Asia Argento dopo aver denunciato di essere stata violentata da Harvey Weinstein rivela altri due abusi. Ma, mentre in tutto il mondo si loda il suo coraggio, in Italia viene criminalizzata, e viene criminalizzata soprattutto dalle donne: "La cosa più sconvolgente sono le accuse delle donne italiane, la criminalizzazione delle vittime delle violenze", dice in un'intervista.
Al di là delle percentuali di chi va a Messa la domenica, l'Italia è tuttora uno dei paesi più cattolici al mondo. Se qualcuno può dubitare che lo sia attualmente, nessuno può minimizzare l'importanza decisiva della Chiesa cattolica nel plasmare il sentire comune degli italiani lungo la storia. Per questo, parole come quelle di Asia Argento, mi interrogano fortemente come prete. È fin troppo evidente che chi si accanisce contro Asia Argento ha forse da dire a se stessa qualcosa che non riesce a dire.
Perché non c'è solo lo stupro conclamato. Non c'è solo l'essere buttata a terra mentre cammini e trascinata in un angolo buio della strada. Non c'è solo l'abuso della mano che si allunga in ufficio, o dell'allusione volgare o anche solo equivoca lungo un colloquio di lavoro. C'è anche il rapporto sessuale che avviene quando la donna non davvero è consenziente, quando non lo vuole, quando non lo desidera, quando lo subisce: quello è abuso, quella è violenza. E lo è anche quando il rapporto avviene in una "cornice" del tutto lecita e garantista come quella del matrimonio istituzione civile o del matrimonio sacramento. Anzi in quel quadro, paradossalmente, può essere anche più difficile sapere chiamare le cose col loro nome.
Perché il sesso è tale solo quando è manifestazione d'amore, quando è scelto, quando è libero. Se una persona non la ami, la usi. Anche se fai cose lecite, cose nei limiti: senza amore ci si usa. Sempre. Non è amore vero. È questo è vero anche nel matrimonio. Se una donna può dire al marito: ho tutto da te ma mi manca che non mi ami, quella donna ha tutto il diritto di rifiutare un rapporto sessuale. Anche se quel diritto non le verrà riconosciuto da nessuna istituzione, da nessun "matrimonio" appunto perché lei "ha tutto".
Ed è qui dove, come prete, mi sento di dover chiedere scusa per aver dato fiato e corpo ad una teoria, quella del "debito coniugale" che ha fatto molte stragi. Basta fare un giro su Internet per trovare ancora molti siti cattolici dove il debito coniugale viene spiegato e viene difeso. In pratica il debito coniugale è quel meccanismo per cui una donna che non desidera avere un rapporto sessuale con proprio marito, deve sentirsi in colpa. Se quella richiesta sessuale è nel "lecito", è nel "corretto", la donna "manca di giustizia" nel negarsi all'intimità coniugale.
Quali sono i requisiti della liceità? In pratica due: che non ci sia contraccezione e che sia sesso "secondo natura" (credo non sia necessario essere più espliciti). Tutto ciò che riguarda l'amore non interessa. Una donna non irretita dalle pastoie del "debito coniugale" se non desidera avere rapporti sessuali con il proprio compagno, marito o quel che sia, si interroga giustamente ed ovviamente su come sia la qualità della loro relazione, del loro amore. Perché è chiaro che se dono e amore non ci sono di giorno non si capisce perché dovrebbero esserci di notte. Invece, una donna condizionata dalle questioni del cosiddetto "debito coniugale" non si ascolta, si suggestiona, si chiama colpevole.
Dice a sé stessa di essere "ingiusta" a non acconsentire alle richieste sessuali del marito. E non sa dire che invece quel sesso che non è frutto di amore, che non è libero, che non è dono, che è prezzo per uno scambio (e non importa se ci sia di mezzo la carriera d'attrice, o il posto da cassiera, o la pace familiare: il punto è che si tratta di prezzo e non di dono) è abuso, è violenza. Anche se è dentro il matrimonio con tutti i crismi e tutte le benedizioni. Ed è quest'ira che trovo nei volti, nelle parole gridate sui social e in televisione: sono donne che si arrabbiano con una donna perché dice quello che esse non riescono a dire. In primo luogo a se stesse.