Festeggiare un compleanno o un anniversario a ridosso della fine dell’anno è una bella fregatura, si sa.
L’attenzione di tutti è per il Natale, i regali e i festeggiamenti del Capodanno. E così molte ricorrenze importanti passano in secondo piano, restano sottotraccia, sovrastate dalla sbornia natalizia e dalla voglia di leggerezza che caratterizza il periodo delle feste.
Il Foia, storia di un diritto conquistato
E non accade solo alle persone, ma succede anche per le leggi e i diritti. Pensate, ad esempio, a quanto capita alla Costituzione, la nostra legge fondamentale, che proprio in questi giorni compie 71 anni. Un compleanno che – complice la chiusura delle scuole e degli uffici – non viene celebrato come pure meriterebbe il documento che è alla base della nostra democrazia.
Forse succede anche perché i diritti, una volta conquistati, vengono considerati come “acquisiti” e dati per scontati. È quanto sta accadendo anche al cosiddetto “Foia italiano”, vale a dire la norma che riconosce a tutti il diritto di accesso ai dati e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione.
La lunga battaglia per il Freedom of information act
Questo nuovo diritto di accesso generalizzato (introdotto dal decreto legislativo 97 del 2016) è divenuto applicabile a partire dal 23 dicembre di due anni fa, dopo una lunga e assai partecipata battaglia di cittadini e associazioni della società civile.
Un diritto giovane per l’Italia, ma da tempo affermato in tutte le democrazie più evolute (per intenderci, la Svezia lo ha dal 1766 e gli USA dal 1966).
Il diritto di conoscere la verità
Si tratta di un compleanno che merita di essere celebrato in quanto questa norma – pure se nel linguaggio burocratico delle leggi - riconosce l’importantissimo diritto di tutti di conoscere la verità. Già, perché molto spesso la verità non si trova in comizi, dirette Facebook e comunicati stampa di politici e amministrazioni. Per conoscerla, invece, è necessario sfogliare documenti, atti, relazioni, pareri e banche dati detenuti dagli uffici pubblici.
Ebbene, da due anni chiunque può richiedere di farlo, sia pure con alcune doverose eccezioni a tutela di interessi pubblici e privati (come il segreto di stato, le relazioni internazionali, l’ordine e la sicurezza pubblica, il rispetto della privacy e la libertà e segretezza della corrispondenza).
Cose che abbiamo saputo grazie al Foia
Il FOIA è un diritto indispensabile per chi voglia controllare l’operato di Ministeri, Regioni, Comuni, scuole, ospedali e società partecipate, ma è anche uno strumento utilissimo per i giornalisti (non è un caso che il motto del 2017 del Washington Post fosse “Democracy Dies in Darkness”, cioè “la democrazia muore senza la trasparenza”).
A livello giornalistico, in questi due anni l’accesso generalizzato ha reso possibile, tra le altre, la realizzazione di una mappa sulle coperture vaccinali, un’indagine sulla rilevanza del fenomeno degli obiettori di coscienza nelle strutture sanitarie pubbliche, inchieste sulle spese di viaggio e di rappresentanza di sindaci e presidenti di regione, articoli sui regali di rappresentanza ricevuti dai membri del governo, sullo stato della scuola digitale, sulle condizioni dell’edilizia scolastica e sull’emergenza idrica a Roma.
Tutte inchieste che, senza FOIA, semplicemente non sarebbero state possibili. È quello che emerge anche dall’esperienza delle organizzazioni della società civile: la nuova norma, se applicata, funziona e grazie al diritto di accesso generalizzato sono stati concessi documenti e dati che prima venivano negati.
L’associazione Antigone, ad esempio, ha ottenuto informazioni sulle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri, l’Arcigay il numero delle unioni civili celebrate nelle principali città italiane. Openpolis e Actionaid – grazie al FOIA – hanno realizzato un report sul funzionamento e sui costi del sistema di accoglienza dei migranti; altre organizzazioni hanno ottenuto, invece, informazioni sui finanziamenti ai consultori e centri antiviolenza, su quali sono i reclami presentati nei confronti delle aziende che gestiscono i trasporti delle più grandi città italiane, sulla sicurezza degli edifici in cui ci sono scuole e ospedali.
Il bilancio vero fra qualche anno
Sicuramente, il vero impatto dell’introduzione del diritto di accesso generalizzato potremo monitorarlo soltanto tra qualche anno, quando si saranno anche consolidate le interpretazioni della norma, specialmente con riferimento all’applicazione di limiti e esclusioni del diritto di accesso generalizzato.
Tuttavia, i dati quantitativi dei monitoraggi effettuati ci restituiscono alcune importanti evidenze in ordine alla circostanza per cui alcuni dei luoghi comuni che hanno caratterizzato il dibattito sull’introduzione del nuovo diritto sono stati smentiti dalla prassi.
