La sfida vinta da Benigni al festival di Sanremo
La sfida vinta da Benigni al festival di Sanremo

La sfida vinta da Benigni al festival di Sanremo

Roberto Benigni
Ravagli/Agi - Roberto Benigni

Il Festival di Sanremo sale di un altro scalino - share oltre il 54% - anche grazie a Roberto Benigni che ci mette del suo rischiando nel fare una cosa difficile: scommettere sul successo del sacro nell'ambiente più profano che si possa immaginare.

Bisogna avere del fegato per provarci davvero e il comico toscano esorcizza la propria paura prima nominandola ("la canzone che sto per cantare è nella Bibbia, non v'impaurite") e poi impegnando tutto se stesso nel benedire l'amore, quello carnale, "che è l'argomento di ogni canzone": anche l'amore gay (ma lo aggiunge lui, visto che nel libro non c’è).

Benigni vince la sfida portando alla luce un testo del Cantico dei Cantici non edulcorato. Qualcuno ha trovato disdicevole che abbia fatto usare a un testo sacro parole come "penetrazione" e "monte di Venere", altri trovano disdicevole le troppe allegorie delle traduzioni fatte dai cristiani e dagli ebrei.

Io penso che quando si sta a Messa va bene usare la traduzione liturgica ma penso anche che quando si sta a Sanremo va bene usare quella erotica. Il credente che sa come nascono i bambini, ha sempre capito a cosa alludessero i metaforici "covoni di grano" e "grappoli della vite" ma, volendo in chiesa anche i piccoli, ha sempre preferito il velo delle immagini.

Benigni ha terribilmente ragione quando dice che "nel Cantico dei Cantici c'è qualcosa che fa paura, l'amore": per questo non c'è da meravigliarsi che le istituzioni, attraverso quei veli, diano il segnale di trattare l'amore con cura.

Però, quando si è fuori dalla liturgia, bisogna farsi prendere dall'amore senza paura: "amo perché amo, amo per amare" dice Benigni citando, senza dirlo, San Bernardo.

C'è un punto della Bibbia, il libro dei Maccabei, in cui si spiega che per parlare di Dio bisogna parlare la lingua degli uomini, anzi, il loro dialetto. Doverosa pertanto la precisione del linguaggio. Anche fisico, anche carnale, anche erotico. Perché se il nostro corpo e la nostra anima si abituano a conoscere, ad assaporare, a provare a conoscere se stessi e chi si ama, sapranno distinguere tra "il desiderio di fare all'amore e il bisogno di fare all'amore".

Perché il primo è una conquista che libera - e “ lo facessimo - recita Benigni - anche stasera qui all'Ariston, diretti magari dal maestro Vessicchio, e quel che succede succede”-. Mentre il secondo è una prigione che chiude nel limbo dell’irrealtà: "visto che di fare all'amore se ne parla tanto ma se ne fa poco". È forse il momento più alto della sua performance: quando Benigni riesce in un solo colpo a divertire, a far pensare e a fare emozionare.

Nell'antico testamento ci sono un'infinità di libri che raccontano con particolari espliciti, stragi di oggi tipo, torture, tradimenti e mali, invece c'è un solo libro - il Cantico dei Cantici - interamente dedicato all'amore.

Nononostante questa evidente stranezza, ebrei e cristiani hanno discusso per secoli se annoverare o no il Cantico tra i propri libri autentici. Perché? Il motivo è semplice ed ha ragione Benigni quando lo spiega: perché fa più paura l'erotismo che la guerra. L'avessimo capito una volta per tutte, il cachet di Benigni sarebbe stato ben speso.

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