Per non so quale motivo, gli americani sanno raccontare le storie di Natale meglio di chiunque altro. Solo Dickens - che era uno che di Natale se ne intendeva, eccome - ha fatto meglio. Nella cultura anglosassone e in particolare in quella statunitense c'è qualcosa legato al Natale in modo così ancestrale che li rende immaginifici e magnifici narratori delle feste. Dalle poesie al cinema - alzi la mano quel cuore di pietra che non si è commosso alla scena finale di 'La vita è meravigliosa' - c'è questa diffusa, costante esigenza di dare sostanza a emozioni che le persone vogliono condividere, ma non riescono a esprimere.
Ma tra le storie di Natale ce n'è una più bella delle altre perché più vera delle altre. Non parla di spettri di Natali passati e futuri, né di 'Angeli di seconda classe', ma di una bambina di otto anni, di un medico legale e di un giornalista brontolone.
Era da poco ricominciata la scuola e Virginia O'Hanlon aveva avuto una vivace discussione con i suoi compagni. Appena tornati sui banchi, nel settembre del 1897, i bambini non vedevano già l'ora che fosse Natale e qualcuno di loro, fregiandosi di quella spavalderia che solo i piccoli convinti di essere custodi di grandi segreti sanno avere, aveva buttato là con noncuranza che c'era sì da aspettarsi regali, ma non Babbo Natale, perché l'anziano omone con la barba altro non era che un'invenzione degli adulti.
Virginia, che era una bambina amante delle storie e su tutte quelle di Natale, c'era rimasta male. Molto male. Aveva litigato, rimuginato, soppesato, negato e ponderato, poi aveva deciso di chiedere alla persona più autorevole che conosceva: il dottor Philip O'Hanlon, chirurgo e medico legale della polizia di Manhattan, nonché suo padre.
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Nella loro elegante casa nell'Upper West Side, dove si erano trasferiti da appena un anno, Philip aveva guardato la figlioletta e a sua volta, dopo aver rimuginato, soppesato e ponderato, era giunto alla conclusione che non spettasse a lui - uomo di scienza - dare quella risposta. Ma a qualcuno la cui autorevolezza fosse ancora più indiscutibile.
Era, quella, un'epoca in cui ai giornalisti si dava più credito che alle corbellerie scritte sui muri (più o meno l'equivalente di allora dei social network di oggi) e secondo il dottor O'Hanlon la fonte più attendibile cui chiedere lumi era il New York Sun, un quotidiano di orientamento conservatore, molto popolare tra le strade della città.
Così Virginia aveva preso carta e penna e nella sua attenta calligrafia di bambina aveva vergato la fatidica domanda indirizzata al direttore del giornale.
«Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “Se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Virginia O’Hanlon»
Edward P. Mitchell era un uomo pratico e di buon senso, ma quel tipo di storie lo affascinavano. Da tempo si dilettava, con un certo successo, con racconti di fantascienza sui viaggi nel tempo, il potere dell'invisibilità e il teletrasporto e quella lettera di una bambina che chiedeva la verità su Babbo Natale gli era apparsa subito come una sfida da raccogliere. Ma da caporedattore del New York Sun aveva un sacco di notizie di cui occuparsi: c'era la crescente potenza della marina britannica, le questioni politiche cittadine e quelle che agitavano il vicino Connectictut. E poi c'era quello strano aggeggio che era stato appena presentato: una bicicletta senza catena.
Così aveva fatto chiamare nella sua stanza Francis Pharcellus Church, uno dei veterani del giornale. Un uomo disincantato e cinico che aveva visto con i propri occhi l'orrore della Guerra Civile e l'aveva raccontato nelle proprie corrispondenze. Church, come sempre, aveva borbottato e brontolato: era sicuro che ci fosse la mano di suo fratello, fondatore del giornale, dietro quello scherzo. Sapeva bene che la sua penna si scagliava sempre contro le superstizioni e che persino nei confronti delle religioni non era tenero. Tra l'altro non aveva figli e non si considerava la persona più adatta a rispondere a una bambina. Eppure aveva preso carta e penna e aveva buttato giù una risposta.