Ad esempio, una preoccupazione ricorrente era che la previsione della possibilità di richiedere l’accesso ai dati e ai documenti dalle amministrazioni, senza bisogno di dover specificare un interesse a conoscerli, avrebbe di fatto portato alla paralisi degli uffici per il gran numero di domande che sarebbero arrivate. E, invece, nulla di ciò si è verificato: al netto di alcune “istanze seriali”, l’impatto del nuovo istituto appare assolutamente sostenibile in relazione ai carichi di lavoro dei singoli uffici.
C'è stato qualche intoppo
Naturalmente, in questi primi ventiquattro mesi non sono mancate le criticità. Il Foia impone una profonda rivoluzione culturale nel rapporto tra istituzioni e cittadini. E per i cambiamenti culturali servono sicuramente più di due anni.
Chiunque avesse dimestichezza con le riforme e con la pubblica amministrazione italiana non poteva minimamente pensare che l’attuazione della riforma sarebbe stata un processo istantaneo.
Il primo avvertimento sulla necessità di porre grande attenzione alla fase di attuazione, prima ancora degli attivisti, lo avevano formulato - niente di meno che - i giudici del Consiglio di Stato.
Nel parere reso sullo schema di decreto che avrebbe introdotto il Foia, i giudici di Palazzo Spada avevano ammonito tutti sul fatto che l’esperienza ci ha insegnato «che sempre più spesso le riforme “si perdono” nelle prassi amministrative conservative, nel difetto di un’adeguata informatizzazione, nel mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici, nel difetto di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti».
Il Consiglio di Stato le ha chiamate “prassi amministrative conservative” o “mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici”. Nella pratica, è accaduto - ad esempio - che amministrazioni negassero (illegittimamente) l’accesso sulla base dell’argomentazione per cui “l’ufficio, di norma, non concede l’accesso a questo tipo di documenti”. E certo, verrebbe da dire, finora non lo ha concesso perché non esisteva il Foia... ma, adesso, le prassi devono cambiare.
A qualcuno non piace la trasparenza
Per questo motivo già in tanti si sono rivolti ai Tribunali amministrativi in modo da ottenere i documenti che le amministrazioni avevano rifiutato di mostrare (per avere un’idea, ad agosto di quest’anno, le sentenze dei TAR sul Foia erano già più di cinquanta).
I diritti, infatti, sono tali non perché vengono concessi, ma perché possono essere pretesi, rivendicati. La forza del nuovo diritto di accesso dipende non solo da quanto le amministrazioni saranno in grado di essere trasparenti, ma anche da quanti vi faranno ricorso e – se necessario – si rivolgeranno ad un giudice per ottenere il riconoscimento di ciò che gli spetta.
In un momento storico in cui la trasparenza sembra ormai assente dal dibattito pubblico, inoltre, è inoltre auspicabile analizzare i limiti del FOIA per capire come migliorare ancora la norma, renderla più efficace per i cittadini e – allo stesso tempo - sostenibile per le amministrazioni.
Ad esempio, è auspicabile che il Foia venga esteso alle tante istituzioni a cui oggi ancora non si applica, come il Parlamento e, in generale, gli organi costituzionali e di rilievo costituzionale (come la Presidenza della Repubblica, Consiglio superiore della magistratura, Cnel).
Idee per migliorare il Foia
Inoltre, l’esperienza internazionale insegna che - anche per rendere gli oneri di trasparenza più sostenibili per gli enti - potrebbe essere ragionevole inserire un collegamento tra gli obblighi in materia di accesso e la pubblicazione sul web. In particolare, si potrebbe prevedere che, se un certo dato è oggetto di molteplici richieste di accesso, in seguito al raggiungimento di una soglia minima (ad esempio, tre domande), tale dato dovrebbe essere pubblicato proattivamente dall’amministrazione sul proprio sito istituzionale.
Ciò non solo in quanto si tratterebbe di un dato di particolare interesse per la cittadinanza, ma anche perché è molto meno oneroso pubblicare informazioni rispetto ad evadere molteplici richieste aventi ad oggetto gli stessi dati.
Inoltre, la norma sull’accesso generalizzato potrebbe essere integrata nel senso di prevedere l’obbligo per le amministrazioni di fornire agli utenti che lo richiedano una specifica assistenza nella predisposizione dell’istanza.
Questo supporto, forma suprema di collaborazione con l’utente, contribuirebbe a superare la contrapposizione tra cittadini e amministrazioni che è una delle cause del declino delle nostre democrazie.
Perché, come ha scritto il giornalista panamense Alfonso Grimaldo, molti pensano che la trasparenza sia la “ciliegina sulla torta”, un abbellimento. E, invece, essa è il fondamento su cui si costruisce una buona gestione della cosa pubblica e la stessa stabilità politica.
Per questo motivo dobbiamo difenderla e aiutarla a crescere ancora.