica e non voglio gettare la croce addosso a nessuno. Ripeto, rispetto a qualche decennio fa, si sono fatti tanti passi in avanti, però il problema è lontano dall'essere risolto: e sto pensando solo al reinserimento nella società civile, figurarsi se penso a quello nella vita ecclesiale. Io, con le persone che collaborano al blog, posso magari aiutare a risolvere quache problema concreto, ma penso soprattutto di poter fare un certo lavoro di sensibilizzazione culturale, di cui ringrazio anche AGI. Dobbiamo essere noi, la società tutta, a dirci se ci va bene che dei nostri figli e delle nostre figlie rischino la vita "alla carta di Dio", e poi essere coerenti. Non possiamo essere tutti felici se le loro vocazioni vanno bene e poi lasciarli solo se vanno in modo diverso