È già passato un anno da quando l’Arte dei Maestri Pizzaioli Napoletani è diventata Patrimonio dell’Umanità secondo l’Unesco, un traguardo atteso e voluto con grande entusiasmo dal mondo degli operatori e degli estimatori di questo amatissimo piatto made in Italy. Il 17 gennaio torna dunque, il World Pizza Day, ad eccezione degli Stati Uniti, che lo festeggiano il 9 febbraio e che nel frattempo hanno aperto a New York anche il primo Museo al mondo dedicato alla Pizza. Sembra ieri.
Ed è di ieri anche la notizia di una potente bomba carta, davanti alla storica Pizzeria di Gino Sorbillo, in via dei Tribunali a Napoli che ha fatto imperversare i media sulla discussione più accesa: quella dell’invidia per il successo di alcuni o ancora peggio del potere delle “agromafie” sul business agroalimentare a tutto tondo.
Il volume d'affari
I dati di Coldiretti sul volume di business generato dalla pizza e dalla sua filiera, diffusi in rete, sono strabilianti: 21 miliardi con oltre 127.000 pizzerie presenti in Italia nel 2018 con la Campania in testa. Questo vuol dire circa 5 milioni di pizze sfornate al giorno, con oltre 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di litri di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro ( *fonte Luciano Pignataro Blog)
La pizza è buona e per la sottoscritta lo è in ogni versione disponibile, lungo tutto lo stivale: tonda, in teglia, alla pala, in versione tradizionale o per intransigenti gourmet.
La pizza è buona perché nasce come piatto semplice e confortante, perché soddisfa i palati di grandi e piccini, perché mette tutti d’accordo anche se crea tante piccole squadre di tifosi che si schierano dalla parte di un cornicione in alcuni casi alto, altri basso, a volte dalla parte dei condimenti più eclettici o in altri casi, del semplicissimo e delizioso pomodoro con la migliore mozzarella.
Per gli ultimi dieci anni ho partecipato nelle giurie organizzate dal mio amico e noto giornalista, Luigi Cremona per individuare il miglior pizzaiolo emergente d’Italia e ho assaggiato centinaia di pizze, continuando a svolgere i miei compiti nelle tante pizzerie d’Italia che frequento con affezione e determinazione. Senza fermarmi all’estero, nel mio eterno peregrinare. Lo stato di salute della pizza in Italia migliora ogni giorno, direi che la pizza sta benissimo e sta attraversando un momento meraviglioso.
A parte gli eccessi, quello che vedo e sento e condivido con i miei colleghi assaggiatori, è che, anche nelle pizzerie più piccole e meno in voga, l’attenzione alla materia prima, finalmente, la fa da padrona. Anche se non tutti i locali possono permettersi una selezione di altissimo livello, quasi tutti stanno rivedendo la lista della spesa. C’è molta differenza nello scegliere all’origine materie prime di qualità o nel tralasciare questa questione che ormai non può essere più un dettaglio.
La pizza ha la capacità di risvegliare tutti i nostri 5 sensi, un piatto colorato, vivace, molto profumato e soprattutto “tattile”. Si un gusto tattile. Il nostro palato gioisce particolarmente per la sua fragranza e consistenza rotonda mentre la mangiamo e difficilmente troviamo persone che non desiderino una bella fetta di pizza in quasi ogni occasione.
Identikit di una buona pizza.
Per chi sempre me lo chiede, la digeribilità è l’unica vera chiave per riconoscere la pizza di qualità, anche se molto dell’analisi visiva ci aiuta, sin da subito, a comprendere come ci risveglieremo il giorno dopo.
Alzando la pizza, la cottura alla vista deve risultare omogenea, senza tante zone molto più scure e quindi bruciate. Lateralmente la pizza non deve sembrare gommosa o troppo umida e deve presentare dei begli alveoli, sintomo di una lievitazione equilibrata. Sul lievito si potrebbe discutere in eterno, se lievito madre o lievito di birra, su quante ore sono necessarie, ma la vera chiave di questa vicenda è la perizia del pizzaiolo.
Se amate il buon cibo, dovete amare i cuochi e i pizzaioli e affidarvi ai loro stili e alla loro tecnica. Nessun trasformatore della materia prima che si rispetti, violerà le sue caratteristiche principali e sicuramente mangerete un’ottima pizza che non si ripresenterà al vostro stomaco la mattina seguente.
Quando ero agli inizi della mia carriera di assaggiatrice, mi ricordo una bellissima lezione sulla pizza tenuta da Stefano Callegari a Roma, in una delle sue pizzerie di quartiere. Lui disse più o meno così: la pizza è un pane sbagliato, perché la bocca del forno resta aperta e perché sta tutto, oltre che nell’impasto, al coraggio del pizzaiolo di avvicinare a allontanare la pizza dalla fiamma che porterà al risultato finale.