Nel sangue e nelle urine di Imane Fadil erano presenti “in quantità molto superiori alla norma”, anche cento volte oltre il limite, 4 metalli pesanti (cadmio, cromo, antimonio e molibdeno).
A comunicarlo sono i magistrati impegnati nell’inchiesta per omicidio volontario sulla morte della testimone chiave dei processi Ruby, sfinita il primo marzo scorso da un male ancora misterioso nella clinica Humanitas di Rozzano. Sono dati che, di per sé, ridimensiona il pubblico ministero Luca Gaglio, “significano poco perché al momento non abbiamo ancora a disposizione gli esami sugli isotopi”.
Quelle particelle, cioè, che possono determinare o meno la radioattività dei metalli. Nell’incontro coi giornalisti, il procuratore Francesco Greco rimette sul tavolo tutte le ipotesi, dalla “morte naturale per una malattia rara” all’”avvelenamento”. Il suicidio resta un’evenienza remota dal momento che Fadil “non era depressa e anzi si era mostrata molto reattiva dopo essere stata esclusa dalle parti civili nel processo Ruby ter”. “Non conoscendo le cause della morte - spiega Greco - d’accordo coi medici legali abbiamo deciso di procedere con cautela per evitare di mettere in pericolo chi eseguirà l’autopsia”.
Per questo la salma della modella marocchina è ‘inavvicinabile’ in una stanza dell’obitorio dell’Istituto di Medicina Legale e ci si è rivolti al Nucleo Radiologico e Batteriologico dei Vigili del Fuoco chiamato a garantire la sicurezza di chi verrà in contatto col corpo per capire se è radioattivo attraverso i carotaggi degli organi (fegato e reni). Solo dopo gli esiti di questi accertamenti, si procederà con l’autopsia.
Stando a quanto riferito all’Agi da una fonte, l’ipotesi della radioattività “c’è ma è blanda”. Lo stesso Greco in conferenza stampa ha parlato di “leggenda che potrebbe essere nata dopo che personale dell’ospedale ha fatto delle verifiche sulla radioattività con esito negativo tramite il contatore Geiger nelle stanze dov’era Fadil”.
La ragazza, che era stata 8 volte ad Arcore alle cene organizzate da Silvio Berlusconi, potrebbe avere indicato il nome di chi pensava l’avesse avvelenata. Nessuno lo conferma in modo ufficiale ma il “no comment” di Greco sulla questione lascia trapelare quanto appare ovvio.
Imane non ha mai avuto paura ad esporre le sue opinioni e sembra inverosimile che non abbia rivelato a chi le stava accanto, al fratello e all’avvocato in particolare, l’identità di chi sospettava. Proprio per non subire censure, aveva rinunciato a incassare i 250mila euro che gli erano stati offerti per ritirare la costituzione di parte civile nel processo Ruby.
Se avesse accettato, avrebbe dovuto abbandonare l’idea del libro sulla sua vita che stava scrivendo per una clausola di riservatezza che, nei casi di accodo extragiudiziale, viene quasi sempre apposta. “Un testo scritto in un buon italiano, lungo un centinaio di pagine, in cui si soffermava anche su Arcore”, riferisce un investigatore che ha letto le bozze dell’opera sequestrate dalla Procura.
Negli ultimi tempi, Imane viveva a casa di un amico italiano, dopo avere lasciato una cascina fuori Milano il cui affitto non riusciva più a pagare per mancanza di denaro. E’ stato lui ad accompagnarla in ospedale e poi le è stato accanto nei momenti più difficili. “Imane non pensava di morire, nessuno si aspettava che accadesse”, assicura il procuratore Siciliano.
Oggi Greco ha voluto chiarire anche che l’ospedale “non ha dato comunicazioni su Fadil prima della morte”, nemmeno quando la ragazza ha espresso la paura di essere stata avvelenata. Un risvolto confermato anche da Michele Lagioia, il direttore sanitario della struttura, sentito come testimone in mattinata. “Il 12 febbraio - ha detto Greco - sono stati eseguiti gli esami per vedere se avesse ingerito arsenico. Poi, visto l’esito negativo, è stata fatta la ricerca della presenza di 50 metalli, i cui esiti sono arrivati a decesso avvenuto”.
Nella tempistica confusa emersa fino ad ora, il procuratore si è corretto su quando ha ricevuto la notizia della morte dall’avvocato Paolo Sevesi (“il giorno della morte, non una settimana prima, come avevo detto nei giorni scorsi”). Il tema delle comunicazioni tra Procura e Humanitas ed eventuali responsabilità di quest’ultima resta per ora sullo sfondo. La priorità, al momento, è capire cosa abbia ucciso Imane e per farlo qualcuno dovrà toccare quella salma isolata da settimane in un obitorio.