Un brutto fenomeno negativo ha circondato la decisione della FIGC di cambiare il colore di una delle maglie della nazionale, la terza: quella che ogni tanto indosseranno gli azzurri e che si è rivelata una scelta felice facendo vincere la partita con la Grecia e ottenendo così la qualificazione.
È tutto molto semplice: per motivi di merchandising, la Puma, d'accordo con la federazione, ha deciso di andare a pescare nella storia della nazionale e di riesumare, ogni tanto, la maglia verde indossata finora un’unica volta dall’Italia nella vittoria per 2-0 contro l’Argentina all’Olimpico nel dicembre del 1954, e di affiancarle un "tricolore" che ha le varianti sul verde. Apriti cielo!
Il paradosso è che tutti noi, quando si parla di cambiamento, siamo disposti a gettarci metaforicamente nel rogo per difendere la scelta della novità ma poi, davanti a una modifica minima come quella della terza maglia della propria nazionale, alziamo le barricate.
Sarebbe facile ora fare l'elenco dei buoni e dei cattivi additando i personaggi pubblici - politici e non solo - che si sono stracciati le vesti per la (bellissima) nuova maglia verde degli azzurri.
Più importante è soffermarsi su quello che c'è dietro. Si chiama "resistenza al cambiamento" e pare che sia motivata dalla paura. È come se fossimo carcerati che, chiusi in una cella fetida, non facciamo nulla per scappare e ce ne stiamo fermi ed immobili rincantucciati in un angolo perché convinti che, quando sentiremo i passi della guardia che si avvicina, non sarà per donarci la libertà ma per portarci in una cella ancora peggiore.
Mi permetto di fare questa considerazione importante a proposito di una cosa di poco conto come il colore della terza maglia di una squadra calcistica, perché vincere queste convinzioni infondate dipende da una lotta personale che va fatta tutti giorni a partire dalle piccole cose. È estremamente pericoloso farsi vincere dalla logica per cui "si può andare solo di male in peggio" perché quella struttura mentale castra ogni possibilità di migliorare.
La levata di scudi contro la nuova maglia mostra con chiarezza che, quando arriva il momento di cambiare, ciò che pesa di più non sono le ragioni che spingono verso la trasformazione, bensì le emozioni che la accompagnano. La maglia verde, di per sé, come ho appena spiegato, era solo ripescare un pezzo della nostra storia, ma questo è "un ragionamento", non un emozione. L'emozione è solo quella di vedere Bonucci verde invece che azzurro, e quindi un po' strano perché diverso.
Come sono le nostre reazioni rispetto agli ultimi aggiornamenti di whatsapp? Negativi? Ci lamentiamo che dovremo reimparare qualcuna delle nostre abitudini nel digitare e che non se ne può più delle novità? Se è così siamo su una brutta strada. Rendiamocene conto e tiriamo le conseguenze perché, se dovesse vincere in noi la voglia che tutto rimanga così come è, che si faccia come si è sempre fatto perché "si è sempre fatto così", vorrebbe dire che dobbiamo cambiare il nostro modo di vedere le cose e di vivere.