Lo stato di Edo, nel sud della Nigeria, è la regione da cui a partire dagli anni Ottanta ha avuto inizio la tratta delle giovani donne nigeriane: ingannate con la promessa di un lavoro come parrucchiera o baby sitter, ancora oggi decine di migliaia di donne e ragazze vengono invece costrette a prostituirsi sulle strade di mezza Europa.
All’interno di questo business, svolgono un ruolo importante i sacerdoti della religione tradizionale juju che, attraverso appositi riti, vincolano le ragazze a obbedire ai trafficanti e alle maman, a non tradirli mai. Pena la morte, la pazzia, o altre sventure che possono ricadere su di loro o sui loro familiari.
La scomunica di Ewuare, il re-sacerdote
Questi riti hanno un forte potere di suggestione. Sono, di fatto, catene invisibili che pochissime ragazze hanno il coraggio di spezzare. Chi invece ha avuto il coraggio e il potere di spezzarle è stato l’Oba (il “re”) Ewuare II, la massima autorità religiosa del popolo Edo. Lo scorso marzo, l’Oba ha convocato tutti i sacerdoti juju della regione e ha formulato un solenne editto con cui ha revocato tutti i riti di giuramento pronunciati dalle ragazze. Inoltre, ha obbligato i sacerdoti juju a non praticarne più e ha lanciato una maledizione su coloro che favoriscono la tratta degli esseri umani attraverso l’uso di queste pratiche. “Non vogliamo contrastare le attività dei sacerdoti, ma coloro che usano il juju per perpetrare il male sulla terra, attraverso il favoreggiamento e il traffico di esseri umani”, ha dichiarato Ewuare II.
Niente può spezzare la maledizione delle maman
Tutto ciò può far sorridere noi occidentali, ma non le ragazze nigeriane che partano con un sogno e si ritrovano in un incubo. Per quelle giovani nigeriane, liberate dal vincolo, potrebbe essere più facile denunciare e trovare il coraggio per liberarsi dei loro schiavizzatori, delle maman e dei trafficanti.
Eppure quei riti sono vincolanti e appartengono alla sfera religiosa, animista dell’Africa, che spesso vengono usati per marginalizzare l’indesiderato, per tenere “schiave” le persone, addirittura, abilmente strumentalizzati per scatenare conflitti. L’essere religiosi, tuttavia, fa parte della natura stessa dell’africano, è una condizione ancestrale. La relazione con il mistero fa parte della cultura africana. L’ateismo, in questa prospettiva, non è comprensibile per un africano, a partire dai capi di stato fino ad arrivare all’ultimo dei sudditi. Non esistono ceti, livelli sociali o culturali che sminuiscano la presenza degli spiriti. In modo diverso tutti, indistintamente, ne parlano e ne provano timore.
Gli alberi sacri dei Kassena
L’animismo, che rimane la prima religione tradizionale dell’Africa subsahariana, è una religione che attribuisce un’anima a tutti i fenomeni naturali, un’energia che pervade tutto l’esistente, causa di ogni fenomeno, della vita e della morte, intrinseca di ogni essere vivente, di ogni cosa. Per i Kassena, una popolazione del Ghana, i loro alberi sono sacri, assieme alle altre divinità del territorio kassena, come specchi d’acqua e ammassi rocciosi, continuano a essere considerati soggetti attivi e non inerti “oggetti naturali”.
E ciò, inoltre, va a mescolarsi con il feticismo, con quel complesso di riti e ritualità che hanno lo scopo di rendere visibile quel dio che è troppo potente per interessarsi dell’uomo, dei piccoli o grandi che siano i suoi problemi, per questi è sufficiente l’intermediario, le forze spirituali, gli stregoni, gli spiriti degli antenati che vengono evocati e miticizzati attraverso rituali magici.
Gli spiriti agiscono tramite il cellulare
Ma i risvolti di questo sincretismo possono avere conseguenze tragiche (come accade alle ragazze nigeriane), oppure tradursi in leggende metropolitane che prendono il largo e vanno di bocca in bocca. Oggi, possiamo dire, di telefonino in telefonino. La paura, inoltre, e l’incertezza caratterizzano la vita di fede, qualsiasi essa sia, di molte popolazioni africane. Tutto ruota attorno agli spiriti, che sono capaci, allo stesso tempo, di portare beneficio e nuocere a stessi o agli altri. Senza questa relazione un africano non vive, non “è”. Come per le ragazze nigeriane, alla base della religiosità africana c’è paura e incertezza.
Povertà, incertezza, paura e religiosità vengono combinate ad arte per mantenere o raggiungere il potere o esercitarlo sui più deboli. E dove le appartenenze religiose sono così radicate, il gioco è facile.