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Lo aveva fatto di getto, quasi senza pensarci, consegnando l'editoriale prima del previsto e con una sola esplicita richiesta: che andasse in pagina senza la sua firma. Mitchell lo aveva accontentato, relegando il pezzo in una pagina interna, tra i commenti. Non sapendo che quell'articolo avrebbe fatto la storia del giornalismo americano e cambiato per sempre la vita di una bambina di otto anni.
Quell'editoriale sarebbe stato ristampato ogni anno dal 'Sun' fino alla sua chiusura, nel 1950. Sarebbe diventato un cortometraggio, una canzone, sarebbe stato citato innumerevoli volte in altri editoriali, nelle scuole di giornalismo, in trasmissioni televisive. Sarebbe stato letto e interpretato da attori su palcoscenici di ogni nazione.
Ecco cosa diceva:
Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono stati contagiati dallo scetticismo tipico di questa era piena di scettici. Non credono a nulla se non a quello che vedono. Credono che niente possa esistere se non è comprensibile alle loro piccole menti. Tutte le menti, Virginia, sia degli uomini che dei bambini, sono piccole. In questo nostro grande universo, l’uomo ha l’intelletto di un semplice insetto, di una formica, se lo paragoniamo al mondo senza confini che lo circonda e se lo misuriamo dall’intelligenza che dimostra nel cercare di afferrare la verità e la conoscenza.
Sì, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione, e tu sai che abbondano per dare alla tua vita bellezza e gioia. Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse! Sarebbe triste anche se non esistessero delle Virginie. Non ci sarebbe nessuna fede infantile, né poesia, né romanticismo a rendere sopportabile la nostra esistenza. Non avremmo altra gioia se non quella dei sensi e dalla vista. La luce eterna con cui l’infanzia riempie il mondo si spegnerebbe.
Non credere in Babbo Natale! È come non credere alle fate! Puoi anche fare chiedere a tuo padre che mandi delle persone a tenere d’occhio tutti i comignoli del mondo per vederlo, ma se anche nessuno lo vedesse venire giù, che cosa avrebbero provato? Nessuno vede Babbo Natale, ma non significa che non esista. Le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere. Hai mai visto le fate ballare sul prato? Naturalmente no, ma questa non è la prova che non siano veramente lì. Nessuno può concepire o immaginare tutte le meraviglie del mondo che non si possono vedere.
Puoi rompere a metà il sonaglio dei bebé e vedere da dove viene il suo rumore, ma esiste un velo che ricopre il mondo invisibile che nemmeno l’uomo più forte, nemmeno la forza di tutti gli uomini più forti del mondo, potrebbe strappare. Solo la fede, la poesia, l’amore possono spostare quella tenda e mostrare la bellezza e la meraviglia che nasconde. Ma è tutto vero? Ah, Virginia, in tutto il mondo non esiste nient’altro di più vero e durevole. Nessun Babbo Natale? Grazie a Dio lui è vivo e vivrà per sempre. Anche tra mille anni, Virginia, dieci volte diecimila anni da ora, continuerà a far felici i cuori dei bambini.
Virginia amò a tal punto quelle parole che a ognuna delle migliaia di lettere che ricevette per decenni rispondeva allegandone una copia. Come la sua indole lasciava intendere, ebbe una vita di soddisfazioni professionali: si laureò alla Columbia, fece un prestigioso dottorato insegnò fino a diventare preside di scuola. Si sposò, ma suo marito la abbandonò appena dopo la nascita della loro figlioletta, Laura. Continuò a vivere nell'Upper West Side con i genitori e morì nel 1971. Ogni anno, alla Columbia, si tiene una piccola cerimonia durante la quale vengono lette la sua lettera e la risposta di Church. Per colmo di ironia, lo scettico, disincantato giornalista che non credeva agli spiriti è sepolto nel cimitero di Sleepy Hollow, teatro di una delle più celebri storie di fantasmi della letteratura americana.