Se politicamente l'Ungheria viene annoverata tra i Paesi del cosiddetto blocco Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), ossia repubbliche appartenenti all’ex Unione sovietica che hanno sostituito in fretta i principi comunisti a quelli sovranisti, che prevedono chiusure delle frontiere nei confronti dei migranti, sul fronte climatico il primo ministro Viktor Orban sposa la linea verde.
Una direzione completamente opposta a quella del papà di tutti i sovranisti sparsi per il mondo, ovvero Donald Trump, il quale non crede al cambiamento climatico e sta facendo di tutto per non far chiudere le centrali a carbone statunitensi.
Ma l'Ungheria si discosta, almeno in materia di clima, anche dalla vicina Polonia, strenua sostenitrice delle fonti energetiche più inquinanti. Budapest al contrario vuole chiudere la sua ultima centrale a carbone entro il 2030, diventando il primo paese dell'Europa dell’Est a fissare una data per l'uscita dal carbone e avvicinandosi a paesi come l'Italia che ha fissato al 2025 la fatidica data.
A spingere il governo ungherese a questo passo, come scrive Climate Home News, sono stati gli aumenti dei prezzi sul sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) che hanno portato il governo a trattare con i proprietari dell'ultima grande centrale ungherese di lignite, Mátra, per convincerli ad abbandonare il carbone e a riconvertire l’impianto all’energia rinnovabile.
"La produzione di elettricità da lignite non ha più redditività economica nel lungo termine in Europa, a causa dei prezzi delle quote ETS”, ha dichiarato a Climate Home News, Barbara Botos, vice segretario di stato per il clima al ministero dell'innovazione e della tecnologia ungherese. Botos ha aggiunto che la "data di uscita dal carbone" stabilita del governo dovrebbe essere il 2030, anche se, ha precisato, non c’è ancora nessuna decisione ufficiale. "L'Ungheria intende fornire energia pulita ed economica per tutti", ha osservato Botos.
In realtà l’Ungheria non è così dipendente dal carbone
C’è da dire che a differenza di Polonia, Repubblica Ceca e Bulgaria che producono elettricità in grande parte dal carbone, l’Ungheria non ne è così dipendente. Il mix energetico ungherese infatti è formato da un 18% di elettricità derivante quasi tutta dalla centrale di Matra, da un 50% di nucleare e dal 20% circa di gas. I bacini da cui viene estratto il carbone e la lignite sono stati quasi tutti chiusi e il numero di minatori è sceso a 2.000 dai 125.000 del 1965. La centrale di Matra nel 2016 ha prodotto quasi il 14% delle emissioni di biossido di carbonio di tutta l’Ungheria e metà dell'inquinamento del settore energetico.
Il blocco Visegrad, quindi, scricchiola almeno sui temi ambientali. Lo scorso anno anche la Slovacchia ha annunciato la possibilità di chiudere con il carbone entro il 2023. Recentemente il ministro dell'economia Peter Ziga ha spiegato che il governo sta pensando a ritirare i sussidi alle miniere e alle centrali. Se le intenzioni ungheresi si trasformeranno in politiche ambientali concrete, Budapest si unirà agli alteri partner europei che puntano a uscire dal carbone, al più tardi, nel 2030 compresa Francia, Olanda, Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Finlandia, Austria, Danimarca e Svezia. Anche la Germania, che produce molta della sua elettricità dal carbone, punta a fissare una data di uscita entro la fine di quest'anno.