Quanto vale il brand della Roma dopo la pessima gestione dell'interruzione del rapporto tra Daniele De Rossi e i giallorossi? Sicuramente molto meno, perché il valore di un brand è quello della promessa mantenuta. Compro un gelato perché mi aspetto un certo gusto e se rimango deluso non lo mangio più.
Lo stesso vale per un ristorante o per un attore al cinema. Vale anche per Gesù Cristo che nella sua vita terrena dovette fare innumerevoli volte i conti con la delusione che induceva nei suoi discepoli a causa di un fraintendimento inevitabile. Nostro Signore prometteva, attraverso dei miracoli che avvenivano nel tempo, la vita eterna e un regno non di questo mondo: ma quanto dichiarava non veniva inteso, passava in secondo piano, rispetto all'essere cieco e al vederci già ora, all'essere zoppo e tornare a camminare già ora, all'essere affamati ed avere pane da mangiare già ora. L'avere una vita migliore qui non era compatibile con la promessa di una vita migliore dopo, che però dovesse passare attraverso la Croce.
Invece, dopo la sua morte e Resurrezione, quando i miracoli terreni si sono via via affievoliti per lasciare il posto alla vita "non di questo mondo", la promessa della vita eterna preceduta dalla Croce era diventata comprensibile, reale: e così in modo inarrestabile anche se lento, il cristianesimo si era diffuso.
Nel caso della Roma, la pessima gestione delle modalità con cui termina il rapporto tra De Rossi e l' A.S. Roma è gravissima perché per il romanista la Roma è casa e famiglia e chi tifa giallorosso vive visceralmente quella identificazione per cui De Rossi non era solo uno dei più forti giocatori italiani degli ultimi anni, ma era anche egli stesso romano e romanista, cioè, dopo Francesco Totti, era il massimo.
Se n'è perfettamente reso conto Claudio Ranieri che, oltre ad essere uno dei migliori allenatori italiani è anche lui, come De Rossi, romano e romanista. Nella conferenza stampa successiva ai fatti, significativamente il mister si è visto costretto ad un'operazione gravissima, quella di schierarsi a favore di De Rossi e dei tifosi, ma contro la società. "Io tra due partite finisco il mio rapporto con la Roma. Io credo che a Daniele, essendo il capitano, essendo una persona storica per la Roma, le cose andavano dette in un altro, dandogli la possibilità di pensarci bene. Avendo i tifosi della Roma un amore sviscerato per la propria squadra, una considerazione più attenta avrebbe consigliato un altro comportamento. Se mi fosse stato detto: visto che resterai, cosa ne pensi di Daniele De Rossi? Io avrei detto: lo voglio perché so che giocatore è, che uomo è, che capitano è".
Ranieri sa che il valore di un brand, quello che volgarmente viene detto il valore della "marca", non si estingue con una singola giocata o con il valore di una partita ma è la sovrapposizione e stratificazione, nel tempo, di una serie di giudizi, valutazioni, e impressioni che diventano corpo e generano una vita. È qualcosa che va al di là della qualità, o della affidabilità, non è solo una dichiarazione "di zero difetti" ma una vera e propria dichiarazione d'amore: quella che il tifoso della Roma aveva per i colori della squadra, e che adesso ha un po' meno. Quella sulla quale ha scommesso nostro Signore quando, dando la vita per gli altri, ha puntato sul significato del proprio messaggio, che era quello di giungere alla vita eterna dando la vita per gli altri. Messaggio che non poteva essere capito finché non fosse morto e Risorto per gli uomini, ma che da duemila anni a questa parte funziona.